La cucina non è acqua. O forse sì?
A lungo trascurata e surclassata rispetto a vini, cocktail ma anche tè, birre e kombucha, di recente l’acqua ha assunto un ruolo di tutto rispetto nella proposta beverage dei migliori bar e ristoranti, sia in Italia sia all’estero, in molti casi conquistandosi spazio con un menu dedicato. Si tratta del fenomeno della cosiddetta “idrogastronomia”, che assegna all’acqua un ruolo da protagonista paragonabile a quella delle bevande più nobili, rendendola il fulcro di una ricerca di gusto e benessere, oltre che di valorizzazione delle proposte food in carta.
Per questo sempre più locali stanno adottando la consuetudine di offrire al cliente la possibilità di scegliere tra diverse tipologie di acqua da consumare durante il pasto, con l’obiettivo tanto di assecondare i suoi gusti e le sue esigenze, quanto di esaltare il gusto di alcune pietanze, nonché degli stessi vini o Champagne scelti in abbinamento ad esse.
Di acqua non ce n’è una sola
Quello delle acque, proprio come quello dei vini, dei distillati, dei fermentati e dei caffè, è un mondo ricco e variegato: ne esistono tipologie diverse, ciascuna dotata di proprie caratteristiche organolettiche e di proprietà benefiche, legate soprattutto alla struttura geologica del territorio di provenienza. Da questa dipendono il livello e il tipo di mineralizzazione, l’eventuale effervescenza (anch’essa variabile in base alla dimensione delle bollicine), che determinano il gusto (un’acqua può essere dolce, amara, salina, solfurea, calcarea o con un rimando acidulo dato dall’anidride carbonica), l’odore (le acque che sgorgano da aree vulcaniche possono sprigionare un odore di zolfo), la consistenza in bocca, la sensazione tattile sulla lingua, la capacità di pulire il palato nonché di stimolare o meno l’appetito.
In generale a una maggiore concentrazione di minerali (residuo fisso) dell’acqua corrisponde una sua “personalità” più spiccata e riconoscibile, mentre le acque più leggere risultano praticamente “neutre” al palato, seppure esistano alcune sfumature (soprattutto di “corpo”) che – se assaggiate contemporaneamente – le rendono distinguibili e riconoscibili (proprio come avviene con i vini della stessa tipologia).
“Water like Wine”: una nuova prospettiva per ripensare l’arte del bere
Paradossalmente, i primi a comprendere il valore e le potenzialità di un’offerta ragionata delle acque minerali al ristorante sono stati i produttori di vino. Alla luce del fatto che, in determinate occasioni, sul tavolo può non esserci il vino, ma di sicuro la bottiglia di minerale non manca mai, questi hanno strategicamente deciso di andare controcorrente rispetto alle molte massime che invitano a diffidare degli astemi, scegliendo piuttosto di farne degli alleati e riservando un trattamento di tutto rispetto a una bevanda fino ad allora considerata una concorrente.
Così, nel gennaio del 2002 a Bologna è nata l’Associazione Degustatori Acque Minerali (Adam) che riunisce albergatori, ristoratori, sommelier, ma anche medici, chimici, nutrizionisti ed esponenti delle istituzioni, con l’obiettivo di valorizzare il ruolo delle acque minerali (al plurale) come parte integrante dell’alimentazione e della cultura gastronomica, di diffondere la conoscenza delle loro qualità specifiche e di formare una nuova classe di professionisti, appositamente formati per valutarle, suggerire ai ristoratori un’adeguata selezione di proposte da tenere in carta e contribuire al loro corretto accostamento con le pietanze presenti nel menu.
Testimonial d’eccezione di questa rivalutazione della bevanda più semplice esistente in natura è Acqua Filette, che dal 2019 porta avanti il progetto “Water like Wine”, per promuovere l’educazione alla degustazione delle acque minerali, intesa come esperienza multisensoriale che coinvolge la fisiologia dell’olfatto, del gusto, della vista, cui si associa la consapevolezza di come ogni acqua possa rispondere in modo diverso alle esigenze specifiche di ogni individuo, grazie al suo peculiare apporto di sali minerali e oligoelementi, nonché alle sue proprietà digestive e immunostimolanti.
Come non perdersi in un bicchier d’acqua?
Dunque se finora, per i non esperti di beverage, il momento più critico al ristorante è stato rappresentato dalla scelta dell’etichetta da abbinare alle pietanze ordinate, oggi le cose si complicano anche sul versante dell’acqua, perché non ce la si può più cavare con la semplice (limitante?) preferenza tra “liscia” o “frizzante”.
Per togliere dall’impasse i non addetti ai lavori e fornire loro gli strumenti basilari per leggere le etichette, al fine di saper scegliere l’acqua più adatta di volta in volta, l’Adam ha dato vita alla Carta delle Acque Minerali, ma soprattutto, per clemenza verso i loro clienti, i ristoranti che hanno adottato il menu dell’acqua hanno anche previsto la rassicurante presenza in sala dell’idrosommelier.
Si tratta di una figura professionale certificata e specializzata nel raccontare al meglio le caratteristiche uniche di ogni bottiglia in carta, e dunque nel consigliare e guidare alla scelta del tipo di acqua più adatta per accompagnare di volta in volta le pietanze ordinate, ma anche nel vigilare su alcuni dettagli che, proprio come avviene per il vino, sono determinanti per l’esperienza degustativa. Prime fra tutte la temperatura di servizio (il troppo freddo provoca un effetto paralizzante sulle papille, compromettendo la percezione di gusti e consistenze) e il bicchiere utilizzato (preferibilmente un calice trasparente e senza sfaccettature, per evitare che il contatto della mano con il vetro surriscaldi il liquido e per godere anche visivamente dell’aspetto limpido del’acqua e l’eventuale svilupparsi delle bollicine).
Water pairing: le regole base
Il principale fattore di distinzione e caratterizzazione delle acque minerali è il residuo fisso (a 180° C), che consente di classificarle in minimamente mineralizzata (residuo fisso inferiore a 50 mg/l), oligominerali (residuo fisso tra 51 e 500 mg/l), minerali o mediominerali (residuo fisso tra 500 e 1500 mg/l) e ricche di minerali (residuo superiore ai 1500 mg/l). A questo si aggiunge la presenza o meno di effervescenza, che è una variabile fondamentale nel determinare l’esperienza gustativa e la percezione sensoriale dell’acqua stessa e dei cibi in abbinamento.
Per esempio un’acqua oligominerale “piatta” si accompagna bene a preparazioni delicate e dalla consistenza morbida mentre un’acqua minerale frizzante, capace di “pulire” il palato, è indicata con pietanze saporite e consistenti. Nel caso di piatti “intermedi” vale la regola del contrario (la stessa che si applica anche ai vini): le acque acidule ed effervescenti sorreggono bene i piatti a tendenza grassa, mentre quelle più sapide si sposano bene con le ricette a tendenza dolce. Infine, per quanto riguarda i cibi speziati, piccanti o molto salati, è preferibile abbinare l’acqua oligominerale, con sapore meno marcato, che alleggerisce ed esalta le caratteristiche degli ingredienti e delle diverse portate.
Insomma, in molti casi un’acqua ben scelta è meglio di un vino spumante o di uno Champagne, perché pur avendo una propria identità non entra in competizione con il gusto degli altri alimenti, atrofizzando le papille gustative o intorpidendo il palato, ma piuttosto predisponendo all’assaggio successivo.
Detto questo, nonostante le particolarità delle diverse acque reperibili al mondo, per rendere completa l’offerta beverage di un ristorante ne bastano tre o quattro, pensate non tanto come abbinamento con la singola pietanza, quanto piuttosto come una progressione gustativa durante il pasto.
L’importante è che siano imbottigliate e servite rigorosamente in vetro, un materiale che, al contrario della plastica, protegge l’acqua dagli sbalzi di temperatura e da altri agenti esterni che potrebbero alterarne le caratteristiche organolettiche.
Un progetto complesso, che entusiasma sempre più ristoratori e chef
Quello di far compiere all’acqua lo stesso percorso di nobilitazione del vino, attribuendo alle due bevande una dignità analoga, è un proposito impegnativo, che tuttavia sta incontrando il favore e l’impegno di un numero crescente di ristoratori e chef.
All’estero, dagli Stati Uniti alla Francia, il successo del menu dell’acqua si è affermato da più di vent’anni. Un esempio è il ristorante Ray’s & Stark Bar del Los Angeles County Museum of Art, in California, che dal 2013 vanta una carta di ventitré pagine contenente venti varietà di acque provenienti da dieci Paesi diversi e un piccolo menu degustativo al costo di dodici dollari.
Il fenomeno va di pari passo con l’apertura di esclusivi Water Bar, locali dedicati alla degustazione delle acque più preziose e particolari provenienti dalle sorgenti di tutto il mondo: dall’esclusivo Aquabar di Beverly Hills (aperto alla fine degli anni ’80), allo Chez Colette e al Bar a Bulles di Parigi e Londra, fino allo Specialità in Vetrina Bistrot. In Italia il primo water bar italiano è stato aperto da Giano Chiarici nel centro storico di Bologna: offre oltre cento etichette di acque esclusive e particolari, provenienti dalle fonti di tutto il mondo.
Sul fronte degli chef, il panorama si divide tra coloro che considerano l’introduzione del menu dell’acqua un “lusso inutile” e un “virtuosismo” per il quale il mondo della ristorazione non è ancora attrezzato (e per il quale la clientela non è pronta) e altri che, invece, l’apprezzano e la intendono come una “coccola” in più per il cliente.
Un ruolo da pionieri in questo ambito va riconosciuto a La Pergola, il ristorante romano (l’unico della capitale con tre stelle Michelin) capitanato da Heinz Beck, e al Don Alfonso 1890 (un due stelle Michelin nel cuore della penisola sorrentina, in Campania), che vent’anni fa sono stati i primi in Italia a proporre una selezione di acque pensata per enfatizzare le creazioni culinarie degli chef, attraverso un gioco di assonanze o contrapposizioni con gli alimenti presenti in menu.
Oggi, da Nord a Sud, anche altri indirizzi dell’eccellenza gastronomica nazionale seguono e declinano in modo personale questo trend di valorizzazione dell’acqua come parte integrante di un’offerta di qualità a 360 gradi.
Al Cit Galantom di Monasterolo di Cafasse (in provincia di Torino) si possono degustare acque provenienti da tutto il mondo (dalla lombarda Solé dalla bollicina piccola e digestiva alla statunitense blk, unica acqua dal colore naturalmente nero e dal gusto vulcanico); al La Ciau del Tornavento, ristorante stellato in Langa, lo chef patron Maurilio Garola propone una sola acqua a chilometro zero, naturale e frizzante (proveniente dalla sorgente di Luserna San Giovanni). Al Boscareto Resort & Spa (Serralunga d’Alba, Cuneo) il menu di chef Michelangelo Mammoliti è accompagnato da una selezione corposa di acque legate al territorio o estere, scelte per assecondare le richieste di una clientela internazionale ma anche le esigenze della cucina (dove per esempio le oligominerali italiane o le purissime norvegesi, francesi, islandesi, vengono usate per fare delle estrazioni, mentre l’acqua microfiltrata è utilizzata per le salse).
All’interno del MUSA Luxury hotel (sul Lago di Como) il ristorante Roteo completa la sua proposta con un menu (essenziale ma completo) di acque europee, suddivise per livello di mineralizzazione.
Al George, in ristorante del Grand Hotel Parker’s (Napoli), il percorso gastronomico che celebra la cucina unica con cui lo chef partenopeo Candela mixa la tecnica classica italiana e francese con spunti più originali e contemporanei, viene esaltato dalla presenza di uno specifico menu delle acque e degli oli, in cui quattro referenze italiane e sei internazionali sono elencate con una descrizione dettagliata dell’origine e delle caratteristiche organolettiche e sensoriale.
Infine al ristorante stellato Il Cappero del Therasia Resort (sull’isola di Vulcano, in Sicilia), dove la selezione delle acque è studiata non solo per rispondere a esigenze funzionali, ma anche per incuriosire l’ospite attraverso riferimenti alla provenienza esotica, aneddoti legati alle sorgenti, o anche semplicemente attraverso la particolarità della bottiglia.
Un progetto per cambiare prospettiva
C’è persino chi attribuisce all’acqua un’importanza tale da credere che possano essere i piatti ad adattarsi alle sue caratteristiche peculiari. Va in questa direzione il progetto “L’equilibrio in un piatto” promosso da Acqua Panna per coinvolgere diversi talentuosi chef d’Italia nell’interpretazione, attraverso un loro piatto, della propria idea di equilibrio e bilanciamento dei sapori, attraverso l’abbinamento con una specifica acqua.
Tra coloro che, dal Nord al Sud Italia, hanno aderito a questo ideale viaggio gastronomico all’insegna dell’armonia ci sono Alexander Robles, chef del ristorante Azotea a Torino, Andrea Antonini, chef dell’Imàgo dell’Hotel Hassler a Roma, e Valentina Rizzo, chef de La Farmacia dei Sani a Ruffano, in provincia di Lecce. Tre chef che si distinguono per la loro capacità di trasformare i sapori del territorio attraverso approcci innovativi e personali, riassumendo nei loro menu l’eredità del passato e l’innovazione presente e di mixare sapientemente la tradizione più autentica con la contaminazione. Anche attraverso l’utilizzo consapevole di un alimento apparentemente “neutro” come l’acqua!
Paradossi internazionali
Ampliando lo sguardo sul panorama delle acque, ci si rende conto di come questo ambito sia caratterizzato dalla contrapposizione tra la prassi di far trovare al tavolo una brocca d’acqua dal rubinetto, offerta dalla casa (una consuetudine codificata soprattutto all’estero, che in Italia si trasforma spesso in aspettativa o vera e propria pretesa da parte del cliente) e la presenza in carta di acque che possono costare anche diverse decine, centinaia (talvolta migliaia) di dollari a bottiglia.
La Nevas Cuvée: un’acqua premium tedesca, confezionata in una bottiglia di vetro scuro con un design che ricorda lo Champagne, che costa circa 40 euro.
La Veen: proviene dalla Finlandia e costa circa 65 euro per una bottiglia dal design puro con due onde sui fianchi, a ricordare la fonte da cui sgorga nel Circolo Polare Artico ma anche la divinità pagana Veen Emonen, la Dea della Fortuna dei marinai.
La Bling H20: imbottigliata direttamente alla sorgente di Dandridge, nel Tennessee, in una bottiglia da 85 € di vetro lavorato con Swarovski, chiusa con un tappo di sughero.
La Svalbardi: un’acqua proveniente dai ghiacciai norvegesi del Polo Nord, che nella sua versione limited edition costa 210 euro a bottiglia.
La Fillico: sgorga ai piedi del monte Rokko, nella provincia di Kobe in Giappone, ha una bottiglia da collezione che raffigura il re e la regina di scacchi e costa da 250 a 380 euro.
La Kona Nigari: prelevata a una profondità di duemila metri sotto il livello del mare, al largo dell’isola di Hawaii, e venduta in Giappone alla cifra di 420 euro per una bottiglia da 750 ml.
Per chi vuole “bere oro” (letteralmente), c’è l’Acqua di Cristallo “Tributo a Modigliani” (proveniente dalle fonti più pure della terra tra quelle delle isole Fiji, della Francia e dei ghiacciai islandesi). Ogni goccia contenente cinque grammi di oro ventitré carati ed è imbottigliata in bottiglie di vetro da 750 ml ricoperte di oro massiccio a ventiquattro carati, disegnate dal celebre designer di bottiglie Fernando Altamirano. Nel 2010 a Città del Messico una di queste è stata battuta all’asta per circa 60.000 euro (81.620 dollari).
Mentre per chi vuole davvero esagerare e dissetarsi di “lusso” c’è l’Acqua Beverly Hills 90H20 Luxury Collection Diamond Edition, purissima e pregiata, proveniente dalle montagne della Sierra Nevada, nella California settentrionale, e imbottigliata in solo nove bottiglie disegnate da un gioielliere, con tappo in oro bianco quattordici carati incastonato con 250 diamanti neri e 600 diamanti bianchi. Nel 2018 è stata valutata ben 100.000 dollari al litro, ed è stata la prima a conquistarsi il riconoscimento di “World’s Most Distinctive Bottled Waters” (l’acqua in bottiglia più distintiva al mondo).
Infine, se ci si accontenta di un’idratazione più modesta, ci sono l’acqua Perrier (3,75 euro per una bottiglia di vetro da 750 ml), l’acqua Smeraldina edizione Greef (5 euro euro per 750 ml), la Cedea (6,25 euro per 750 ml), e la Evian, fino al 2018 venduta in Italia a 3,80 euro per 750 ml, ma dopo la collaborazione con Chiara Ferragni è arrivata a costare 6 euro.
Insomma, che sia dettata dal gusto o dalla ricerca di un maggiore benessere, che si preferisca quella liscia o effervescente, la decisione su quale acqua portare in tavola non dovrebbe essere lasciata al caso, ma presa con consapevolezza. Infatti, mode e status symbol a parte, chissà che in futuro il vero lusso gourmet non passerà anche attraverso la capacità di trasformare l’appetibilità e la piacevolezza dei cibi grazie alla giusta attenzione per l’elemento primordiale da cui tutto è nato.
Dunque… in alto in tumbler!