Saper farePer valorizzare il talento italiano bisogna progettare nel lungo periodo

Francesco Billari, rettore dell’Università Bocconi, e Dario Rinero, amministratore delegato del gruppo Lifestyle Design, parlano con Valentina Ardia di formazione, lavoro e del valore della manifattura

Ph. Lorenzo Ceva Valla

Il futuro delle nuove generazioni in Italia è incerto. Crisi demografica, immigrazione, formazione dei talenti, futuro del lavoro, intelligenze artificiali e istruzione sono tematiche attuali, che devono essere affrontate con una strategia sul lungo periodo.

«Seguendo la metafora dell’orologio, la politica è la lancetta grande, quella che segue l’emergenza e il momento. Poi c’è la lancetta un po’ più corta, l’economia, che necessita una pianificazione più attenta. La lancetta più lenta, quella che sembra non muoversi nell’orologio è quella più corta di tutte, è quella della demografia, che si muove con i tempi delle generazioni, non è visibile, ma inesorabilmente porta al cambiamento delle nostre società», spiega sul palco de Linkiesta Festival Francesco Billari, rettore dell’Università Bocconi.

La lancetta corta rappresenta anche quanto accade al nostro capitale umano: alla formazione e a tutte quelle cose che sono essenziali, anche se serve tempo per raccoglierne i frutti. «Stiamo costruendo un domani problematico», continua Billari. La situazione demografica italiana è drammatica: si registrano poche nascite, mentre sullo ampliando lo sguardo sullo scenario globale la situazione è molto diversa. «Oltre ad avere pochi nati, l’Italia non sta trattando bene giovani e bambini – continua Billari – . Siamo il fanalino di coda per il numero di laureati, per non parlare del tema dei Neet (Not in Education, Employment or Training). Con l’immigrazione stiamo seguendo invece la lancetta dei secondi: viviamo in un perenne stato di emergenza, quando in realtà ormai sappiamo che l’immigrazione è un fenomeno strutturale e non emergenziale».

I numeri sono preoccupanti anche per quanto riguarda i mestieri legati al design. È sempre più difficile trovare capitale umano per poter ricoprire alcune mansioni: da una parte si registra infatti una grande richiesta di lavoro artigianale e specifico; dall’altra, invece, un’incapacità nel rispondere a quest’esigenza dal punto di vista scolastico. «Il settore del food e del fashion sono diventati grandissimi negli ultimi anni – ha affermato Dario Rinero, amministratore delegato del gruppo Lifestyle Design –, mentre il mondo dell’arredamento rimane un ambito residuale. Il Paese ha un problema dal punto di vista industriale e il governo dovrebbe riconoscere che la manifattura in Italia è una grande opportunità».

L’Italia è il più grande paese manifatturiero per prodotti con valore aggiunto. Un futuro nell’ambito manifatturiero, quindi, c’è e sta in un tipo di produzione di alto livello. «C’è un problema, ma non è irrisolvibile: l’istruzione può aiutare e dal punto di vista delle imprese ci si può rivolgere a persone che aspirano a diventare artigiani. Abbiamo la fortuna di avere diversi stabilimenti in distretti industriali sparsi in tutta Italia». Negli Stati Uniti, per esempio, è stata introdotta un’università interna, che offre dei corsi specifici per persone che si trovano a livello professionale nella condizione in cui possono frequentare l’università.

Sembra primario, quindi, iniziare ad affrontare il tema dell’artigianalità anche nelle scuole. Per sostenere una vera riforma culturale che porti i ragazzi e le ragazze ad affrontare dei percorsi formativi interdisciplinari è necessario partire da percorsi di collaborazione tra le scuole. «Se vogliamo invertire la rotta possiamo osservare come si muovono gli altri paesi – spiega Francesco Billari. Dal punto di vista del sistema dobbiamo avere una visione di lungo periodo, c’è bisogno di proporre percorsi formativi completi che pongano le basi per affrontare successivamente studi più specialistici. La riforma deve portare a una scuola più generalista e che dia poi maggiore flessibilità nella scelta delle materie».

Uno dei temi che andranno affrontati è anche quello legato all’intelligenza artificiale e alla transizione digitale. «Non dobbiamo dimenticarci che per generazioni abbiamo visto nei lavori da ufficio una promessa di emancipazione – chiarisce Rinero. Oggi c’è una grande volontà di tornare alla terra, di vedere le cose fatte e realizzate». Secondo il Fondo monetario internazionale, tra quindici anni il sessantacinque per cento dei lavori di oggi non esisteranno più. Si tratta di quei lavori caratterizzati da attività ripetitive, «penso che ci sarà un’espansione del lavoro di progettazione, anche nel settore manifatturiero».

«In questo senso, le intelligenze artificiali spostano la lancetta in avanti su alcuni temi – ha commentato il Rettore –. Dobbiamo formare delle persone che saranno in grado di imparare e continuare a imparare. Dobbiamo approcciarci alle AI con una sana dose di scetticismo, perché in quei processi non siamo attori primari».

Tornare al Made in Italy è necessario, ma non è la soluzione definitiva. È primario diffondere un lifestyle che possa essere trasmesso anche alle nuove generazioni, figlie delle ondate migratorie, ritornando alla valorizzazione territoriale dei prodotti ed educando al saper fare.

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