Esplorazione gentileAlex Bellini tra Cop28, attivismo e viaggio (non turismo)

Noto per le sue traversate oceaniche a remi in solitaria, l’esploratore e divulgatore lombardo ci racconta la sua Cop e il suo ultimo viaggio in Mozambico, dove crisi climatica e crisi umanitaria si intersecano e «il tempo è scandito dalle stagioni»

Ph. Mauro Talamonti

Il primo viaggio in Alaska. Il prossimo in Alaska. «Voglio tornare nei luoghi dove ero stato trent’anni fa, scattare le stesse fotografie, vedere come i paesaggi sono cambiati», racconta a Linkiesta Alex Bellini, esploratore e divulgatore ambientale, tra i padiglioni di una Cop – quella di Dubai – che si avvicina alle sue battute finali. Bellini è negli Emirati Arabi Uniti per seguire la ventottesima Conferenza delle Nazioni unite sul cambiamento climatico.

Ciao Alex, da esploratore quali sono state le tue prime sensazioni arrivando a Dubai? 
«Il primo impatto è stato spaesante. Non è facile capire le sensazioni che ho provato. È stato una sorta di cortocircuito. Ho osservato uno degli arcipelaghi artificiali, che dalla costa lungo la città si spingono nel mare, e ho provato meraviglia per il lavoro ingegneristico, ma anche e soprattutto timore per la capacità umana di modificare l’ambiente. Ho chiesto alle mie figlie, che erano con me, “Voi vivreste in un posto così, dove ogni cosa, anche gli alberi, sono il risultato della progettazione umana?”». 

Eri stato alla precedente Cop, a Sharm El Sheikh, e ora sei a quella di Dubai. Che valore dai a questi negoziati, che molti giudicano privi di credibilità?
«Sai, a volte gli accordi con cui si concludono le Cop sono scoraggianti. Possono sembrare una wishlist di proposte che non si realizzeranno mai, però sono comunque il modo che abbiamo per tracciare la via da seguire. Sono uno spazio di democrazia. Gli accordi sono centinaia di pagine e gli Stati devono essere allineati su ogni parola, per questo a volte i risultati sono deludenti. I primi a essere frustrati sono gli attivisti. Loro hanno, giustamente, aspettative molto alte». 

A proposito, speravi di vedere più attivisti e attiviste in questa Cop? 
«Non è semplice essere qua per una serie di motivi, tra cui i costi di Dubai e la situazione politica degli Emirati. Il lavoro degli attivisti è comunque prezioso. Il loro ruolo è quello del tamburo, danno il ritmo e così spingono l’asticella più in là. Possono farlo da Dubai in questi giorni di negoziato, ma lo fanno soprattutto nel resto dei mesi, quotidianamente. Anche la loro assenza può avere un peso». 

Tu ti senti un attivista? E cos’è per te l’attivismo? 
«Non sono un attivista da strada, diciamo così. Non lo sono mai stato neanche quando ero più giovane. Credo che esistano tanti modi di fare attivismo. Il mio, in questo momento, è quello della divulgazione. Ognuno parla con il proprio tono e con la propria età. Questo ovviamente non dev’essere un alibi».

Cosa ti aspetti dalla Cop28?
«Sicuramente, mi auguro che ci sia la volontà politica di inserire nuovi termini. Si parla di phase out, ovvero l’abbandono delle fonti fossili. Spero che l’accordo finale contenga nuovi punti cardinali con cui navigare la tempesta perfetta che abbiamo di fronte. L’opinione pubblica è sempre stata scettica su questa Conferenza che si tiene in uno maggiori Paesi produttori di petrolio e gas. Si pensava che sarebbe stato un anno perso, invece mi sembra che già rendere il fondo Loss and Damage operativo all’inizio del negoziato sia stato un passo avanti».

Parlavamo di volontà politica, ma dall’altra parte ci sono le azioni individuali. Che peso hanno secondo te?
«Rispondo con una metafora. Se il Titanic sta affondando, non si può restare nella cabina ristorante a bere whisky e fumare sigari. In casi di emergenza, va bene usare una borraccia per cercare di togliere acqua dalla nave. Se lo fai, probabilmente le persone intorno ti imiteranno. I gesti, le azioni e i movimenti dal basso hanno la forza di segnare il passo, di coinvolgere gli altri. Ho una visione romantica, forse. Poi, certo, sono consapevole che l’impegno individuale non può funzionare senza il sostegno politico: le due cose devono convivere». 

Una volta hai detto che «chi ha l’urgenza dell’oggi non può occuparsi del domani». Da persona che ha viaggiato molto, come affronta il cambiamento climatico chi non ha risorse economiche?
«L’ultimo viaggio che ho fatto è stato in Mozambico, un Paese dove la maggior parte delle persone vive con meno di due dollari al giorno. Là non c’è solo la crisi climatica, ma anche quella umanitaria. Per loro è difficile programmare obiettivi a lungo termine, quelli necessari a risolvere l’emergenza del clima. In Mozambico il tempo è scandito dalle stagioni. C’è quella in cui sono frequenti i cicloni che si formano sull’oceano Indiano, dove ognuno spera che la propria casa resterà in piedi. Per loro il futuro non esiste, ma il punto è che, rispetto al clima, siamo tutti sulla stessa barca. Abbiamo tutti lo stesso obiettivo, ma ognuno può e deve fare qualcosa secondo le proprie possibilità. La narrazione dovrebbe essere questa e non quella per cui ci si accusa a vicenda, tra persone e tra governi, di inazione.

A proposito di viaggi, non credi che spostarsi continuamente abbia un impatto negativo sul Pianeta?
«Sono consapevole che, con il mio lavoro, cammino su un confine pericoloso. Di solito viaggio a piedi o in bicicletta, ma ovviamente mi capita, più di altri, di prendere l’aereo. L’idea è che le esplorazioni che faccio abbiano un impatto positivo indiretto sull’ambiente: spero cioè che i racconti delle mie avventure rendano le persone più consapevoli. Comunque dal mio prossimo viaggio farò un conteggio della CO2 emessa e poi cercherò di bilanciare con progetti di agricoltura rigenerativa. Il viaggio, inteso come avventura e non come turismo, è uno strumento potentissimo per imparare a mettersi nei panni degli altri, a chiedere aiuto. Per superare la diffidenza verso chi è diverso da te, per trovarsi per una volta in minoranza, lontani da casa. Viaggiare rende le persone più gentili. La gentilezza, più che l’ambigua sostenibilità, è il modo con cui cercare di salvare la vita umana e la Terra». 

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