Ora et labora et dulce coqueLe minni di virgini e altri capolavori di pasticceria prodotti nei monasteri di Alcamo

Le “paste vergini” sono solo un pezzo del vasto patrimonio enogastronomico del comune del Trapanese. In particolare, in alcuni luoghi insospettabili continua a tramandarsi un’antica tradizione culinaria unica nel suo genere

Foto di Luca Savettiere

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Ci sono luoghi che più di altri evocano immediatamente atmosfere e immagini solo apparentemente d’altri tempi. Luoghi che suggeriscono sensazioni e, perché no, sapori antichi e sempre nuovi. Uno di questi, anche se poco noto, è il complesso claustrale di San Francesco di Paola, o Badia Nuova, nel centro storico di Alcamo. Ovunque celebre per aver dato probabilmente i natali a Cielo, il poeta di Rosa fresca aulentissima, il comune del Trapanese può infatti vantare un patrimonio enogastronomico che affonda largamente le sue radici proprio nei locali monasteri femminili.

Dei sei originariamente esistenti ne restano oggi solo due: Santa Chiara e, per l’appunto, Badia Nuova, rispettivamente degli Ordini delle Clarisse e delle Benedettine. Ma è nel secondo che, come s’accennava, l’antica tradizione culinaria e, più precisamente, pasticciera dei monasteri siciliani continua a tramandarsi, ovviamente, con le tipiche varianti alcamesi, che la rendono unica nel suo genere. A tenerla in vita sono le quattro monache superstiti, che, a dispetto dell’età avanzata, confezionano ancora con una certa frequenza svariati dolci secondo ricette plurisecolari, fissate sulla carta o trasmesse oralmente di generazione in generazione. È così che esse esercitano soprattutto quell’opus manuum (lavoro manuale), che la Regola benedettina prescrive insieme con l’opus Dei, innanzitutto inteso come preghiera liturgica, e la lectio divina o lettura sapienziale delle Scritture.

«Nonostante il numero ridotto di sorelle», commenta pacatamente l’abbadessa, madre Maria Gabriella Maniscalchi, in clausura da oltre cinquant’anni, «cerchiamo di fare il nostro meglio secondo lo spirito e la Regola di san Benedetto, ossia dell’ora et labora et lege (prega, lavora e leggi). Ci alziamo alle 5, quindi in coro per Ufficio delle letture, Lodi, Terza. Poi ognuna di noi va al proprio lavoro, ma nell’arco della giornata torniamo più volte in chiesa per la celebrazione delle restanti ore canoniche e, soprattutto, per la Messa».

In ogni caso, precisa la religiosa, «il lavoro, che svolgiamo, non è più quello di una volta. In passato attendevamo al ricamo, al cucito, al restauro di oggetti antichi, al modellamento della cera, alla produzione dolciaria e vinicola. Quest’ultima avveniva rigorosamente con le uve dei nostri vigneti. Oggi ci limitiamo alla tradizionale realizzazione d’immagini in ceroplastica e di un po’ di dolci. Anche se non più, come una volta, a livello quotidiano».

Legata per lo più a richieste esterne e basata su materie prime, alcune delle quali provenienti dall’orto monastico, la produzione de li cosi duci è tutta scandita dall’alternarsi delle stagioni e dal susseguirsi delle ricorrenze liturgiche. Nel fluire dell’anno, il mese di agosto occupa sicuramente per le benedettine un posto di primaria importanza: è allora che si raccoglie la zucchina lunga, dialettalmente chiamata cucuzza o cucuzzuni, la cui polpa è utilizzata per preparare la zuccata o cucuzzata. Ingrediente base di larga parte della pasticceria siciliana sia come copertura decorativa – è il caso, ad esempio, della famosa cassata – sia come farcia, si tratta di una conserva, onde il nome di zucca candita, che richiede un’intera giornata di lavorazione. Ne spiega così i vari passaggi madre Maria Gabriella, che accoglie gentilmente visitatori e curiosi nell’androne del monastero o dietro le antiche grate dell’attiguo parlatorio: «S’inizia col pelare la zucchina e tagliarla in lungo a metà, eliminandone i semi interni. Ridotta a dadini, la si cuoce in acqua bollente. Divenuta tenera, la coliamo due o tre volte nell’acqua fredda, per poi metterla al sole in una bacinella sempre con l’acqua: in questo modo, la zucchina assumerà in un paio d’ore colore bianco. Pressata con un peso – noi solitamente usiamo un colapasta – fino a completa scolatura, si passa alla cottura finale, ponendo in un tegame un chilo di zucchero per ogni chilo e mezzo di zucchine. Una volta pronta, la zuccata può essere conservata in barattoli di vetro per un anno oppure utilizzata nell’immediato».

E, infatti, già tra agosto e settembre le monache di Badia Nuova preparano i primi vuccuneddi (bocconcini), dolcetti di zucca candita dalla forma rotondeggiante, che, ricoperti d’un impasto di mandorle, albumi, zucchero, limone grattugiato, sono infornati con abbondante zucchero a velo. Tratta dalla dispensa, la zuccata torna sul tavolo da lavoro in dicembre, quando madre Maria Gabriella e le sue consorelle preparano i cuddureddi. Variante locale del più famoso buccellato palermitano, questi pasticcini sono tipici del periodo natalizio. Tradizionalmente a forma di anello (l’etimo della parola siciliana è il greco κολλύρα, che significa pagnotta, focaccia, ciambella), la cudduredda è una piccola rotella di pasta, che si ottiene lavorando farina, zucchero, sugna, ammoniaca con latte tiepido: farcita di fichi secchi amalgamati con zuccata, mandorle, buccia d’arancia e di limone, cannella, può essere talora ricoperta di glassa di zucchero e decorata con codette colorate. Si preparano invece durante tutto l’anno le savoiarde, biscotti croccanti dalla forma rotonda o allungata a base di uova, zucchero, farina e cannella, ottimi per accompagnare caffè e tè.

Sarebbero ancora tante le leccornie da enumerare tra quelle preparate nel laboratorio di Badia Nuova. Ma non possiamo chiudere questa breve rassegna di golosità monastiche senza parlare delle minni di virgini (seni di vergine), solo tardivamente e per “ragioni di decenza”, al dire di Manlio Cortelazzo, italianizzate in paste vergini. A decantarle nomi del calibro di Giuseppe Meli, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Alberto Arbasino. Ma le minni alcamesi presentano una tipicità propria nell’impasto, che, differenziandole da quelle più sofisticate di Sambuca di Sicilia e di altre località dell’isola, le rendono difficilmente eguagliabili per la gustosa semplicità. Tagliate con un bicchiere, che permette di conferir loro la caratteristica forma mammillare, sono infatti paste a base di ricotta, il cui ripieno, preparato un giorno prima, è costituito dal biancumanciari o crema di latte con l’aggiunta di pezzi di cioccolato e cannella.

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