When in ParmaLa cucina di precisione firmata Salvatore Morello

La doppia sfida del fine dining fuori dalle grandi città, in un delicato equilibrio di divertimento, tecnica ed educazione del cliente

Quali sono gli ingredienti per poter continuare negli anni a proporre una cucina di livello, a caro prezzo, lungo una statale di una cittadina media italiana?

Uscendo al casello di Parma ovest, in pochi minuti ci si ritrova dinnanzi il parallelepipedo grigio del ristorante Inkiostro, proprio davanti allo strategico Hotel Link 124 (stessa proprietà). Un progetto nato nel 2011 e che, grazie alla cucina di Franco Madama (prima a Modena da Fini poi all’Antica Osteria del Teatro di Dattilo Chiappini a Piacenza), conquista subito un Macaron nel 2012.

Dal 2015 per sei anni il ristorante vive un momento di svolta decisivo e radicale per mano di Terry Giacomello, lo chef in assoluto più spagnolo d’Italia nel senso più creativo e straniante del termine. Una scelta coraggiosa che ha segnato il percorso del ristorante collocandolo in una posizione di ristorante di ricerca, fine dining espressivo non di facile lettura e che quindi con l’inizio della pandemia, al termine del sodalizio con Giacomello, si trova a ripensarsi completamente.

«[…] La vita di Inkiostro ha attraversato una fase di fanciullezza, quella con Franco… bella mano, semplice e di immediato respiro, non propriamente un fine dining se non nel servizio (il maitre Daniele Molinaro è con noi dal 2014) e nell’impostazione generale. Una seconda fase di adolescenza, in cui con Giacomello abbiamo giocato – passami il termine –  e sperimentato, e infine la maturità, ora con quello che vogliamo e sentiamo di essere: eleganza, raffinatezza, consapevolezza». Così racconta Francesca Poli, anima del ristorante insieme a sua sorella Federica e a tutta la famiglia, albergatori e ristoratori da cinquantaquattro anni.

Ad oggi, novembre 2023, questo ormai storico fine dining non smette di avere successo, attirando clienti italiani, locali e non, e numerosi stranieri. Una doppia vittoria, se vogliamo, che non è casuale o fortuita bensì riconducibile a fattori fondamentali. Francesca stessa è la prima parte della risposta, ovvero una proprietà sempre presente, attenta alla propria clientela – agli avventori occasionali così come ai businessman – con un grande senso del dovere e un’etica del lavoro ben radicata. Come vuole la vecchia scuola, risponde al telefono, prende le prenotazioni, tiene i rapporti con la stampa, gira tra i tavoli e non si siede a fare chiacchiere con i clienti ma piuttosto aiuta a completare il servizio. La seconda parte della risposta si chiama Salvatore Morello, executive chef del ristorante Inkiostro ormai da tre anni a questa parte.

Nato a Catanzaro trentasei anni fa, una formazione ad altissimi livelli che lo vede impegnato per più di dieci anni tra Francia, Belgio e Germania, la grande serietà professionale di Morello dimostra il suo non essere un cuoco adagiatosi sul benessere del ristorante ma anzi, un soldato sempre in prima linea. «Durante la pandemia dovevo scegliere il nostro nuovo chef. Prendo aerei, treni e auto e giro su e giù per l’Italia a provare vari candidati, fino a quando arrivo da Salvatore Morello, classe ’85, rientrato in Italia dalla Germania a causa del Covid. Ti confesso che rimasi piuttosto sorpresa: bellissima mano, definita nei gusti e nelle linee, coerente e identitaria».

Il suo percorso degustazione è la prova, a suon di portate, che un ingrediente così come una ricetta non hanno limiti di sviluppo, creatività, costruzione. Il lavoro di cura dietro ogni singolo impiattamento è minuzioso, ricco di particolari, di dettagli, di consistenze, di guarnizioni che sembrano puramente estetiche mentre il contraltare in bocca ne dimostra l’effettiva utilità. Ogni elemento del piatto ha una spiegazione – dovrebbe averla sempre ma non è così che accade – oltre che una genesi precisa legata ai luoghi in cui Morello si è formato. L’impostazione dell’esperienza segue un impianto classico, con un benvenuto articolato in sei assaggi, un’infilata di portate ancora generosa in porzioni (forse troppo?), dove non mancano le finiture al tavolo, i racconti dello chef, le pause, l’introduzione al pane, il pre-dessert, e i petit four al termine.

La carta dei vini è un tomo rilegato in pelle nera di molteplici pagine e stampato in carta spessa, old style but unique, ricco di etichette da tutto il mondo quindi, salvo non vi concediate tempo illimitato alla lettura, non indugiate a chiedere un consiglio. Il suggerimento di abbinare spiriti e bevande analcoliche è particolarmente efficace: sakè, vermouth, tè e infusi si alternano in un pairing che non ha nulla da invidiare agli abbinamenti vinosi tradizionali.

Tante delle cucine contemporanee provano a lavorare in modo estensivo il mono ingrediente o la singola stagione mentre quella di Morello è una cucina che appaga prima l’occhio e poi il gusto, vuole apparire preziosa e maestosa. I piatti sono composti con la minuzia di mondo in miniatura fatti di colori, decorazioni, creme, salse, fondi, cialde croccanti, gel, fiori, e con un raziocinio che incontra più spesso il gusto tedesco che quello italiano.

Questo lavoro certosino e artigianale di composizione del piatto si è (era) un po’ perso nelle cucine contemporanee, compreso il fine dining che di solito tende ad un minimalismo estremo quasi essenziale. Qui invece si recupera questa sfumatura dell’alta cucina che anche nel dietro le quinte, nel lavoro di formazione del personale e nella costruzione di una squadra di lavoro è altamente impegnativo per lo chef così come per i giovani ragazzi del team.

Nonostante la città, Parma, e il suo territorio siano una delle zone più ricche e gloriose della gastronomia italiana, Inkiostro non racconta della Pianura e del suo contesto, ma qui si viene per godere di uno spettacolo diverso. Per ammirare una cucina cerimoniosa, celebrativa della mise en place e della preparazione gastronomica nella sua forma più vera ed eseguita dal team giovane e determinato. Tutto il percorso è pervaso da un manierismo tecnico proprio di alcuni ristoranti francesi di altissima fascia tuttavia, a differenza della scuola d’Oltralpe in cui prevalgono morbidezze, setosità e grassezze, qui si spinge verso una ricerca costante di umami, sapidità e acidità. Ne è un esempio perfetto il piatto di pasta prototipo, in qualche modo ancora sperimentale e quasi introvabile in Italia, che prende il nome di Atavi.

Una bavetta – la forma è esattamente quella – ottenuta dal germe di grano fermentato al koji e sviluppata direttamente da Albert Adrià nell’ottica di un piatto a impatto zero, sostenibile e plant based. Morello lo propone con un beurre blanc alle ostriche che, grazie ai solfiti della salsa, risulta cremoso in bocca (cottura perfetta) e con una nota acida più che spinta ma assolutamente calzante.

All’interno del menu, il vegetale c’è ma in una versione ancora di accompagnamento e pressoché mai protagonista, sempre in supporto a ingredienti più “pesanti” nel piatto: ostrica, piccione, agnello, razza. Per una cucina di precisione ci vuole uno chef ancora più rigoroso, ligio al dettaglio, e Morello in questo è l’emblema del professionista la cui presenza – in sala e al ristorante – è costante. Un aspetto di accompagnamento, supervisione e formazione che spesso viene trascurato ma che nelle realtà di fine dining di grande creatività e fuori dai grandi centri resta una prerogativa fondamentale.

Ristorante Inkiostro
Via San Leonardo, 124 – Parma

Photo courtesy Gianluca Poli 

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter