È sempre la solita storia del dito e della luna. Il dito è la propaganda intrisa di antieuropeismo, propaganda e campagna elettorale un tanto al chilo. Lo stolto, guarda quello. Ma la luna, invece è un’altra. La luna è quella di un sistema agricolo che, innaffiato di soldi da decenni, non funziona. E il fatto che a lanciare un’opa sul fatto che l’agricoltura non funziona, cioè di un problema reale, sia stata la destra populista, che invece è specializzata in problemi farlocchi, è solo un caso, il cortocircuito frutto di questi anni sghembi. Invece, a farsi carico del tema, dovrebbe essere l’Europa, l’unica che può risolverlo. Non chi l’Europa vuole smantellarla. «Il problema dell’agricoltura, non solo è reale. Ma è anche solo all’inizio. Se non troviamo soluzioni non potrà che peggiorare. E non possiamo permettere che a cavalcare il malcontento di un settore così cruciale siano le forze antieuropeiste». A dirlo è Dacian Ciolos, oggi capogruppo di Renew Europe e uno che ad agricoltura e all’Europa, ha dedicato la vita. Agronomo, è stato commissario all’agricoltura 2010 al 2014, da quella posizione, prima di diventare Primo Ministro in Romania, ha compiuto la più importante riforma della Politica agricola comune dalla sua nascita.
Dal 1958 fino ad allora, infatti, la Pac prevedeva che il surplus eventualmente prodotto dagli agricoltori, sarebbe stato ’comprato’ dall’UE. Questo aveva portato a storture e sprechi, dal momento che gli agricoltori europei, coperti da questa Pac-ombrello, non avevano alcun interesse a migliorare le colture e razionalizzare i raccolti. Anzi: più producevano, indipendentemente dalle richieste del mercato, tanto più avrebbero comunque guadagnato, perché, comunque, non un grammo dei loro ingigantiti raccolti sarebbe rimasto invenduto. L’avrebbe pagato comunque l’Ue, anche se finiva al macero.Ciolos ruppe questo sistema, legando slegando i sussidi dalla produzione e provando a legarli alle reali necessità degli agricoltori.
La sua versione della Pac ha funzionato. Ma non è stata sufficiente. Perché nel frattempo, sul settore, già piuttosto lento e restio ai cambiamenti di suo, sono piombati la crisi climatica e le richieste, tanto giuste quanto improvvise, del Green New Deal. «Negli anni Cinquanta – ci racconta Ciolos – la neonata Commissione Europea si rese conto che il cibo era un tema strategico tanto quanto il carbone e l’acciaio. Una cosa per cui la gente fa le guerre. E per questo si è occupata di mettere in piedi una politica agricola comune. Perché era chiaro che il cibo era un aspetto cruciale per la vita delle persone e per la stabilità politica.Il problema però è che il modello disegnato in quegli anni è stato fondato praticamente solo sui sussidi e sull’assenza di mercato. Ora, invece, gli agricoltori dicono il contrario: dicono di volere mercato e competizione». Una richiesta che si fa prima a dire che fare dal momento che si tratta di cibo e non di scarpe.
E se gli agricoltori hanno ragione a dire che i loro profitti sono minimi, perché strozzati dalle filiere e dalle catene di distribuzione, hanno anche ragione i consumatori, quelli che fanno la spesa al supermercato a voler trovare cibo a prezzi sostenibili, magari persino economici. Così tutto si è rotto. «Noi che lo compriamo vogliamo cibo a prezzi bassi. Ma il cibo a prezzi bassi, specie in piena crisi climatica, non esiste. Quindi se il prezzo di questo cibo non lo pagano i consumatori, lo pagano gli agricoltori, che sono il primo anello di una catena lunghissima che porta loro pochissimo profitto. Il problema è che il costo di produrre cibo è cresciuto enormemente. Ma il prezzo di vendita non lo ha fatto, né verosimilmente potrà farlo, a meno di avere una crisi sociale. Quindi alla fine, sono gli agricoltori a pagare per tutti. E i sussidi, che pure sono tanti, non sono abbastanza».
La crisi climatica, con siccità e inondazioni, certo non aiuta. E Ciolos fa notare che pensare che gli agricoltori siano contrari alla tutela dell’ambiente è una contraddizione in termini, frutto probabilmente della stessa propaganda manichea e tifosa che, da settimane, gira attorno a tutta questa storia.
«La crisi climatica, è ovvio, colpisce gli agricoltori più di tutti. E sarebbe un errore pensare che gli agricoltori siano contenti di usare pesticidi e di consumare acqua e gasolio. Sanno benissimo che, in questo modo, tagliano il ramo su cui sono seduti. Però sanno anche che smettere di farlo ha dei costi dei quali, da soli, non possono farsi carico. Il grandissimo errore dell’UE è stato trattare Green New Deal e Pac come due cose diverse, e non come la stessa cosa, che riguarda lo stesso tema. È come se l’UE avesse detto agli agricoltori “dovete arrivare da un punto A a un punto B” ma poi non abbia fornito, agli agricoltori, il modo per farlo. E questo, purtroppo, è frutto di un approccio ideologico al tema dell’ambiente. Ma il tema dell’ambiente, come quello del cibo, sono due temi troppo importanti per essere trattati con un approccio ideologico. Ne serve uno concreto, realistico, efficace. Inoltre, a tutto questo, si somma il problema commerciale dei mercati aperti ad attori che non sono tenuti a rispettare le stesse regole ambientali e che, dunque, non hanno le spese dei nostri agricoltori. Sono troppi problemi, troppo diversi, perché la sola Pac possa risolverli. Ci vuole il mercato».
E se non sarà il mercato a garantire reddito agli agricoltori e prezzi e qualità accessibili ai consumatori, allora ci penserà la destra sovranista. Non perché sia davvero in grado di farlo, anzi, tutto il contrario, potrebbe solo peggiorare le cose. Ma potrebbe capitalizzare lo scontento, la rabbia, il problema. E trasformarlo in voti. Voti capaci di sfasciare tutto. «Il peggior errore che l’UE può fare in questo momento – conclude Ciolos – è quello di regalare gli agricoltori all’estrema destra. Sarebbe un disastro che nessun libero mercato potrebbe correggere».