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Nel tentativo di fare quello che ancora ci ostiniamo a chiamare su queste pagine “giornalismo”, di recente abbiamo più volte sentito l’impulso di pubblicare articoli che fossero riflessioni estese, critica della critica, studi alti su un tema a noi caro o caro al momento storico. Questo perché ci piace poter raccontare un settore apparentemente leggero come quello gastronomico dandogli un taglio e un peso che non siano esclusivamente entertainment ma si facciano cultura, politica, vita sociale, religione, economia, mondo del lavoro.
È vero però che amiamo altrettanto promuovere una forma di resistenza, dobbiamo chiamarla, giornalistica: sì signori, di questo stiamo parlando, di ciò che è eticamente corretto scrivere – non necessariamente pensare, badate bene. Riflettiamo su quale possa essere il giusto modo di porsi, la fonte più appropriata da intervistare. Tutto ciò che ci può aiutare a raggiungere la veridicità dell’informazione, evitare il pugnale e sposare quella via così difficile, mistica per alcuni e sicuramente impervia della verità!
Perché al di là di poterci guardare allo specchio sereni del nostro operato, potremo rincuorarci di essere state persone sincere, professionali non per i protagonisti delle nostre parole ma (soprattutto) per coloro ai quali le consegniamo. Il lettore! Dove è finito il rispetto per chi dedica del tempo a leggere i nostri testi, per chi sceglie la nostra testata, la nostra firma prima di altre? Senza pensare a chi in aggiunta paga per il servizio. È sempre più evidente come la gratuità di certe piattaforme di comunicazione stia totalmente perdendo il controllo – e quindi la qualità – di quello che viene lanciato nell’etere. L’accessibilità dell’informazione e della sua fruizione – da ambo i lati di chi invia e chi riceve – stanno passando da risorsa all’essere una brutta bestia.
Nel frattempo, non ci resta che attendere con occhi e orecchie sempre più attenti a filtrare il buono.
C’è focaccia e focaccia
Un’estate in Liguria – forse la trentesima ormai – e tornare volendosi tatuare una sleppa di focaccia sul braccio. Non è questa la sede per chiedervi se siete più team dolce o salato perché, di fatto, credo che nessuno – salvo i celiaci che ci leggono in questo momento cui chiedo un sospiro di pazienza – possa obbiettare che la focaccia è qualcosa cui non si può resistere.
Andando a guardare di regione in regione c’è chi la fa alta chi bassa, con lievitazioni differenti e più o meno numerose, con le patate nell’impasto o semplice, condita o no. C’è anche chi la considera più un dolce e quindi la cosparge di granelli di zucchero e la farcisce di creme e cremine.
Al di là delle meravigliose differenze che caratterizzano le sfumature della nostra cucina regionale, quella spianata giallognola bucherellata e golosa di olio è un cibo che crea dipendenza. La focaccia ligure, quella genovese per intenderci, è alta circa un centimetro – posso concedervi di arrivare a due – prodotta con olio extravergine di oliva e ricchissima di œggi, occhi, dal centro bianco e cremoso. È morbida ma non panosa, non è acida e profuma di olio fragrante. All’interno dei suoi occhi dovreste vedere una sorta di cremina, di colore bianco, che si forma per via della salamoia che si spennella prima di infornare e del suo contatto con l’impasto. Qui non si scherza: la salamoia è tutto! Acqua, sale e olio dosati in maniera perfetta per creare la giusta umidità e morbidezza ma senza appesantire l’impasto. Si ordina a pezzi, tranci, appunto sleppe, sempre piuttosto generosi. Lasciate pure al caldo le vostre “madri” perché i liguri usano il lievito di birra e cuociono il tutto in forno.
Nota bene: quella che vi viene proposta come focaccia di Voltri (Genova Voltri) è pressoché una versione similare ma croccante, quasi come una schiacciata spessa. Due mondi, due ricette.
Dalla fugassa ai fugassin
Non è altrettanto facile districarsi all’interno del ventaglio delle focaccette o “fugassin”, tenero diminutivo dialettale della sorella grande “fugassa”. Gli stili di produzione si differenziano a seconda delle tradizioni locali e dei paesini e ognuno tende a far primeggiare le proprie.
È bene però marcare subito una differenza: le focaccette sono fritte e non cotte in forno. Quelle di Crevari (Ge), che dettano legge sulla ricetta comunemente più facile da trovare nella riviera di Ponente, hanno un impasto di patate, lievitato e successivamente fritto. Si ritrovano spesso alle feste di paese, alle sagre del pesce azzurro, insieme a coni di pescetti fritti e risotti di mare.
Ancora più da dipendenza sono le focaccette di Megli, una sorta di focaccia di Recco in versione piccolo boccone. Sempre di frittura parliamo, ma queste sono farcite con lo stracchino, quindi caratterizzate da quella leggera nota acidula tipica di questo formaggio nella sua versione cotta. Roventi e buonissime!
Food talks from Bucharest
Come promesso, vi avevamo accennato alle nostre peregrinazioni in Est Europa e Bucarest è stata la prima meta. Consci del fatto che la cultura gastronomica rumena non vanti grandissima profondità – di prodotto, di tempo, di tecnica, di storia – possiamo però felicemente constatare che le nuove generazioni si stanno dando da fare.
Bucarest ci è sembrata una città particolarmente desiderosa di vivere i suoi spazi all’aperto, bramosa di socialità, di aree comuni, poco propensa a fronzoli e formalismi. Mentre il mondo della miscelazione sta ancora vivendo un momento di scoperta e di sviluppo in questa città, la ristorazione può vantare una serie di indirizzi particolarmente interessanti e capaci, oggi come oggi, di coprire l’intero arco della giornata.
Il brunch come la colazione, la cena easy come la serata romantica, l’esperienza da street food o il bistrot concettuale moderno, la pizzeria con cocktail bar annesso o la moderna trattoria contemporanea di ispirazione rumena ma con contaminazioni dal mondo. Insomma ci si diverte anche qui e, dettaglio non da sottovalutare, a prezzi assolutamente vantaggiosi.
Mom Bucharest: bistrot contemporaneo minimalista, in pieno centro e con cucina aperta tutto il giorno. Si pranza con porzioni abbondanti, una bella proposta vegetale in stile mediorientale, sapori decisi, spezie e peperoncino.
NOUA Bucătărie Românească: la creatura di Alex Petricean vanta oggi due sedi. Il ristorante gastronomico, dove potrete mangiare il racconto della cucina rumena contemporanea in chiave fine dining, e il tapas bar, decisamente più agile. Con una proposta food molto ampia, il Noua b.a.r. si addice meglio a gruppi di amici e tavole più numerose, con la possibilità di condividere piatti e piattini accompagnati da vini funky e cocktail.
Two Minutes Coffee Shop: sembra che la dipendenza dalla caffeina abbia invaso la capitale rumena perché a ogni angolo spuntano caffetterie specializzate in miscele locali e non, colazioni veloci stile Starbucks ma anche più esperienziali. Ci sono diverse catene e tanti esercizi indipendenti, ma loro sono dei veri draghi.
Bucătăria Local Comfort Food: una trattoria di quartiere evoluta, ormai ben rodata e alquanto gettonata tra la gente del posto, con diversi tavolini all’aperto, fiori, lucine e il vociare delle chiacchiere. Pochi piatti, porzioni iper abbondanti, prezzi medi e buon cibo. Anche qui prevale la carne sul pesce, la polenta non manca mai e il buon umore determina l’atmosfera quasi vacanziera di questo indirizzo.
Arte in terrina
Mentre Oltralpe sono dei veri maestri, noi non siamo mai stati né grandi fan né cultori. Una preparazione estremamente laboriosa e che per di più si mangia fredda, con gelatina annessa – che risulta divisiva ancora nel 2023 – fatta di carni miste e spesso e volentieri sapori animaleschi piuttosto intensi. Avete capito? Si tratta del pâté en croûte (o solo pâté croûte) sulla cui ricetta i francesi hanno creato un vero e proprio culto, un prodotto di cui vanno fieri e che rivendicano in tutto il mondo nella stessa categoria degli insaccati.
Oltre a trovarlo come entrée in molte trattorie e bistrot, si acquista in genere in gastronomia in versioni molto variegate e personalizzabili all’infinito. È il classico lavoro che può dare risultati strepitosi, a livello di gusto e a livello visivo, ma che rischia spesso di essere un po’ tremendone se di qualità scadente.
Il pâté croûte nel Medioevo era uno dei tanti modi di conservare le carni, che venivano avvolte in involucri non commestibili e che nel tempo si sono trasformati in pasta sfoglia o pasta brisée. Oggi non solo ci sono varianti regionali che abbracciano carni rosse, bianche, piccoli volatili, funghi, così come ortaggi o tartufo, ma esiste un vero e proprio campionato.
Il Championnat du Monde de Pâté-Croûte vedeva una partecipazione esclusivamente francese da regolamento, oggi i maggiori nerd di tale preparazione – perché oggettivamente di questo stiamo parlando – arrivano da tutto il mondo. La controprova? Negli ultimi tre anni i vincitori sono stati tre chef giapponesi, rispettivamente: Osamu Tsukamoto (2019) del Cerulean Tower Tokyu Hotel a Tokyo; Kohei Fukuda (2021), cuoco della gastronomia Metzgerei Sasaki di Tokyo; Ryutaro Shiomi (2022) del Kobe Kinato nella cittadina di Kobe.
Code (golose) d’estate
Nostalgici dell’estate e desiderosi di un consiglio ex rotte battute? L’occasione da non perdere di questo mese, per soli 45 giorni, è il menu di carne che Jacopo Ticchi nella sua Trattoria da Lucio propone in occasione del fermo pesca del Mar Adriatico. Il maestro giovane delle frollature del mare, della lavorazione del pesce dalla testa alla coda comprese squame e pelle, passa allo studio e riproposizione della carne animale, come alternativa sostenibile ambientale e (chiaramente) di cucina. Merita il viaggio andata e ritorno perché c’è ora e poi non più.
Se siete tipi da sagra salvatevi assolutamente le nuove date dell’edizione 2023 di Cheese a Bra (15-18 settembre 2023). Più che una sagra in effetti, la manifestazione di Slow Food dedicata al formaggio italiano e non solo torna quest’anno con ancora più appuntamenti, partecipanti, eccellenze gastronomiche, laboratori dedicati al mondo della produzione casearia. A questa sarà facile attaccare una due giorni in Langa tra cantine in vendemmia, borghi storici e ristoranti d’autore.
Se vi piace la montagna potreste pensare di fare un salto a trovare Michele Lazzarini in Val Seriana, in provincia di Bergamo. Pensate a una giornata al fresco da Contrada Bricconi, assaggiando una cucina di reinterpretazione territoriale, riuso e riscoperta del prodotto locale interpretata da un team giovanissimo e affiatato.
MOM Bucharest
Str. Franceză, 2-4 – București, Romania
NOUA Bucătărie Românească
7 Popa Nan Street – Bucharest, Romania
NOUA B.A.R
Bulevardul Ion Mihalache, 16 – Bucharest, Romania
Two Minutes Coffee Shop
Constantin D. Aricescu, 50A – Bucharest, Romania
Bucătăria Local Comfort Food
Strada Ion Slatineanu, 30 – Bucureşti Sectorul 1, Romania
Trattoria Da Lucio
Viale Amerigo Vespucci, 71 – Rimini
Contrada Bricconi
Via Bricconi, 3 – Oltressenda Alta (Bg)