Toccare una crisiPerché il cambiamento climatico non viene trattato come le altre emergenze

Il riscaldamento globale è subdolo, scivoloso e si insinua in ogni angolo della stanza. Si traveste da crisi alimentare, idrica, energetica, sanitaria, economica. È un moltiplicatore delle minacce che affliggono l’ecosistema e la società

AP Photo/LaPresse

Dalla newsletter settimanale di Greenkiesta (per iscriverti clicca qui) – “Permacrisi” è un neologismo che indica una sovrapposizione di diverse situazioni di emergenza nello stesso periodo. In questo contesto, perché il cambiamento climatico viene trattato diversamente – spesso con un’attenzione minore o più discontinua – rispetto agli altri grandi problemi dell’attualità?

Tra queste risposte c’è l’incapacità umana di inquadrare il riscaldamento globale di origine antropica all’interno dell’agenda quotidiana, dal momento in cui viene spesso concepito come un tema lontano o limitato alla sfera dell’ecosostenibilità. Succede per ragioni storiche, culturali, sociali, comunicative. Innanzitutto non esistono emergenze di serie A e serie B, e il concetto stesso di emergenza è fluido e non universalmente condiviso. Proprio per questo, anche la crisi «ecoclimatica» gode di peculiarità ben precise.

L’inflazione o le epidemie hanno i loro picchi, momenti di massima espansione che tutti ricordiamo; le tensioni tra popoli o Stati sfociano in uno scontro armato dopo un’invasione militare, un attentato, un bombardamento o un singolo evento di rottura. Si tratta, quindi, di criticità più facili da circoscrivere e isolare mentalmente e mediaticamente, oltre che radicate in modo più solido nell’immaginario collettivo. La crisi climatica, nonostante i campanelli d’allarme risalenti alla fine dell’Ottocento (lo scienziato svedese Svante Arrhenius citò l’impatto della CO2 sulla temperatura per la prima volta nel 1896), ha invece acquisito attenzione e credibilità solo di recente, in linea con l’aggravamento dei suoi effetti. Perché ci preoccupiamo solo quando il danno è fatto.

Il clima che muta a causa delle emissioni antropiche di gas serra è ormai una questione di sopravvivenza, anche se non siamo tutti sulla stessa barca: da una parte l’un per cento più ricco del Pianeta genera la stessa quantità di CO2 del sessantasei per cento più povero, dall’altra i Paesi sottosviluppati o in via di sviluppo sono quelli più vulnerabili in termini climatici. Il riscaldamento globale accentua e crea disuguaglianze, e nessuno è immune alle sue minacce. Per qualcuno significa morire di caldo in un quartiere periferico privo di verde urbano o migrare a causa di una carestia innescata dalla siccità; per altri vedere la propria casa sparire sott’acqua durante un’alluvione; per altri ancora finire sul lastrico a causa del basso rendimento dei propri raccolti.

Il cambiamento climatico è subdolo, scivoloso e si insinua in ogni angolo della stanza. Si traveste da crisi alimentare, idrica, energetica, sanitaria, economica. È permanente ma non sempre si vede (o vogliamo vederlo), e si manifesta in tutta la sua violenza in modo talvolta inaspettato e frastagliato. Ovviamente anche il riscaldamento globale ha i suoi exploit, i suoi dati più simbolici e il suo spazio politico, ma i record di temperatura o il numero crescente di eventi meteorologici estremi non fanno più rumore perché continuano ad accumularsi senza sosta. E noi ci abituiamo a tutto finché non ci riguarda in prima persona. Nel frattempo, interi Stati insulari del Pacifico rischiano letteralmente di scomparire, anche se non serve per forza andare così lontano.

Dopo quell’alluvione distruttiva o quel seracco di un ghiacciaio in fusione che si stacca, questa crisi passa di nuovo in secondo piano, perché una tendenza climatica (seppur tragica) non è sempre catchy. La negligenza nei confronti del tema si attenua solo negli attimi successivi a un’emergenza tangibile. Altrimenti succede come nella conferenza stampa di fine/inizio anno di Giorgia Meloni, dove nessuno tra i circa cinquanta giornalisti accreditati ha accennato una domanda sulle politiche climatiche del governo.

Il riscaldamento globale viene sottovalutato perché intensifica o scatena emergenze più facili da inserire sulla linea temporale; è un moltiplicatore delle minacce che affliggono l’ecosistema e la società, ma che non sarebbero così gravi senza un clima in tilt. Quando parliamo di “temi verdi”, quindi, parliamo di tutto, non solo di protezione ambientale e di sostenibilità: migrazioni, energia, rivoluzioni nel mondo del lavoro, diritti, trasformazioni urbane, salute fisica e mentale, geopolitica, sicurezza alimentare, guerre, politica, economia. L’emergenza climatica va inserita chiaramente in tutti questi contesti: ometterla significa raccontare solo una parte della storia. Al tempo stesso, però, bisogna avere la lucidità necessaria per isolarla, parlando di cause e soluzioni.

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