Secondi alcuni il generale Mario Mori è una leggenda della lotta al crimine organizzato e al terrorismo, per altri è stato un nemico da abbattere per via giudiziaria. Di certo ha passato anni nella veste di imputato nei tribunali (favoreggiamento di Cosa Nostra per ritardata perquisizione del covo di Totò Riina, favoreggiamento del boss Bernardo Provenzano, la trattativa Stato-Mafia): sempre assolto con formula piena o per non aver commesso il fatto. Adesso pubblica un libro, scritto insieme al Capitano Giuseppe De Donno: “La verità sul dossier Mafia-Appalti / Storia, contenuti, opposizioni all’indagine che avrebbe potuto cambiare l’Italia” (Piemme editore). Lo incontriamo a casa sua, a Roma.
Generale, qual è la verità nel rapporto tra mafia e appalti?
La verità è documentale, nei fatti, nel condizionamento degli appalti pubblici. Non è sempre vero il luogo comune per cui la mafia condiziona i poveri imprenditori e i poveri politici, e li obbliga a subire. Noi dimostrammo che in Sicilia allo stesso tavolo sedevano imprenditori, politici e mafiosi, alla pari, e si spartivano tutto, adottando il sistema delle perizie di variante che garantiva l’aumento costante di quanto incassavano, in modo che ce ne fosse a sufficienza per tutti. Quando nella Palermo degli anni Novanta abbiamo buttato quel macigno nello stagno, aiutati da Falcone e Borsellino, che avevano capito, abbiamo creato uno scatafascio.
Perché qualcuno ha reagito?
E anche perché chi non reagiva, magari qualche magistrato, si trovava in imbarazzo, magari dovendo procedere verso uno che faceva parte del suo giro di amicizie. Questo fatto, tra conoscenze, connivenze e amicizie, ci ha inimicato buona parte della magistratura siciliana. Con Borsellino questa rottura era arrivata all’estremo, perché si era reso conto che si colpiva il sistema perverso degli appalti a livello nazionale, con la Calcestruzzi, un gigante e uno dei gioielli della Ferruzzi, finita in mano ad Antonino Buscemi, amicissimo di Riina. Borsellino è morto per questo.
Lei è passato dall’antiterrorismo alla collaborazione con Falcone e Borsellino, poi comandante dei Ros, i Reparti Operativi Speciali dei Carabinieri, e infine l’intelligence, come direttore del Sisde, i Servizi segreti per l’interno. Cosa pensa degli scenari aperti dall’invasione russa in Ucraina e dall’attacco di Hamas a Israele?
Credo che questa volta Israele andrà fino in fondo con Hamas. Magari lo avrebbe fatto comunque, ma adesso, dopo la bruttissima figura che ha messo sotto accusa il buco dei Servizi segreti, è obbligata.
Ma come è stato possibile l’attacco a sorpresa? Dove ha sbagliato l’intelligence israeliana?
Conoscendo i Servizi israeliani era quasi impossibile che non si accorgessero di nulla. Ma hanno commesso l’errore di affidarsi troppo al controllo elettronico, mentre cedevano terreno sul piano del rapporto umano, cioè le fonti tra i palestinesi, che invece avevano a disposizione. Vede, bisogna distinguere l’attività giudiziaria dall’intelligence. La differenza tra un ufficiale di polizia giudiziaria e un uomo dell’intelligence è questa: il carabiniere o il poliziotto sogna di catturare Bin Laden. L’uomo dell’intelligence sogna di farlo diventare una sua fonte.
Ma lei stato ambedue!
È vero, io ho fatto tutte e due le cose, e infatti mi andavano bene sia l’una cosa che l’altra. Però essere stato carabiniere e poi nell’intelligence, dove ho fatto l’operativo, il mestiere in strada, e successivamente il direttore del Servizio, voleva dire una cosa: a non me la poteva raccontare nessuno.
L’altro conflitto vicino è tra Ucraina e Russia. Come se ne esce?
Rimarrà nel tempo. La Russia non cederà mai la Crimea, che è strategica, e nemmeno il Donbas, che è pieno di minerali. Il resto dell’Ucraina non gli interessa affatto, il grano ce l’hanno pure in Russia. Alla fine si arriverà a una tregua coreana.
Lei vede una situazione di pericolo per l’Italia in questo momento?
No, non particolarmente. Gli italiani per esempio hanno un rapporto particolare con il mondo arabo.
Per quale motivo?
Noi siamo ben accetti da tutti e con noi il dialogo è sempre ben visto, perché non abbiamo il retaggio coloniale che hanno invece Francia e Regno Unito, paesi che hanno un modo di porsi non più tollerato al di là del Mediterraneo. Gli americani invece non sono accettati per il loro strapotere e la loro invadenza, a volte, quando si tratta di stabilire le modalità nei rapporti con altri Servizi.
Per questo gli italiani sono rimasti fuori dalla cornice di attentati che ha colpito Londra, Parigi e Bruxelles?
In quelle capitali è meglio stare più attenti. Poi, certo, il rischio del matto che fa la sparata c’è sempre e ovunque, ma un’organizzazione seria, pericolosa per le istituzioni, in Italia, non mi risulta. E poi c’è un’altra cosa. Il livello della nostra polizia, a livello europeo, è ottimo. Il lavacro delle Forze di polizia italiane è avvenuto col caso Moro. Prima avevamo un’organizzazione anteguerra, non dico borbonica ma poco ci mancava. Il caso Moro ha dimostrato la nostra inettitudine, ed è cambiato tutto. Adesso, lo dico senza esagerare, noi abbiamo la miglior polizia giudiziaria europea, perché uniamo la professionalità alla brillantezza tipica del nostro modo di essere.
Mi fa un esempio?
Quando ero operativo al Sid (Servizio informazioni difesa), entrammo in un posto dove non si poteva entrare, e trovammo una serie di valutazioni dei Servizi militari russi. Su di noi dicevano: gli italiani non si sa mai come prenderli, perché si comportano a seconda di come si sono svegliati la mattina. Per loro era una cosa veramente problematica, perché noi sapevamo benissimo come si comportavano i russi, cioè in maniera sempre uguale, mentre loro non sapevano mai come ci comportavamo noi, perché non riuscivano a capirci.
Non può essere solo questo il punto di forza.
La nostra intelligence e le nostre Forze di polizia hanno avuto nei decenni un ventaglio di avversari e di nemici che non ha avuto nessuno. Noi abbiamo avuto il terrorismo interno, la criminalità organizzata, Mafia, Camorra, ’Ndrangheta, e poi il terrorismo internazionale. Li abbiamo affrontati tutti. Quindi adesso abbiamo una cultura completa, che gli altri Servizi, o le altre Polizie, in Europa non hanno.
E lei con chi aveva un buon rapporto?
Io parlavo volentieri con i Servizi egiziani, che mi dicevano sempre: noi capiamo voi italiani, ma gli altri occidentali non li capiamo. Noi abbiamo tremila anni di storia, cosa ci vogliono insegnare?
Abbiamo anche, tradizionalmente, una capacità di buoni rapporti, un tessuto diplomatico notevole.
Certamente sì. Bisogna però fare un’altra distinzione. I Servizi israeliani adesso hanno fatto una scivolata, che mi ha molto meravigliato, ma è vero che tutti hanno sempre parlato della loro efficienza. Però loro sono un grande Servizio segreto di un piccolo Stato, se parliamo delle grandi nazioni, i migliori con cui mi sono confrontato erano inglesi e russi. Su un piano leggermente inferiore, ma non tanto, ci sono i cinesi, i francesi e gli iraniani, perché hanno tutti una storia imperiale, una cultura, un background, l’elaborazione sviluppata nel tempo di un sistema conoscitivo che penetra molto dentro la realtà che si vuole conoscere. La tradizione di quei paesi li connota in maniera decisamente diversa rispetto agli americani, che sono dei parvenu, però con molti soldi a disposizione. Ed è anche vero che, essendo gli Stati Uniti una potenza mondiale, devono poter coprire tutto il vasto teatro di impiego della loro potenza. Ci vogliono tanti soldi.
E intanto la Cina sta guadagnando rapidamente terreno.
La Cina ha una capacità di penetrazione data anche dai numeri. Per affrontare un problema noi ci mettiamo cinque persone, loro ce ne mettono cinquemila, e quindi alla fine, con studio , applicazione e ricerca minuta, i risultati arrivano. Dirò di più: se noi bianchi andiamo in Egitto o in Niger, dopo un po’ ci identificano e si chiedono: ma questi due bianchi che ci fanno qua? Per il cinese era lo stesso, però loro guardano lontano – solo la Chiesa guarda lontano quanto loro – e hanno mandato in giro per il mondo i loro cittadini, occupando veri e propri quartieri nelle grandi città. Non che siano tutti membri effettivi dei Servizi cinesi, ma possiamo stare sicuri che riferiscono tutto.
Ne ha avuto riscontri in Italia?
Le racconterò un episodio di quando ero in Servizio. Avevamo molti indizi che il rappresentante commerciale dell’Ambasciata cinese a Roma facesse spionaggio. Era infatti l’unico che poteva uscire facilmente dall’Ambasciata e andare in giro perché doveva sempre incontrare persone, aziende. Noi riuscimmo a mettere delle microtelecamere, e un prete cinese ci faceva da traduttore. Così vedemmo come stavano le cose effettivamente: chiedeva sempre in Cina come comportarsi. Ricordo una riunione in cui diceva: l’ambasciatore è venuto qui a Roma con la moglie, adesso come dobbiamo regolarci? Allora decidemmo di muoverci e gli tirammo addosso una ragazza, che avevamo reclutato in via Veneto, una donna bellissima, di grandissima intelligenza, con un ottimo inglese e di grande classe. Quello abbocca subito. I due si incontravano sempre in un albergo romano, che noi avevamo trasformato in una specie di set cinematografico, con telecamere e microfoni dappertutto. Quando lo abbiamo preso capì che non sarebbe più potuto tornare in Cina e defezionò, decidendo di passare all’occidente. La delusione nostra, di noi che avevamo lavorato al caso, fu che come Italia non avevamo la capacità di gestire un diplomatico cinese, con tutta la capacità e le conoscenze che poteva avere, e alla fine fu consegnato agli americani. è stato il primo caso di defezione di un diplomatico cinese in Europa.
A proposito di Cina, cosa vede per Taiwan?
Loro sanno che, malgrado le sparate a parole, Taiwan non la prendono, perché dal punto di vista economico e industriale, prima che politico, l’America non la può cedere. Rimarrà così.
Con guadagno di tutti, cinesi e americani.
Sì, il vero problema che ha la Cina è la gestione del Pacifico, una questione complessa, che vede sullo stesso scenario non solo la Cina e l’America, ma anche l’India, il Vietnam, il Giappone. Comunque una cosa è certa: il mondo moderno si sta spostando a est, verso l’Asia. Noi europei ormai siamo in declino.
Ha messo anche l’Iran tra le Nazioni più preparate nel campo dell’intelligence.
Però con una differenza: Stati Uniti, Russia e Cina sono potenze mondiali, mentre l’Iran è una potenza regionale, che ha il problema di avere nell’area della Mezzaluna fertile dei nemici che deve riuscire a controllare.
Anche l’Italia è una potenza regionale?
Sì, con in più l’handicap, come intelligence, che, tranne qualche bella eccezione, abbiamo un mondo politico che non ne capisce nulla.
Possibile che tra i politici non si salvi nessuno?
Un tempo c’era Cossiga. In questo momento solo Marco Minniti, che è veramente preparato. è l’unico che è in grado di andare a parlare non solo in Cina ma pure in Iran, ed essere ricevuto da pari a pari.
Intanto qualcuno parla di un’intelligence comune europea.
Impossibile, è come la politica estera europea: adesso è impossibile.
Però la difesa della democrazia passa sempre dall’Intelligence.
Certamente sì, e c’è un settore particolare dell’intelligence che in questo momento è molto importante, ma nel quale siamo come al solito in ritardo: è l’Intelligence economica. In questo campo Giappone e Francia sono un passo avanti a tutti. I francesi la chiamano guerra economica. Non che si debba essere nemici, ma i francesi dicono: siamo amici, però ci facciamo concorrenza. Sarkozy, Hollande, Macron si sono sempre mossi così. La guerra in Libia, per i francesi, non si è fatta per togliere di mezzo Gheddafi, ma per togliere di mezzo noi. Dopodiché le cose non sono andate tutte come previsto: noi abbiamo perso la Libia, ma la Francia ha perso l’Africa.
Quindi il futuro dell’intelligence è nella guerra economica?
Sì, diciamo che si tratta di vedere chi arriva prima a vendere sette cacciatorpedinieri al potentato africano di turno.
E nello spazio che ruolo gioca l’intelligence? I satelliti, anche a bassissimo costo e a disposizione di qualunque Nazione, se stanno lassù a centinaia a registrare tutto, quasi in assenza di regole specifiche.
Lo spazio è ancora per lo più un settore tecnico-militare e quindi la competizione è essenzialmente su questo piano. Per ora l’intelligence segue.
Per chiudere, lei quanti segreti porta con sé?
Io non porto nessun segreto mio, io porto con me alcuni segreti, che però non sono miei perché appartengono allo Stato, e quindi non ne posso disporre.