Passato l’otto marzo con la sua inevitabile dose di retorica, le sue manifestazioni, con i mazzi di mimosa, le cene al femminile, è utile dare uno sguardo alla situazione della donna nell’epoca attuale, anche se non possiamo non dire che quest’anno l’otto marzo si è macchiato di una colpa grave, l’aver non solo dimenticato, ma addirittura giustificato lo stupro di massa delle donne israeliane, costringendo le donne ebree a riunirsi il giorno prima per ricordare quell’immondo episodio.
Se volgiamo lo sguardo fuori dall’Italia, spesso ci dimentichiamo che nella metà del mondo esiste ancora una situazione di patriarcato, la nostra viltà ideologica ci fa dimenticare che nel mondo islamico la disparità di genere è la normalità, e che in larga parte esistono forme di repressione violente.
Mutilazioni femminili praticate in circa trenta paesi (duecento milioni di donne nel 2023 ), spose bambine (ogni anno circa dodici milioni di bambine si sposano prima della maggiore età, dati Action aid).
Se è vero che in alcuni Paesi come la Tunisia e la Turchia la condizione è di quasi parità, nella maggior parte dei Paesi la sottomissione è praticata e accettata.
Una premessa necessaria perché il mondo non può rinunciare al potenziale di cinquecento milioni di donne e non può sopportare forme di semi-schiavitù che sono contrarie ai principi della Carta dell’Onu, organizzazione di cui fanno parte anche i Paesi che sistematicamente violano questi principi.
Non una premessa quindi per non affrontare i nostri problemi di disparità di genere, ma un modo per inquadrarla in un mondo globale, per ricordarci quale è la situazione in tanti Paesi dove noi passiamo le nostre vacanze il più delle volte scambiando per folklore una condizione negativa.
Nel nostro Paese la battaglia per l’emancipazione femminile è figlia delle tante promesse mancate della rivoluzione francese, tra le tante protagoniste mi piace ricordare Anna Kuliscioff e la sua conferenza nel 1890 titolata proprio «Il Monopolio dell’uomo», in quella conferenza si individuavano i temi che ancora oggi sono centrali nella discussione: che ruolo ha il sistema di produzione nella tematica femminile e quale è invece la sua specificità.
Non solo, in quella conferenza, e poi successivamente, Kuliscioff pose il tema fondamentale del rapporto con l’uomo: fare una battaglia contro di lui o con lui.
Kuliscioff perse le sue battaglie, che furono anche domestiche con il suo compagno Filippo Turati. L’emendamento che allargava il suffragio universale alle donne, presentato da un poco convinto Turati, nel 1912, fu bocciato e le donne in Italia dovettero aspettare il 1946 per avere diritto al voto, ma la battaglia per una parità formale fu ancora lunga. Solo nel 1963 fu concesso alle donne di diventare magistrate, l’adulterio femminile fino al 1968 era reato, il delitto d’onore fu abolito nel 1981, la patria potestas nel 1975 con il nuovo diritto di famiglia, il divorzio fu introdotto nel 1970, la parità salariale nel 1975, l’aborto nel 1978.
Un percorso lungo, punteggiato dagli slogan «tremate tremate le streghe son tornate» che le nostre compagne di scuola urlavano nei cortei.
Ma se ancora oggi la disparità sul lavoro rimane, (solo il ventidue per cento dei dirigenti sono donne, su cinquantasette giornali solo tre sono diretti da donne etc.) se la parità salariale esiste solo formalmente è perché non si è affrontato ancora il nodo posto da Kuliscioff sul sistema di produzione: come si attrezza il sistema produttivo per garantire alle donne un pieno percorso lavorativo?
Sappiamo che il peso della cura dei bambini e ora anche degli anziani pesa ancora sulle donne, prima di una risposta culturale è necessaria una riforma pratica che implementi il welfare, che strutturi il lavoro in termini di congedi parentali uguali per uomo/donna, di part-time, di remote working, di attenzione ai caregiver.
La donna è libera solo se è indipendente economicamente, diceva Kuliscioff, quindi il sistema produttivo non può permettersi di espellere le donne. Se ancora il peso familiare e di cura è della donna, è perché non si è ancora sciolto il nodo del rapporto con l’uomo.
La disparità si elimina solo se questa battaglia la si combatte insieme, uomo e donna. Non è l’uomo il nemico, come sostiene il femminismo estremo, il cosiddetto nazifemminismo. Questo movimento radicale non combatte la disparità, ma l’uomo, confondendo la parità con l’omogeneità. Le differenze tra uomo e donna non devono essere elemento di disparità, ma di crescita reciproca. In un mondo fluido e indistinto celebrare la pari dignità delle differenze deve essere un elemento positivo di crescita.
Non possiamo dimenticare il tema del femminicidio e degli stupri, che ancora insanguinano l’Italia. Non è solo un problema di patriarcato, è un tema che riguarda la giustizia, l’efficacia della prevenzione, l’educazione, il fallimento del nostro sistema educativo, della nostra informazione, la necessità di una educazione sessuale, la mancanza di formazione dei magistrati. Un insieme di cause che non può non riguardare il processo per una parità.
Qui il tema del cambiamento culturale è cruciale, deve riguardare le istituzioni, la famiglia, le donne e innanzitutto gli uomini.
Il trend sulla parità di genere è positivo, ma portarlo a termine è compito di tutti in un quadro dove trovino spazio le differenze ed è un tema globale, il mondo non può sopportare una doppia velocità su questo argomento e soprattutto non può sopportare l’ipocrisia del pinkwashing.