Supereroi #4Trovare l’immortalità (re)imparando ad ascoltare le stagioni

La cucina di montagna è una cucina di pazienza e adattabilità, che non vuole ingannare le emozioni opponendosi con arroganza alla ciclicità della natura

La prima serie del format Supereroi Montani lanciato dal team di Ferdy Wild si è conclusa in compagnia di uno chef “inquieto” che ha trovato nella montagna del Trentino un rifugio che non ingabbia ma invoglia al viaggio, soprattutto interiore. Alfio Ghezzi – chef e ristoratore – è nato in montagna e lì ha deciso di tornare dopo le esperienze cittadine accanto a Gualtiero Marchesi e Andrea Berton. Nel 2010 è stata la famiglia Lunelli a richiamarlo alle origini per dare nuova luce alla Locanda Margon, ristorante di Casa Ferrari. E Ghezzi ha colto il guanto di sfida scommettendo sui prodotti delle sue Alpi, da cui ha imparato il senso del limite come argine fondamentale alla superficialità delle cucine di tendenza.

Nel 2019 ha inizio l’avventura da ristoratore con il ristorante Senso, all’interno del Mart di Rovereto. Qui il cibo è interpretato come espressione responsabile ed essenziale della relazione tra uomo e natura, una relazione sana che non teme la mortalità. Se un tempo cercavamo di sfuggirle cercando conforto nella ciclicità delle stagioni, oggi non ci basta più. E così cerchiamo la vita eterna nella ciliegia a Natale. Avere dei limiti significa anche questo: attendere con emozione l’inizio di una nuova stagione per goderne i frutti, ma anche rassegnarsi alla sua fine, accettando quel sentimento di tristezza malinconica (il Nagori giapponese) dettato dalla consapevolezza del tempo che passa.

Esiste però una risposta valoriale al desiderio di immortalità: stagionature, fermentazioni, preparazioni sotto sale, sono tutte trasformazioni che allungano la vita al prodotto nel rispetto della natura e dei suoi ritmi.

La stessa dimensione valoriale va ricercata nell’idea di bellezza ed eleganza, che non vuole essere autoreferenziale ma diventa espressione di un territorio e soprattutto delle relazioni che gli ruotano attorno. Solo così la cucina di montagna può acquistare spessore antropologico superando il più semplice aspetto organolettico. Il cibo torna a essere il linguaggio con cui lo chef si racconta agli ospiti attraverso il rapporto con la terra che lo ospita, costruita e alimentata fuori dalle quattro mura del ristorante, a stretto contatto con i produttori.

Un approccio profondamente filosofico, che nel piatto non dimentica il gusto e la sostanza. “Patate Patate Patate” è un piatto del ricordo nato nel 2013 come omaggio all’agricoltura di montagna, in cui il classico gnocco è avvolto da una salsa di patate e aringa affumicata e si lascia stupire dalle chips di pancetta colorate con la polvere di patate viola. Non c’è nulla di povero in questo piatto, pensato per esaltare un pilastro dell’alimentazione locale.

E se le patate sono figlie della terra, il broccolo di Torbole è figlio del vento. Cresce a soli duecento metri sul livello del mare ma non potrebbe vivere senza le brezze di monte e di valle, che impediscono alla brina notturna di congelare il vegetale e gli regalano una straordinaria dolcezza. Questo miracolo del microclima trentino merita di essere valorizzato nella sua interezza: il frutto viene servito con una salsa a base di Chardonnay, peperoncino e tarassaco tostato; le coste fungono da elemento croccante in un brodo di trota; le foglie – più coriacee – vengono fritte.

La cucina di montagna carnivora a cui spesso siamo abituati viene reinterpretata con profondo rispetto per l’animale, che viene impiegato in ogni sua parte pur diventando un contorno al vegetale. Lo spessore e la lunghezza gustativa si ottengono sfruttando l’umami del fungo del castagno e la carnosità del sedano rapa, i cui scarti sono utilizzati per un “fondo bruno”. Due pezzettini di carne marinati con un “miso di castelmagno” gli fanno compagnia diventando uno strumento da scarpetta, atto a ricordare un tempo antico in cui la carne era un bene raro e prezioso.

La cucina di montagna è una cucina di pazienza e adattabilità senza però essere limitante per la creatività del cuoco: il segreto è lasciarsi trasportare dalle emozioni per giocare con il profilo aromatico e la sintassi dei sapori, creando ogni giorno un equilibrio nuovo e mai fine a se stesso. Ogni piatto racconta una storia, che per continuare a vivere ha bisogno delle persone, proprio come la montagna. «Perché i nostro sono boschi, non sono foreste» ricorda Nicolò, deus ex machina di Ferdy Wild.

Tutte le immagini courtesy Ferdy Wild

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter