Nonostante i suoi trecentoquaranta chilometri di lunghezza, della Puglia si conoscono tutto sommato poche mete, tutte per lo più legate al mare e alle vacanze. Eppure, fuori dai sentieri battuti, dove la terra si fa bianca e le strade scoliotiche, c’è ancora spazio per lo stupore. Cedere al superbo richiamo del mare è più facile. Più faticoso, invece, carpire quello della Murgia. Ma, una volta che la si sia conosciuta, le sue colline rudi, la vegetazione selvaggia e le storie umane che la abitano non lasciano più la mente. Ipnotica e imponente, popola il desiderio di esplorazione.
All’orlo dell’ultimo gradino calcareo, affacciata sulla Fossa Premurgiana, sorge Minervino Murge. Questo borgo di circa ottomila anime custodisce curiose storie di rivoluzioni. Una di queste la racconta la terra bianca, povera eppure feconda, di Bocca di Lupo. Parte da qui il “Rinascimento enologico” di una regione che una volta era chiamata “la cantina d’Europa”, ma era stigmatizzata per il suo poderoso contributo alla produzione di vino sfuso, base per le grandi bottiglie italiane.
Bocca di Lupo sorge in un’area al confine tra Campania e Basilicata, in quel luogo misterioso che inizia a chiamarsi Lucania. Anche se c’è foschia, si possono indovinare i contorni del Vulture. Se da Bari in giù la terra si fa rossa, salendo verso Nord il terreno inizia a impoverirsi. Nell’area di Minervino spiccano le calcareniti, incapaci di trattenere l’acqua. Ma entrambi i suoli condividono una qualità importante: la salinità, un lascito dell’antico mare che teneva la regione sott’acqua.
Bocca di Lupo si trova all’inizio del cosiddetto parallelo dei varietali greci, come il Fiano e l’Aglianico, quest’ultimo una vera e propria ossessione per tutti quelli che lavorano nell’azienda. È un vitigno quasi violento nel carattere, tardivo, spesso considerato rustico. Ma lavorato con sapienza e visione, può competere con i grandi rossi italiani, arrivando a proporsi come il vero Barolo del Sud. La differenza con le altre versioni di Aglianico la si legge nel bicchiere. Infatti, la terra su cui crescono le uve di Bocca di Lupo, insieme ad attente pratiche agronomiche e a un sapiente lavoro di cantina, danno vita a vini più mediterranei e meno spigolosi.
Vito Palumbo, amministratore delegato di Tormaresca, azienda pugliese di cui la Tenuta Bocca di Lupo fa parte, conosce quel luogo come le sue tasche. Il suo primo ricordo legato al vino affonda le radici in un pranzo di tanti anni fa, in cui il marchese Antinori, invitato da Vittorio Gancia, venne tra queste vigne per valutare l’acquisto di quella che all’inizio si chiamava Torrebianco.
L’azienda era stata fondata nel 1982 da Giuseppe Palumbo, padre di Vito, insieme allo stesso Gancia e ad altri grandi imprenditori enologici che avevano avuto un’intuizione: provare a fare qualità in una terra vocata alla quantità. Oggi Palumbo ha 39 anni eppure quel pomeriggio, quando era solo uno stravagante quindicenne, è scolpito nella sua memoria. A Renzo Cotarella, amministratore delegato ed enologo di Antinori, bastò addentare una pesca cresciuta proprio in quella terra bianca per innamorarsi di questa Puglia insolita. Antinori acquistò Bocca di Lupo (e, un anno dopo, Masseria Maie in Salento) e pensò un semplice business plan: tante bottiglie a prezzo “pugliese”, dal momento che all’epoca non c’era mercato per un prodotto di alta gamma proveniente da quella regione. Ma la Puglia stava scrivendo il suo futuro di meta turistica e pensare in grande restringendo i numeri fu un doveroso e intelligente cambio di rotta.
Oggi Bocca di Lupo è un’azienda a conduzione biologica con un’identità definita, granitica, impressa nei suoi 140 ettari coltivati ad Aglianico, Chardonnay, Fiano, Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc e una piccola percentuale di Nero di Troia. Ha sette etichette, tra cui spicca Arso: un’ode al territorio da pochissime bottiglie, cantata attraverso la vinificazione del Cabernet Franc in purezza. Berlo significa conoscere il sapore di un’idea che diventa progetto, che dà luce a un territorio e alle sue vite umane. Infatti, fregio della tenuta Bocca di Lupo sono anche le longeve collaborazioni con i contadini del posto che, superata la diffidenza iniziale per pratiche agronomiche apparentemente “folli”, hanno imparato a fidarsi e a lavorare per realizzare il disegno già scritto nella filigrana di questa terra.
«Mancava la tecnologia e il know how, ma soprattutto la visione enologica», spiega Palumbo, mentre guida degli ospiti in una visita organizzata nelle viscere della cantina, laddove è possibile toccare con mano la fragilità e la forza di una pietra eccezionale. La barricaia è il cuore pulsante di una struttura costruita ex novo sul modello delle antiche masserie, di cui la luce è il principale ornamento. Affacciandosi al balcone centrale, posto al primo piano, si è certi di un fatto. Battendo un sentiero impervio, Bocca di Lupo ha vinto la sua scommessa, eleggendo questa parte della Puglia ancora ignota e spesso ignorata, a terra di grandi vini.