«Completare la nostra Unione è la chiamata della storia», dice Ursula von der Leyen a una sala stampa mai così piena. La Commissione europea ha deciso di raccomandare l’inizio dei negoziati di adesione all’Ue per l’Ucraina e la Moldova, lo status di Paese candidato per la Georgia e l’inizio dei negoziati condizionato a ulteriori progressi per la Bosnia-Erzegovina. Il messaggio complessivo è una sostanziale apertura ai Paesi dell’Europa dell’Est che vogliono entrare nell’Unione; quello più diretto, immediato ed emotivo riguarda le aspirazioni ucraine. «Dieci anni fa iniziarono le proteste del Maidan, in cui si sparava alle persone avvolte nella bandiera europea. Oggi, dieci anni dopo, è una giornata storica», le parole con cui ha iniziato il suo discorso la presidente della Commissione, che evita comunque di fissare una finestra temporale per l’ingresso di nuovi Stati membri.
La valutazione sull’Ucraina era la più attesa del «Pacchetto allargamento 2023», la serie di rapporti sui progressi compiuti dai Paesi che aspirano all’ingresso nell’Unione europea. Kyjiv ha già compiuto il novanta per cento dei passi richiesti nel precedente rapporto, ha spiegato la presidente, con gli avanzamenti principali negli ambiti della riforma della giustizia, dei diritti delle minoranze e nella lotta alla corruzione, al riciclaggio di denaro e allo strapotere degli oligarchi.
Nel dettaglio, il documento relativo all’Ucraina delinea gli obiettivi raggiunti e i progressi ancora da compiere, in un contesto particolarmente difficile: le «circostanze eccezionali connesse all’aggressione militare della Russia». Sul funzionamento del sistema giudiziario, ad esempio, sono stati fatti notevoli passi avanti: «L’Alto Consiglio di Giustizia e l’Alta Commissione di Qualificazione dei Giudici sono stati ristabiliti, dopo un processo trasparente con il significativo coinvolgimento di esperti indipendenti», cosa che ha permesso di mantenere la macchina giudiziaria operativa ed efficiente anche durante il conflitto. A questo proposito, sono stati registrati 107.951 casi di atrocità legate alla guerra, con duecentosessantasette persone incriminate e sessantatré condanne per crimini di guerra.
Progressi anche nella lotta alla corruzione, in particolare con l’istituzione di un «quadro istituzionale anti-corruzione» e una serie di indagini su casi di corruzione ad alti livelli. I due uffici anti-corruzione ucraini hanno migliorato la cooperazione fra loro e il sistema telematico di dichiarazione delle proprietà, inizialmente sospeso durante la guerra, è stato ripristinato e aperto al pubblico. Contro la criminalità organizzata, Kyjiv ha aumentato il numero di operazioni congiunte con Paesi dell’Ue, per combattere il traffico di armi ed esseri umani, oltre ai reati informatici.
Altre importanti riforme sono state adottate nell’ambito delle libertà e dei diritti fondamentali, come la promulgazione di una nuova legge sulla stampa, la ratifica della Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne e la pianificazione di una strategia nazionale per l’uguaglianza di genere. «Buoni progressi» si registrano sul fronte della libertà d’espressione, nonostante una concentrazione dei media che ha ridotto il pluralismo informativo successiva al crollo del mercato editoriale e pubblicitario come conseguenza del conflitto.
L’economia nazionale, calata del 29,1 per cento nel 2022, ha comunque mostrato più resilienza del previsto, scrive la Commissione europea: il settore bancario rimane stabile e operativo con un”ampia liquidità a disposizione, mentre lo stato delle finanze pubbliche si va deteriorando a causa dei costi della guerra e il significativo spostamento di persone, sia all’interno del Paese che verso l’estero, condiziona pesantemente il mercato del lavoro.
Nel complesso, l’Ucraina rimane in piena corsa per assumersi gli obblighi derivanti da un’eventuale adesione all’Ue: ai progressi registrati nell’area del movimento dei capitali e delle merci si affiancano quelli definiti «buoni» nella trasformazione digitale e quelli «limitati» nelle politiche sociali, industriali e nella ricerca scientifica. A causa dell’invasione russa, sottolinea il rapporto, nessun avanzamento è stato possibile in termini di politica economica e monetaria. Molti ne sono stati fatti, invece, per quanto riguarda la politica estera, di sicurezza e difesa, ora quasi completamente allineata a quella dell’Ue: nel 2022 il tasso di decisioni e dichiarazioni convergenti è stato del novantatré per cento
Le riforme mancanti
Naturalmente ci sono ancora dei vuoti da colmare per il governo ucraino. L’ambito più preoccupante sembra quello del rispetto dei diritti delle minoranze, che comprende anche la sfera linguistica: un tema particolarmente delicato vista la fortissima presenza di russofoni nel Paese. Come si legge nel rapporto, l’Ucraina deve ancora emanare una legge sulle minoranze nazionali che affronti le raccomandazioni legate alle leggi sulla lingua di Stato, sui media e sull’istruzione. Secondo la Commissione di Venezia, organo consultivo del Consiglio d’Europa che si occupa di democrazia e diritti, l’attuale legge non garantisce un giusto equilibrio tra la necessità di rafforzare la lingua ucraina e l’imperativo di tutelare i diritti linguistici delle minoranze. Pure il supporto per la comunità rom dovrebbe essere migliorato, sostiene la Commissione, con un piano d’azione concreto.
A mancare è anche una legge sulla protezione dei dati allineata con i dettami europei e soltanto «progressi limitati» sono stati registrati nella prevenzione di tortura e trattamenti degradanti nelle prigioni, ambito in cui è necessario un «cambiamento culturale nelle autorità», oltre che misure concrete per garantire di accertare le responsabilità.
Ma il governo ucraino sembra determinato a compiere tutte le riforme necessarie: il presidente Volodymyr Zelensky ha «anticipato» la Commissione pianificando i prossimi passi legislativi e istituzionali, e accolto la decisione assicurando che «tutte le decisioni necessarie saranno prese». La vice primo ministro Olha Stefanyshyna è stata più specifica nel prefigurare, in un’intervista, misure in arrivo sulla trasparenza e sulle influenze indebite del mondo degli affari.
Decide il Consiglio
L’apertura dei negoziati di adesione, comunque, non significa un automatico ingresso nell’Ue. Ne sanno qualcosa Turchia, Montenegro e Serbia, che hanno ricevuto l’ok per intavolare le trattative rispettivamente nel 2005, 2012 e 2014 e restano ancora oggi più o meno lontani dall’adesione. O L’Islanda, che ha persino mollato la presa, sospendendo i negoziati nel 2013 dopo tre anni di infruttuose trattative. Ma intanto sarebbe un altro importante segnale politico al Paese martoriato dalla guerra, anche considerando l’inusuale velocità del processo. L’Ucraina ha presentato la sua candidatura all’indomani dell’invasione russa, il 28 febbraio 2022, e in meno di due anni avrebbe completato due step: l’ottenimento dello status di candidato e l’apertura dei negoziati, per cui di solito servono decenni (nel caso della Macedonia del Nord, ad esempio, sono passati 17 anni tra una fase e l’altra).
Saranno i 27 Paesi attuali membri dell’Ue a decidere se adottare o meno le raccomandazioni della Commisssione: l’apertura dei negoziati con Ucraina e Moldova, quella condizionata a ulteriori progressi della Bosnia-Erzegovina, e il conferimento dello status di Paese candidato alla Georgia.
Gli ostacoli, fondamentalmente, sono due: la reticenza di vari Paesi, tra cui la Francia, a includere nuovi membri prima di una riforma radicale dell’architettura comunitaria, e i possibili veti di singoli governi interessati a ostacolare l’integrazione dell’Ucraina, o semplicemente a utilizzare il proprio benestare come moneta di scambio su altri fronti.
In questo senso, il principale indiziato è l’Ungheria di Viktor Orbán, che già si è discostata dalla linea della Commissione sulla guerra e potrebbe farlo ancora. Non servirà aspettare molto per scoprirlo: i capi di Stato e di governo dell’Ue si incontreranno fra un mese a Bruxelles, il 14-15 dicembre, per l’ultimo Consiglio europeo del 2023. A loro il compito di mantenere le promesse che la Commissione ha fatto all’Ucraina.