Sad day for AmericaTrump si dichiara (ancora) «non colpevole», ma è appena iniziata

Il tycoon è tornato a Washington da imputato: la prossima udienza a fine mese. Dovrà spendere parte della campagna elettorale nelle aule delle procure invece che in tour a far comizi. La nuova strategia, simile a quella per cui è alla sbarra, è fare del voto del 2024 un «tribunale del popolo»

L'ex presidente Trump arriva a Washington per il processo
(AP Photo/Alex Brandon)

Torna a Washington da imputato, non da presidente. In aula per l’incriminazione resta ventisette minuti. Il tempo di dichiararsi non colpevole ai quattro capi d’accusa, tra i quali la cospirazione, a vario titolo. In breve: aver cercato di sovvertire l’esito delle elezioni presidenziali del 2020.

La prossima udienza è il 28 agosto. Lui non parteciperà, è stufo. Prima di risalire sull’aereo provato, e tornare in New Jersey, piange «un giorno triste per l’America, una persecuzione politica, non sarebbe dovuto succedere». Ma è solo l’inizio.

Pochi giorni prima, il 25, sempre di questo mese, il suo team legale (quello che è convinto sia tutto una «caccia alle streghe») potrebbe doversi recare in Florida. Per l’altro filone federale, sui tre complessivi includendo quello newyorkese sui pagamenti in nero alla pornoattrice Stormy Daniels in cambio del suo silenzio. E cioè i documenti top secret stipati nei bagni di Mar-a-Lago.

A cui di recente si è aggiunto, nella collezione di settantotto capi d’imputazione, il goffo tentativo di far cancellare i filmati delle telecamere di sorveglianza della sua villa. Per coprire le tracce.

I fronti giudiziari, da qui al 2024, terranno parecchio impegnato il tycoon. Lo porteranno a girare in tour le aule distrettuali di New York, Miami, DC, forse presto la Florida. Per difendersi, non per i comizi di una campagna elettorale che lo vede in netto vantaggio sul rivale repubblicano Ron DeSantis, ma nettamente staccato dal rivale democratico Joe Biden

Nel campo del Gop, il paradosso è l’ennesima elargizione di screen time a un populista tossico, evasore fiscale e golpista (ci tocca riabilitare Mike Pence, un bigotto che però non ha ceduto ai piani del Maga per falsificare la convalida del voto, magari con l’iniezione di falsi «grandi elettori» compiacenti). Così l’ex presidente resta ineluttabile per la destra, e non solo per l’alt-right che lo idolatra.

Come ha detto di lui il suo ex ministro della Giustizia William Barr alla Cnn: «Può dire quello che vuole, può persino dire che l’elezione è rubata pur sapendo che non è vero. Ma il Primo emendamento non lo protegge dall’avere intrapreso una cospirazione».

La strategia, ora, sembra la solita di vittimizzazione. Volenti o nolenti, gli altri candidati repubblicani devono simpatizzare con l’auto-proclamato «oppositore politico», formula che fa sorridere, perché ha ancora in pugno il movimento. Si gode l’attenzione mediatica, titoli e paginate. Si parla sempre di lui, ancora di lui. Forse diserterà il primo dibattito del Gop, forte di questo mandato che si assegna da solo.

Perché il tentativo, il più pericoloso, sarà considerare le presidenziali del 2024 un’ordalia. Il tribunale del popolo invece di quelli federali. Con l’obiettivo di fare degli elettori una giuria: e in caso riuscisse a ripetere lo sfondamento del 2016, graziarsi. Archiviare. Farla franca. E l’aula, del tribunale Barrett Prettyman di Washinton, è così vicino alla fatale Capitol Hill, il luogo dove le menzogne di Trump e le «frodi elettorali» inventante hanno fomentato l’assalto al Congresso.

Una delle pagine più buie della Storia statunitense. Quello, sì, che era stato «un giorno triste per l’America».

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter