La ricerca della pietra filosofale dentro e fuori dal piatto?
L’alta cucina è ormai riconosciuta come un limbo tra arte, magia e scienza a tutti gli effetti, in cui si incontrano dedizione, studio, ricerca degli ingredienti, sperimentazione di accostamenti sempre nuovi e fortunate casualità che consentono impreviste scoperte. L’attività degli chef è qualcosa di molto simile a quella degli orafi e a ciò che facevano un tempo gli alchimisti, anche se l’obiettivo non è trovare la famigerata pietra filosofale bensì ottenere la perfetta combinazione di sapori, colori e consistenze, in modo da rendere i propri piatti il punto di partenza per un’esperienza trascendentale.
Il riscatto di Re Mida
Coerentemente con questo intento d’illuminazione, l’oro entra nei piatti e nella sala, utilizzato come allusione a una realtà immateriale alla quale, per paradosso, si accede proprio attraverso l’appagamento dei sensi. Da Gualtiero Marchesi (con il suo iconico Riso oro e zafferano) in poi l’oro (alimentare e non) è l’emblema di un lusso che va oltre il qui e ora del pasto e si traduce in “pura sublimazione”.
Insomma, il capovolgimento del fato toccato a Mida, il mitico re della Frigia, divenuto celebre nella cultura occidentale come personificazione dell’avidità e come vittima del suo stesso vizio. Se a lui il proverbiale “tocco d’oro” donatogli da Dioniso (cioè la capacità di trasformare in metallo prezioso qualsiasi cosa toccasse) è quasi costato la morte per inedia, oggi l’oro stesso si mangia e si utilizza per impreziosire e “illuminare” l’esperienza culinaria.
OrO: il segreto delle alchimie contemporanee (al bancone)
Da OrO scrt Room l’oro è punto di partenza e arrivo di un’esperienza basata sul continuo rincorrersi di allusioni al metallo prezioso eponimo del locale. Aperto nel 2021 da Terry Monroe (barlady esperta di scienze erboristiche, artista del gusto, aromatière, alchimista e taste hunter, ma anche imprenditrice, consulente e formatrice) OrO è parte di un progetto avviato 25 anni fa dalla fondatrice per trasformare la mixology milanese (e non solo) arricchendola delle conoscenze, delle suggestioni e della sensibilità necessarie per farla diventare “mixability” basata sullo studio e “mixart” fondata sull’estro e intesa come pretesto per offrire al cliente una stimolazione percettiva a tutto tondo, che coinvolge tutti i sensi e tocca corde emotive profonde.
Il locale sorge all’interno di Sacrestia Farmacia Alcolica (sulle sponde del Naviglio Pavese), un’ex casa chiusa milanese, poi divenuta farmacia e oggi trasformata in tempio del “bere controcorrente”: più che un semplice bar è un salotto segreto, sede di una “cocktail society” intesa come dimensione esclusiva, riservata a pochi eletti e destinata a restare chiusa in sé stessa e separata dal resto del mondo. Lo stesso nome palindromo sottolinea questa idea di raccoglimento attorno a un luogo in cui tutto inizia e finisce, resta sempre uguale a sé stesso e al contempo si rinnova, tra abat-jour, tende di velluto, chaise longue, specchi, statue e altri elementi d’arredo che testimoniano le contrastanti destinazioni d’uso dello spazio.
L’oro è al tempo stesso oggetto e concetto, materia e idea: è il metallo con cui è forgiata la moneta che, passando dai membri anziani del club ai neofiti, dà accesso alle esperienze di degustazione più sofisticate. Il numero che lo identifica sulla tavola periodica, il 79, è lo stesso dei pezzi (gin, whisky, tequila, rum e vodka aromatizzati) che formano la bottigliera posta dietro al bancone. OrO (e l’oro) è, in definitiva, il fulcro di un paradosso: simbolo di ricchezza, resistenza, durevolezza e permanenza e al tempo stesso allusione a ciò che davvero conta: un’esperienza sublime, sfuggente effimera ed evanescente nel “qui e ora”, ma proprio per questo preziosa più di qualsiasi possesso quantificabile.
Nabucco: un omaggio alla Belle Époque del melodramma
Aperto nel cuore di Brera fin dal 1970, il Nabucco è uno storico ristorante meneghino che deve il suo nome e il suo successo alla vicinanza con il Teatro alla Scala e al compositore Giuseppe Verdi, nonché alla capacità di tramandare il meglio della cucina milanese attraverso una proposta gastronomica che ha come fulcro i sapori della tradizione e piatti iconici come il vitello tonnato, il risotto giallo, i mondeghili e la celebre costoletta.
Da sempre fedele a sé stesso, dopo più di cinquant’anni, il Nabucco ha però da poco rinnovato la sua veste: ristrutturato ex novo, oggi vanta ambienti versatili, separati seppur continui tra loro, con allestimenti “su misura”, raffinati e studiati in ogni dettaglio, che mescolano l’atmosfera della vecchia Milano con uno stile più contemporaneo, mantenendo però l’impressione di entrare in un teatro d’opera (con riproduzioni dei palchi della Scala alle pareti, immagini degli spettacoli, locandine delle opere, tendaggi e colonne di marmo).
Trait d’union fra tutti gli elementi sono i riflessi dorati che si rincorrono dai tessuti di rivestimento delle sedute alle rifiniture dei tavoli, dai punti luce alle pareti ai dettagli della mise en place, fino alle sfumature presenti nei piatti, che richiamano il metallo più prezioso: dall’immancabile risotto giallo allo zafferano fino alle dorature che contraddistinguono i mondeghili e la celebre costoletta alla milanese.
Una coerenza cromatica che è un omaggio all’Ottocento, in quanto secolo d’oro del teatro lirico, ma anche un’esaltazione della ricchezza della cucina milanese, sia quella strettamente tradizionale prediletta dal compositore Giuseppe Verdi, sia quella attualizzata dalla mano di Giancarlo Vetrei, lo chef napoletano e under 30 che oggi firma “Degustazione Verdi”, il menu dedicato proprio all’autore del Nabucco.
Gong Oriental Attitude: sacralità d’Oriente e omaggio a Milano
Gong Oriental Attitude è un ristorante di alta cucina cinese, ma soprattutto un ponte tra Occidente e Oriente nel cuore di Milano e il punto di partenza per un viaggio attraverso due culture che riescono perfettamente a incontrarsi e dialogare. Qui l’anima asiatica e il rispetto della tradizione millenaria di un Paese lontano sposano un approccio sperimentale e innovativo, declinandosi in un format metropolitano contemporaneo e internazionale che emerge tanto nell’allestimento dello spazio quanto nella proposta gastronomica.
L’oro è il filo conduttore di una suggestione che inizia dall’arredo (in cui colpiscono i grandi dischi di onice sospesi e retroilluminati e i paraventi d’ottone che ricreano le forme di un giardino stilizzato) e prosegue nel piatto, caricandosi di valori simbolici e sacrali che trasportano il cliente in una dimensione “sospesa” e lo rendono protagonista di una vera e propria iniziazione alla scoperta di un’energia vitale ignota o dimenticata.
Al centro di tutto, il gong, esaltato al tempo stesso come oggetto e concetto: ovvero come strumento a percussione a forma di disco dorato, il cui suono segna la sacralità di un momento di passaggio e innalzamento spirituale, e come parte del Qi Gong, la disciplina di origine cinese, che unisce tecniche di respirazioni e movimenti simili a quelli delle arti marziali per ristabilire l’equilibrio psicofisico attraverso l’esercizio (gong) dell’energia vitale (qi).
L’oro e il cerchio sono simboli del Sole, della luce che genera la vita, della rinascita che si ritrovano anche nei tre percorsi lungo i quali si articola l’offerta gastronomica, pensata come un viaggio di scoperta (menu Classico), avventura (menu Evoluzione) e approfondimento monotematico (menu Peking Duck). In tutti i casi le forme circolari si rincorrono, le tecniche di lavorazione antiche incontrano quelle più avanguardistiche e creative, e le ricette tradizionali accolgono ingredienti “estranei” provenienti da tutto il mondo.
Emblema di questa commistione, nonché di ricerca di equilibrio, esaltazione della bellezza e allusione alla sacralità, è il Raviolo d’oro: un omaggio al capoluogo lombardo attraverso la rivisitazione in forma di dim sum del suo piatto simbolo: il risotto alla milanese. Si tratta di un raviolo di pasta di riso aromatizzata allo zafferano tirata “al coltello”, che racchiude un ripieno di ragù di ossobuco, adagiato su una base di crema di risotto giallo e guarnito con il fondo di cottura della carne e una foglia di oro alimentare.
Qui come altrove la presentazione è elegante ed essenziale: ogni elemento del piatto è funzionale all’estetica ma soprattutto all’esaltazione dei sapori puri e all’equilibrio del gusto.
Il risultato è un’esperienza immersiva che non lascia spazio al superfluo, ma pone in primo piano l’eleganza della cucina e recupera il valore sacro dell’ospitalità, che si esprime attraverso una veglia discreta sulla sala e tanti piccoli gesti che rendono l’esperienza al Gong difficile da dimenticare.
Insomma, tra sacro e profano, illuminazioni sensoriali e segrete connessioni emozionali, l’oro in cucina non ha nulla a che vedere con la bramosia del possesso o con la vanità dell’esibizione: al contrario, è il riflesso della sacralità dell’ospite, dell’importanza dell’esperienza proposta al cliente, della generosità con cui gli viene offerta l’occasione per entrare in una dimensione “altra”, sublime, effimera quanto destinata a risuonare in modo persistente nelle sue corde più profonde.