Non c’è da stupirsiÈ mai possibile che nel 2023 ci sia ancora qualcuno che dice «possibile che nel 2023…»?

Il presupposto è l’ingenua convinzione comune che la Storia umana sia una linea retta puntata al progresso. Quel che cambia è soltanto l’anno, il resto dello stereotipo rimane invariato e si ripropone, logorando la sorpresa e svuotando di senso (anche retorico) la domanda

Montagne russe
Foto di Pixabay

Chissà quante volte capita di ascoltarlo o anche leggerlo: è un semplice, innocuo modo di dire, che forse però, nel suo profondo, custodisce qualche cosa di più di quel che appare in superficie. «È possibile che nel…»; segue l’anno in corso (qualche volta il secolo, o addirittura il millennio); segue la proposizione soggettiva con il verbo (più correttamente) al congiuntivo, sovente condita con l’avverbio «ancora»; conclude il punto di domanda.

Nella formulazione più generica: «È possibile che nel [poniamo] 2023 succedano ancora queste cose?». Certe volte il verbo «essere» iniziale può essere omesso («possibile che nel…?»), ma quando è presente può essere seguito dall’avverbio «mai» che precede la parola «possibile» e rafforza il senso retorico della domanda: «è mai possibile che nel…».

Variante investigativa: «come è possibile che nel…». Sub-variante sconcertata: «ma come è possibile che nel…». Volendo proprio strafare (sub-variante esasperata), «ma come è mai possibile che nel…».

La domanda è retorica perché non è una vera domanda ma un’affermazione che vuole esprimere stupore, incredulità, se non addirittura scandalo, nel rilevare che nei fatti avviene esattamente quello che a rigor di logica, di buon senso, di senso della giustizia non sarebbe, non dovrebbe essere possibile.

Ha senso che le cose vadano così? No, non ha senso, eppure accadono. Possibile quia absurdum, si potrebbe dire ispirandosi a Tertulliano. Ma fino a che punto è logicamente – e gnoseologicamente – motivato questo stupore, questa incredulità, questo scandalo?

Il presupposto inespresso che sottende tali stati d’animo, e la domanda che ne scaturisce, è l’ingenua convinzione comune che la Storia umana sia una linea retta teleologicamente puntata alla realizzazione delle magnifiche sorti e progressive. In termini baconiani, un idolum fori.

Ma non è necessario condividere il pessimismo cosmico di Leopardi per constatare che non sempre e non indefettibilmente è così: basta conoscere un poco la Storia, o anche soltanto essere avvertiti della cronaca, per verificare che il progresso, nelle sue diverse espressioni, passa attraverso fasi evolutive e fasi involutive, il suo divenire è una linea zigzagante che in certi momenti e per periodi più o meno lunghi interrompe l’ascesa e sembra annullare le acquisizioni precedenti.

Nel corso del Novecento ci eravamo convinti che la luce della ragione avesse definitivamente sconfitto le tenebre del fanatismo, e invece i fondamentalismi stanno contaminando anche il vecchio, compassato, disincantato, cinico Occidente. Dopo la Seconda guerra mondiale, per tre quarti di secolo abbiamo pensato che nessun conflitto avrebbe più potuto insanguinare l’Europa, ed eccoci serviti: oggi ogni giorno alla periferia del Continente si contano i morti, e la cosa ormai ci pare persino normale, non sorprende e non scandalizza.

Soltanto il progresso scientifico e tecnologico procede implacabile senza battute d’arresto, sebbene non senza ricadute a volte anche pesantemente negative.

Per questo, dire per esempio, come effettivamente è stato detto in riferimento al disastro ferroviario di Brandizzo, «come è possibile che nel 2023 accadano questi incidenti?» non è una pura manifestazione di ingenuità retorica, perché con i rilevatori e i sistemi di controllo automatici oggi disponibili, più sicuri (anche se non sostitutivi) di laboriose comunicazioni telefoniche, non dovrebbe accadere che cinque operai vengano travolti da un treno mentre stanno lavorando sulle rotaie (certo, se poi le disposizioni per la sicurezza sono disattese, è un altro discorso): in questo caso lo scandalo è ben motivato, la domanda ha il valore di una denuncia.

Ma è davvero così sorprendente e incredibile, tanto da domandarsi se sia possibile, che (citiamo alcuni esempi recuperati in rete) nel 2023 «ci siano aree della città, anche in pieno centro, off limits per una ragazza?», «ci sia ancora chi considera l’omosessualità una malattia da curare», «esistano strade così mal ridotte?», «ci sia ancora tanta ignoranza e maleducazione», o che «nel Terzo millennio esistano delle persone che credono ancora alla magia»?

Perché tutte queste cose non dovrebbero più essere possibili nel 2023, o nel Terzo millennio, come se il 2023 e il Terzo Millennio fossero il culmine della storia? E infatti le medesime domande similmente formulate, e tritamente stupefatte, possono essere risuonate nel 2022, 2021, 2020 eccetera o negli ultimi secoli del Secondo millennio.

Allora forse non c’è tanto da stupirsi. Quel che cambia è soltanto l’anno, il resto dello stereotipo rimane invariato e si ripropone stancamente ogni volta come nuovo. La reiterazione della sorpresa logora la sorpresa, e svuota di senso (anche retorico) la domanda. Ciò che può stupire è semmai il fatto che ci sia sempre chi si stupisce. Possibile che nel 2023 ci sia ancora qualcuno che dice «possibile che nel 2023…»?

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