Gente da clubCome Soho House è diventata la meta preferita degli artisti erranti del pianeta

L'azienda fondata da Nick Jones è sbarcata in Italia nel 2021 riproponendo la sua formula vincente di un albergo “formato casa” con una fortissima relazione con il quartiere prescelto. Una rivoluzione nel mondo dell’ospitalità

Ph. Venanzi

Questo è un articolo del nuovo numero di Linkiesta Magazine, con gli articoli di Big Ideas del New York Times. Si può comprare già adesso, qui sullo store, con spese di spedizione incluse. In edicola a Milano e Roma e negli aeroporti e nelle stazioni di tutta Italia.

Sono arrivati i clubbers. E non sono i reduci delle feste dello Studio 54 di New York, ma i soci appartenenti a una comunità altrettanto creativa, che si muove per i cinque continenti e che in ognuno di essi ha una casa che lo aspetta. La casa in questione si chiama Soho House ed è arrivata in Italia a fine 2021. Anche se i rumors inizialmente davano l’apertura su Milano è Roma ad aver catturato l’attenzione (e la sede) dei nuovi members. Per volere del suo fondatore, Nick Jones, che intuì a metà degli anni Novanta – a Londra e proprio nel quartiere di Soho – che un albergo “formato casa” era ciò che avrebbe rivoluzionato il mondo dell’ospitalità, ogni nuova house ha una fortissima relazione con il quartiere prescelto. Già, perché il luogo in cui nasce una nuova casa non è una scelta casuale e di certo non segue i trend del mercato immobiliare.

Quella di Roma, ad esempio, è affacciata sullo straordinario conglomerato di casette e vicoli di San Lorenzo, il polo artistico della città, in un edificio di dieci piani in via Cesare De Lollis, a pochi passi dall’Università Sapienza, con una terrazza inaspettata, popolata di limoni, ulivi e piscina di mattonelline bordeaux. L’atmosfera, trasporta chi vi transita su un set di Slim Aarons, il fotografo americano che negli anni Sessanta e Settanta – come lui stesso amava dire – ritraeva «persone attraenti che fanno cose attraenti in luoghi attraenti».

«Quando il fondatore Nick Jones è venuto a Roma durante le fasi di ricerca e valutazione del quartiere più adatto, ha capito subito che era il posto giusto. Lo definì pop, gli ricordava il Meatpacking District newyorchese degli inizi, quindici o venti anni fa, con quelle caratteristiche di marginalità rispetto al centro, ma dotato di una vita propria, un quartiere che definiremmo popolare, autentico, di quelli con i panni stesi alle finestre», così Giorgia Tozzi, general manager di Soho House Rome spiega il carattere identitario del posto.

È proprio la vocazione artistica del quartiere – che da allora si è popolato di gallerie e spazi espositivi come la Fondazione Pastificio Cerere – ad avere convinto Jones a portare qui la prima house italiana, volendo riproporre poi quella passione per l’arte nella scelta dei quadri e delle sculture che arredano ogni piano con cura maniacale e concentrandosi su nomi davvero locali, sia con opere site-specific incentrate sul tema Santi e Peccatori, che con lavori originali firmati da Gianni Politi, Silvia Giambrone, Claudio Verna, Elisa Montessori, Emiliano Maggi, Gabriele de Santis, Micol Assaël, Ra di Martino, Marta Mancini, Manfredi Gioacchini, Andrea Martinucci e Thomas Braida.

Tutto in questi club esprime carattere, personalità e un certo compiaciuto distacco dall’omologazione. Prima di tutto per entrare in una delle “case” sparse per il mondo (ce ne sono ben 38 per un totale di 211.000 members) occorre fare un colloquio e compilare un form che seleziona i futuri soci in base anche al potenziale creativo che potrebbero esprimere una volta reclutati dalla casa madre a Londra. Soho House tiene molto a questa formula di affiliazione e rimane un luogo dove i membri fanno rete (e business) tra loro, ma in maniera meno formale (la cravatta infatti è davvero sconsigliata).

«Il suo merito principale è quello di aver colto in anticipo di anni la natura comunitaria della nuova generazione di creativi cosmopoliti che stava prendendo piede in tutto il mondo. La novità del suo concept stava proprio nella sua capacità di concepire l’ospitalità come un modo di sperimentare un certo tipo di lifestyle e di trasformarlo poi in un segno distintivo e in un’esperienza che i membri avrebbero potuto portare fuori dalle porte del club. Per arricchire la comunità di under 27 abbiamo creato agevolazioni a loro dedicate e da ottobre 2021 anche una nuova formula di abbonamento, Soho Friends, con un prezzo minore che consente di utilizzare alcune aree della struttura, come quella del caffè San Lorenzo, o soggiornare nelle altre Soho House del mondo con tariffe smart. Tutto questo aiuta a comprendere cosa potenzialmente questa struttura può offrire in termini di contatti e connessioni, anche perché il progetto nasce originariamente dal desiderio di fare rete tra personalità che operano nel mondo dell’arte, della comunicazione, dell’intrattenimento».

Per non farsi mancare nulla è da poco stata aggiunta anche la sala per i podcast, un’area insonorizzata al nono piano, da usare come photoboot, o, appunto, come studio per registrare un podcast della durata di quindici minuti. Anche se l’area più gettonata della Soho House romana è la sua screening room: un piccolo cinema con quarantadue posti pensato per adulti e bambini a seconda delle proiezioni cinematografiche in programma. Non di soli film d’essai vive però la popolazione che abita la Soho House, ma anche di première di pellicole presentate a Cannes o Venezia o prodotti targati Netflix portati qui in anteprima.

Ad attrarre di più l’attenzione è però la terrazza, che ospita il ristorante Cecconi’s. «Siamo gli unici a non avere il Cecconi’s a piano strada, ma sul terrazzo», spiega Tozzi. «Portare un format di ristorazione che all’estero è così correlato all’Italia, nonostante prima della nostra apertura sul suolo italiano non ci fosse alcun Cecconi’s, è stata una sfida», ammette Tozzi. Il primo Cecconi’s, infatti, fu aperto a Londra negli anni Settanta dall’italiano Enzo Cecconi, ex manager dell’hotel Cipriani a Venezia.

Nel palazzo a San Lorenzo, che da fuori appare come una nave con la sua facciata stondata, sono presenti quarantanove camere da letto che vanno dalla dimensione piccola all’extralarge, ma è su quello che in gergo viene definito long stay che adesso punta Soho House grazie agli appartamenti e ai monolocali per soggiorni a partire da sette notti. Ogni appartamento (a Roma ce ne sono venti) è composto da una camera da letto autonoma, una cucina completamente attrezzata e una zona pranzo e soggiorno.

. Le dimensioni variano dai cinquantatré metri quadri del monolocale ai 130 mq degli appartamenti con tre posti letto. Il gusto è anche qui local: hanno pavimenti in legno con pareti intonacate e letti kingsize, bagni con pavimenti in graniglia italiana e piastrelle in ceramica. Le tende scorrevoli sono create dalla tessitrice sarda Mariantonia Urru e le lampade da comodino in ceramica, dipinte a mano con piano intagliato e finitura in smalto crepla, sono una collaborazione speciale con Soho Home e il designer italiano Bitossi, che produceva lampade negli anni Settanta e le ha rifatte appositamente per la sede romana.

Ogni residenza ha un suo design che riflette i colori, i materiali e lo stile del Paese e della città che lo ospita: da Istanbul a Barcellona, da Los Angeles a Berlino, da West Hollywood a Miami, fino ad arrivare a Mumbai. In una Soho House si può mangiare, bere un drink, incontrare persone, andare in piscina o a un evento. Ma volendo c’è anche la possibilità di fare una passeggiata a cavallo, come nella Soho Farmhouse, ben cento acri di terreno nella campagna inglese dell’Oxfordshire.

Non solo metropoli, quindi, nella formula di Nick Jones: nel 1998 è stata la volta di Babington House, la prima casa di campagna del gruppo, un maniero georgiano classificato decadente, da romanzo di Jane Austen, tra le campagne del Somerset, pensato per dare ai members anche una casa di villeggiatura fuori città. Non a caso, la prima spa Cowshed è nata proprio qui, nascosta in una vecchia stalla nel parco. La filosofia alla base di Cowshed è incentrata sulla natura terapeutica degli oli essenziali botanici, con l’impiego di prodotti privi di petrolchimici parabeni e solfati, a base di estratti vegetali bio purissimi.

Ma, se riavvolgiamo il nastro e torniamo a quella prima casa georgiana nel quartiere Soho di Londra, di tre piani su tre case interconnesse, quasi non sembra siano passati ventotto anni: eppure, quel primo club per artisti è oggi il private members club più famoso al mondo.

Se paragonato ai circoli segreti che nacquero a fine Seicento, i fumosi club inglesi riservati alle élite del potere, sembra quasi impossibile che una formula così “pop” abbia potuto scalare le classifiche dell’ospitalità di lusso. Ma siamo nell’era del quiet luxury, del lusso sussurrato e non ostentato, che di sicuro ha ampliato lo spettro di tale successo. Oltre al fatto che qui le regole sono state sovvertite ed è la creatività a farla da padrona, non importa quanto tu sia ricco e potente, è la comunità che decide se puoi fare parte della casa. Ma c’è una regola che vale per tutti i club del mondo, Soho House compresa: entrare è difficile. Quindi se vi sentite dei veri clubbers la combinazione per aprire la porta non è fatta di sei cifre, ma di sicuro è nascosta tra le parole arte, passione e libertà.

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