Cara Fra
scusa se ti chiamo così, il tuo nome completo, friggitrice ad aria, mi mette soggezione, è troppo pomposo, troppo lontano dalla tua sorridente semplicità. Lo so, non sono in molti a capirti e ad apprezzarti come meriti. Ogni giorno leggo cose cattive e ingiuste sul tuo conto; non ti so dire quanto ne sia addolorata. Ma, allo stesso tempo, sorrido fra me e me, perché io, io ti conosco. E sappi che tutto questo ti rende per me ancora più cara, e preziosa.
Il mio, lo so, è un sentimento destinato a rimanere semiclandestino. Mi confido con pochi. Non sopporto le occhiate taglienti di chi pensa di sapere tutto di te. Limitata, costosa, arida, millantatrice: la chiamano friggitrice, ma è un fornetto ventilato, nulla di più, bisbigliano velenosi. Non è per veri cuochi, sbuffano con aria di sufficienza. Anche se magari non sanno cucinare nemmeno la pasta in bianco. Cheap, è cheap, sibilano. Embè?
Ma non importa, non occorre che tutti sappiano quanto ti sono vicina. Non occorre nemmeno dire a tutti che le patate fritte, così dorate, così tenere, leggere, per niente unte, a me non erano mai riuscite prima. E i crostini di pane croccante? Piacciono a tutti, sono perfetti con il formaggio, con le zuppe, da soli. Mi chiedono a che temperatura imposto il forno; dentro di me rido. Da me non sapranno mai nulla, nemmeno una parola. Diciamo che è un nostro piccolo segreto?
Ogni giorno scopro qualcosa di nuovo che si può fare con te. Le uova all’occhio di bue, i carciofi impanati, le crocchette di patate. Ho comprato un libro che ci darà nuovi spunti e non vedo l’ora di mettere in pratica tutte questi suggerimenti. Il fritto misto di pesce, ma anche quello di carne. E di verdure. Zucchine, melanzane, zucca gialla, finocchi. Ci divertiremo.
Il microonde e il forno sono gelosi di te, lo sapevi? Da quando ci sei tu li trascuro, dicono. Finiranno alla discarica, da soli, tutti arrugginiti, lamentano. Ma non è colpa mia se non ci capisco nulla, con quei due. La funzione grill, quella cibi salutari, convection, che manco so che vuol dire, quella di scongelamento, per non dire quella “yogurt”. Ma chi ha mai fatto lo yogurt con il microonde, vorrei sapere. E il forno? Di sopra, di sotto, ventilato, non ventilato, spiedo. Poi, ti distrai un momento ed ecco comparire su tutto una bella crosta nera e ciao. Io non mi trovo più con portate in apparenza perfette ancorate al piatto come fossili del Pleistocene. Tu, invece, sei semplice. Hai un cestello traforato, così non si attacca nulla, perché l’aria circola dappertutto. E poi, con te basta poco, pochissimo: giusto una spruzzata di olio, sale q.b., qualche spezia.
Sì, te lo voglio proprio dire: io ti ho scelto e non ti lascerò.
Anche se stamattina, su Amazon, ho visto una friggitrice ad aria di nuova concezione che mmmh…
Carla Reschia
T’amo, o forchetta
In tutta la cucina, tra macchine per il caffè americano inutilizzate da anni e crêpière mai uscite dalla scatola, sei l’oggetto che più amo. Perché mi permetti di mangiare, di assaggiare con le tue punte con bocconi da uccellino o di prendere larghe forchettate di bucatini alla carbonara. Ma soprattutto perché sei il primo, unico, vero attrezzo multiuso della storia e del mio presente. Perché, pigra come sono, mi dovrei scomodare a usare un intero robot da cucina, che poi va lavato e riposto, quando posso spremere il mezzo limone di cui ho bisogno infilzandolo con le tue punte?
Anche una grossa arancia posso spremere grazie a te, e con il tuo aiuto posso sbattere le uova per la frittata, schiacciare le patate bollite o i pomodori pelati, a controllare la cottura delle verdure, bucherellare la sfoglia per una torta salata, decorare con ghirigori e linee la superficie di una torta, girare le cotolette nella padella, servire gli spaghetti (in questo caso dovete essere in due, ma chi la vuole vedere la pinza?). Con te, mio piccolo chef a domicilio, preparo l’impasto delle crespelle, rigo gli gnocchi, sigillo le tartellette di sfoglia. Ti sciacquo in un secondo, ti ripongo nello scolaposate e lì ti trovo, sempre pronta al mio fianco anche quando, dopo tanto lavoro dietro le quinte, ti metto in tavola, splendente e bella come il sole.
Daniela Guaiti
Lettera d’amore all’impastatrice
Il nostro forse è stato amore a prima vista. Senza conoscerci, senza toccarci, senza poterci guardare dritto in faccia. Era amore. Io lo sapevo e tu lo sapevi. Come quando perdi la testa per quella persona che incroci ogni mattina sull’autobus delle sette e un quarto. Non sai come si chiami, quale sia il suo colore preferito, come si comporti quando la vita diventa un uragano di impegni pesanti. Eppure torni a casa e il pensiero va sempre lì. Ti ritrovi a cercare il coraggio per attaccare discorso, cercare un contatto fortuito, dire un banale ciao. E se poi le cose non andassero come la mente, e il cuore, le ha immaginate? E se fosse solo una perdita di tempo come tante altre? Un disperdere energie inutili, un impegno che non ci possiamo permettere? Quante volte ci siamo lasciati andare in passioni, durate alla fine solo un battito di ciglia o che si sono spente, giorno dopo giorno, senza neppure darci il tempo di accorgercene? Eppure io ho osato, mi sono lasciata dietro paure e tentennamenti, ho studiato ogni tua più piccola caratteristica e ti ho invitato a salire a casa mia, che poi cinque piani senza ascensore vanno fatti, ma tu ora sei lì.
Hai preso posto in un angolo della mia cucina, con quel tuo vestito nero lucente, che si sposa perfettamente con gli altri dettagli. Ricordo ancora la prima volta che hai creato qualcosa per me. L’impasto del pane, morbido al punto giusto, quasi perfetto. E ricordo anche i giorni difficili del lockdown, quando lavoravo chiusa tra le pareti domestiche e, mentre io ero impegnata nel programma radiofonico che all’epoca conducevo, tu impastavi per me i bun per la cena. E sì che ne abbiamo fatte di cose insieme. La sfoglia per le mie impareggiabili lasagne alla bolognese (no, lo sai anche tu che non è boria, sono proprio buone, non si può negare), il panettone, che finalmente prendeva una forma giusta solo grazie al tuo impegno e al tuo essere abile. È vero, ora ci stiamo vedendo un po’ meno. Io sono sempre in viaggio, lontano da casa, e tu ti lamenti in silenzio. Hai voglia ancora di muoverti, di fare grandi cose insieme. Devi avere pazienza, cara mia impastatrice, l’amore non è passato, è solo la vita che corre un po’ più in fretta del previsto. Torno, eh: tu intanto comincia a scaldare i motori.
Giulia Salis
Ti parlo di lei, la mia Olly Go-lightly
L’ho vista la prima volta tanti anni fa tra le scansie di un negozio. Il Negozio, quello dove passo tanto del mio tempo e spendo tanto del mio stipendio, esatto, quello dei casalinghi. Non la conoscevo, mai vista prima, l’ho guardata a lungo, sai quel gioco di sguardi, io che fisso da lontano, lei che fa finta di non vedermi, io che mi avvicino, lei che mi ignora proprio…
Bene, ho fatto io il primo passo. Ho buttato là un complimento, «Carina che sei!», lei è rimasta in silenzio, algida. In effetti se la stava tirando un po’. Mi sono fatta più audace e l’ho afferrata, per capire come funzionava, in fondo sembrava molto semplice, nulla di diverso da una boccetta di profumo (…l’altra parte del mio stipendio, forse per questo mi ha attratta così). Ho fatto una prova, ho premuto il suo bel testolino e finalmente lei ha parlato: «Fiuuuuu!». Più un sibilo che altro, e grazie, era vuota!, ma ecco, in quel momento l’ho capita: era solo timida, andava solo oliata un pochino.
A quel punto è arrivata la commessa per le presentazioni ufficiali, «Salve! Le interessa l’oliera spray?», subito dopo mi ha presentato anche il registratore di cassa, ma lui lo conoscevo già benissimo. Con la benedizione della commessa e lo scontrino a sancire la legittimità dell’unione siamo uscite insieme dal negozio, l’ho portata a casa e da quel giorno siamo sempre rimaste insieme, ci capiamo alla perfezione, lei sa sempre dove deve mirare, è precisissima e soprattutto molto parsimoniosa e mi permette di non sprecare il nostro prezioso tesoro: l’olio extra vergine di oliva.
Linda Mambelli
Grattugia, amore mio
È così difficile che manchi nelle nostre cucine che quasi sottovalutiamo la sua (preziosissima) presenza.
La sua testimonianza più antica risale ai tempi omerici – «Siedi, bevi e gratta del formaggio di capra nel vino e mangia molta cipolla, perché ti stimoli a bere» – e la sua presenza in cucina, che evoca abbondanza e convivialità, si trova già nel “Paese di Bangodi” di Boccaccio, del 1344, dove appare una «montagna di formaggio Parmigiano grattugiato» su cui venivano fatti rotolare «maccheroni e raviuoli».
La grattugia appare nell’“Opera” di Bartolomeo Scappi per poi arrivare ai nostri giorni attraverso un viaggio di forme e materiali ma senza perdere mai la sua funzione intrinseca, all’apparenza semplice, ma indispensabile. La grattugia richiama un gesto familiare, che sa di pranzo della domenica e ci accomuna, permettendo anche l’utilizzo in cucina della vastità di formaggi che in ogni regione – e talvolta comune – vengono prodotti e arricchiscono la nostra storia. Qui in Emilia, senza la grattugia, e il Parmigiano grattugiato, non esisterebbe quasi la totalità dei piatti della nostra memoria.
Ecco perché non c’è utensile in cucina che io possa amare di più.
Maria Vittoria Caporale
Ode alla carta forno
Non posso stare senza te, la cucina senza la tua bianca antiaderenza è un’incrostazione senza fine. Solo tu sai abbracciare un filetto di pesce e renderlo morbido e succoso dopo un passaggio in forno. Quando ti accomodi nella teglia e accogli strati di lasagne e ragù ti adoro, sei la mia meraviglia quando ti taglio a quadretti e preservi il mio pane che lievita, permettendomi di farlo scivolare nella teglia senza rovinarlo. Ti guardo con gli occhi a cuore quando ti avvolgi intorno alle focaccine che custodisco in congelatore, e quando le voglio croccanti basta spacchettarti e metterti in forno con loro. Sei perfetta per contenere il morbido impasto della torta di mele, l’arrosto della nonna, il mix di verdure e radici che diventano un delizioso contorno arricchito di spezie e di erbe aromatiche. E sai quando sento le farfalle nello stomaco? Sai quando davvero penso che per me sei unica e insostituibile? Quando rimani solo tu, e mi basta una mano per appallottolarti, e guardo la teglia che tu hai ricoperto: pulita, senza incrostazioni, pronta da usare di nuovo. Se non è amore questo, non saprei proprio dove altro trovarlo.
Anna Prandoni
Dedicato al Leccapentole
Io penso a te quand’in fondo alla pentola
il cibo si attacca ed il pasto minaccia;
io penso a te mia flessibile spatola
lecchi la goccia, e non lasci una traccia.
Io penso a te coi fornelli in fermento,
quando il sugo bolle e la crema s’addensa;
per fare un disastro mi basta un momento
ma la tua grazia il suo tocco dispensa.
Quando l’impasto, del dolce m’avanza
il tuo caro nome sovviene di getto;
mia amata marisa, la tua lingua danza
dall’alto al basso il tuo tocco è perfetto.
Con te ogni residuo diventa tesoro,
un assaggio, un sapore che insieme esploriamo;
In ogni angolo, sinuoso e leggero,
trasformi il lavoro in quel gioco che amiamo.
(Liberamente ispirato da “Io penso a te” di Johann Wolfgang Goethe)
Thea Papa