Florida ManIl trumpismo senza Trump di Ron DeSantis

Il governatore ha lanciato in pompa magna la sua candidatura ma non decolla nei sondaggi. La sfida più difficile sarà convincere gli elettori della propria ortodossia senza alienarsi il Partito repubblicano, ma non sarà facile

Ron DeSantis a un comizio
AP Photo/Phelan M. Ebenhack

C’è un video elettorale del 2018 in cui Ron DeSantis, all’epoca in corsa per governare la Florida, indottrina i figlioletti con le massime del trumpismo. Giocano a costruire un muro con mattoncini colorati, insegna a parlare alla piccola invitandola a ripetere lo slogan «Make America Great Again», riprodotto pure su una culla. Nello spot di quattro anni dopo, quando è stato rieletto stracciando di diciannove punti i Democratici, la posa è la stessa, con uno dei tre pargoli sulle ginocchia, ma invece della biografia di Donald Trump c’è un libro per bambini, nelle figure si vede un coccodrillo. Qualche mese e diverse voci dopo, mercoledì sera DeSantis s’è candidato alla Casa Bianca: sarà il principale rivale dell’ex presidente per la nomination dei Repubblicani.

Si è parlato molto dell’annuncio, che non è andato benissimo. Ha scelto di anticiparlo in una diretta su Twitter insieme ad Elon Musk. Il rituale è stato funestato da problemi tecnici, audio che va e viene in uno streaming solo acustico e senza immagini, quasi mezz’ora di ritardo mentre il discorso è già arrivato ai giornalisti, un nuovo link per seguire la chiacchierata, così gli utenti in attesa crollano. In America hanno scritto che Musk sta cercando di rendere la sua piattaforma il nuovo riferimento dei conservatori, facendo concorrenza a una Fox News dagli ascolti in calo, “condannata” alla non più fiorente distribuzione via cavo. Non a caso, è riparata alla corte di Musk l’ex stella del canale Tucker Carlson.

La funzione scelta per il momento fondativo, Twitter Spaces, non è familiare al pubblico di massa, Reuters ci ha addirittura dovuto fare uno spiegone. Se non la conoscete, è normale, è di nicchia anche in Italia, dove – un po’ come in certi panel – c’è più gente tra i relatori che non in platea. Al picco, gli ascoltatori sono stati comunque 660mila. La sera stessa, in ogni caso, DeSantis si è fatto intervistare sulla Fox, dove il conduttore ha scherzato sul fatto che stavolta la diretta non si sarebbe interrotta. Il network ha canzonato Musk pure nel promo dell’ospitata: «Volete davvero vedere e sentire DeSantis?», seguito dall’appuntamento di visione.

Secondo Semafor il debutto è stato un disastro, un esempio da manuale della «Teoria della buca dell’orchestra». Formulata a fine Anni Ottanta, dice che non importa cosa viene detto sul palco, se un candidato casca, sarà sempre quella la notizia della nottata. Può essere senz’altro una strategia andare dove Trump non è più attivo, malgrado Musk gli abbia restituito il profilo. Eppure è alla tv che DeSantis deve un pezzo significativo della sua fama. Grazie a un tweet dell’allora presidente, ha totalizzato più di cento apparizioni sulla Fox nel 2018. Una dinamica simile, ha messo in luce FiveThirtyEight, è cominciata da novembre in poi, quando il suo trionfo in Florida ha offuscato il mancato sfondamento dei Repubblicani alle elezioni di metà mandato.

DeSantis e Trump in Florida nel 2019
DeSantis e Trump in Florida nel 2019 (AP Photo/Manuel Balce Ceneta)

Così è salito nei sondaggi. I media lo hanno considerato un possibile candidato alla Casa Bianca con mesi di anticipo, mentre Trump lo ha bruciato sul tempo, dichiarando le sue intenzioni una decina di giorni dopo le Midterms. Nelle stesse rilevazioni, oggi, DeSantis è staccato: al ventuno per cento contro il 53,7 per cento del tycoon. «L’America merita una scelta, non un’eco», è la punchline di un’altra concorrente, inchiodata su percentuali a una cifra, l’ex governatrice della Carolina del Sud Nikki Haley. In un video, editato in modo molto efficace, accosta le somiglianze tra DeSantis e Trump: da ciò che dicono a come muovono le mani. Come dire: sono la stessa cosa.

Trump non fa che rinfacciare, persino nei nomignoli, al governatore di essere un ingrato. Come si posiziona DeSantis? «È un punto delicato perché lui deve sembrare un’alternativa a Trump, sennò, appunto, tanto vale votare Trump – risponde Federico Leoni, che dal 2008 segue da inviato le elezioni americane per Sky Tg24 –. Però non può alienarsi le simpatie dei trumpiani, quindi in qualche modo deve farsi passare come un campione del trumpismo senza Trump. Cioè colui che riesce a portare avanti le stesse idee di Trump non essendo Trump e, quindi, non avendo le zavorre che l’ex presidente potrebbe avere, anche in termini di guai giudiziari».

Rispetto al tycoon, che dopo le presidenziali del 2016 non s’è ripetuto, il governatore può puntare su credenziali (finora) da vincente. Contemporaneamente, per provare a rimontare alle primarie, «sta cercando per certi versi di superarlo anche a destra – continua Leoni –. Per esempio, Trump non è nemico delle grandi aziende, invece lui può dire: io quando si tratta di guerre culturali, guardate, faccio una battaglia anche contro la Disney, non mi interessa ledere i suoi interessi, non mi faccio scrupoli». La stessa cosa sui vaccini. Più di un’alternativa moderata, come è stato raccontato, DeSantis è impegnato in un sorpasso a destra di The Donald.

DeSantis firma una legge a Tampa, in Florida
(Douglas R. Clifford/Tampa Bay Times via AP)

La guerra contro la Disney, che gli ha fatto causa, rischia di danneggiarlo, ma ha consolidato la reputazione di intransigenza identitaria. La multinazionale dà lavoro a settantamila persone nello Stato. Quando il suo ceo Bob Chapek dell’epoca, nel 2022, ha criticato la legge di DeSantis che vieta l’educazione sessuale nelle scuole fino ai quattordici anni, parte della sua crociata anti-woke, il governatore ha tentato invano di cancellare gli sgravi fiscali di cui il colosso godeva dal 1967. Poi ha provato a nominare un board statale per gestire l’immenso distretto di Disney World, uno Stato dentro lo Stato, ma prima del passaggio di consegne la vecchia commissione ha limitato i poteri della nuova. Allora lui ha minacciato di far costruire una prigione federale a ridosso del parco. To be continued.

Ogni volta che firma una legge dinamitarda lo fa circondato – come il Matteo Salvini gialloverde – da una platea a tema. I bambini quando sostiene di volerli proteggere dal «lavaggio del cervello del gender», uomini in uniforme quando si tratta di sicurezza. Poi lancia le penne agli astanti. Il suo comitato ha già raccolto quaranta milioni di dollari. Altri ottanta milioni dovrebbero arrivare dalla campagna precedente, quella per la rielezione in Florida nel 2022. La somma messa insieme in quell’occasione, più di duecento milioni di dollari, è la più alta negli annuari delle elezioni statali. A intercettare fondi, insomma, è bravo.

Lo ha aiutato a costruire la sua identità la moglie Casey, ex giornalista televisiva. Può contrapporre alla nomea di fedifrago pluridivorziato di Trump una famiglia da rotocalco. Anche il curriculum ha crismi da possibile presidente: capitano della squadra di baseball a Yale, studi ad Harvard, servizio nella marina, a cui poi fa da consulente legale in Iraq. «Fino ad adesso il vantaggio più grande di DeSantis è il successo ottenuto in Florida, sia dal punto di vista numerico, elettorale, sia per la situazione nello Stato. Questo lo ha ottenuto anche con una politica spregiudicata sul fronte Covid», aggiunge Leoni, che conduce il programma “America Contro” su Sky.

Un comizio di DeSantis con la bandiera dell'alt-right
Foto da Twitter/RonDeSantis

DeSantis ha lasciato tutto aperto, ha allentato le restrizioni prima che esistesse un vaccino. Ha un costo: terzo Stato per decessi, però l’economia ha continuato a correre mentre il resto del Paese si è fermato. È in quel momento che il governatore è diventato un beniamino di Fox e della destra, che ha sproloquiato su una «cittadella di libertà» dentro «l’impazzimento collettivo». Sull’Ucraina riecheggia l’ambivalenza trumpiana: ha definito la guerra «una disputa territoriale», in un’altra intervista ha corretto il tiro chiamando Vladimir Putin «criminale di guerra», cosa che l’ex presidente si è rifiutato di fare nella sua ultima apparizione sulla Cnn.

«Mentre la Florida è diventata America, l’America è diventata più simile alla Florida: più vecchia, più etnicamente varia ma non necessariamente più progressista, e più a rischio per il cambiamento climatico», ha scritto un pezzo monumentale dell’Atlantic. Una domanda è quanto la piattaforma di DeSantis riuscirà ad attecchire fuori dal suo feudo. Trump, tra l’altro, è riuscito ad accattivarsi già il sostegno della metà dei membri del Congresso del Sunshine State. Nella campagna del 2022, in alcuni comizi del governatore il podio era addobbato con un alligatore nero su campo giallo, sopra il motto: «Don’t tread on Florida». Un calco della bandiera di Gadsden, uno dei vessilli dell’alt-right.

«Nel giorno della festa per la rielezione a Tampa, ho parlato con i suoi sostenitori, molti dei quali sventolavano esattamente quella bandiera – ricorda Leoni, che sui “Fascisti d’America” ha scritto un libro per Paesi edizioni –. Queste stesse persone, però, mi dicevano lì per lì che avrebbero preferito comunque vedere come candidato ancora Donald Trump. La battaglia in vista delle primarie si giocherà tutta qui. A quell’anima DeSantis dice che non si può essere leader di un movimento e non essere leader del partito. Come a dire che Trump, in qualche modo, è il leader del movimento trumpiano, che continua a crederlo il vincitore morale delle elezioni del 2020, ma non è il leader, perché è alienato il Partito repubblicano».

DeSantis ritiene di poter essere entrambe le cose. «Ora la battaglia per il partito DeSantis la vincerebbe pure abbastanza facilmente», conclude Leoni. «È vero che ci sono ancora molti che dicono di essere pro Trump, ma tanti di questi, qualora la marea cambiasse, potrebbero probabilmente gettarsi nelle braccia di DeSantis. Ma la partita difficile da vincere per lui è quella per diventare leader del movimento, cioè convincere i trumpiani che può esistere un trumpismo senza Trump e che, anzi, il trumpismo senza Trump, il trumpismo di DeSantis sarebbe ortodosso come il precedente, ma più vincente».

Ai test manca ancora parecchio. Il primo caucus sarà in Iowa, a gennaio dell’anno prossimo. Intanto ingranerà la macchina della campagna. Il frame dello sfavorito che deve recuperare, in cui i media sembrano averlo già incasellato, potrebbe aiutare il governatore, almeno inizialmente. Da quando la sua candidatura è stata ufficializzata, Trump è intento in una specie di shit-posting. Un po’ lo teme, ma è anche il segno che aveva già del materiale pronto nel cassetto. Con una situazione di partenza di questo tipo, per Geoffrey Skelley di FiveThirtyEight, storicamente un candidato ha una possibilità su tre di centrare la nomination, «ma di solito il suo sfidante non si attesta sul cinquanta per cento».

Il lancio su Twitter ha avuto i suoi intoppi, un po’ come gli ultimi della SpaceX del co-conduttore, Musk. DeSantis si concede spesso a YouTubers e podcasters della sua stessa area politica, ma nel 2022 si è negato a New Yorker, New York Times e Financial Times, che avrebbero voluto incontrarlo per un profilo. Ora che le sue ambizioni varcano i confini della Florida, potrebbe dover rivedere la strategia. Il suo mantra per gli Stati Uniti interi, «Great American Comeback», oltre a non discostarsi troppo dal frasario trumpiano, per adesso sembra applicarsi soprattutto alla corsa, in salita, della sua campagna.

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