Alzi la mano chi non ha pensato almeno una volta di mollare tutto e ritirarsi in un posto sperduto o in un luogo all’antitesi della frenesia cittadina. I più lo sognano nei momenti di burnout pesante, convinti di meritare una seconda chance. A realizzarlo sono molti meno. Aldilà delle variabili personali, va detto che la città ha arpioni convincenti per tenerci stretta a sé. O quanto meno ci fa credere di avere tutto ciò che è importante. Finché non realizziamo che non si ha il tempo – e i soldi – per prendersi quello che offre.
Sono considerazioni che nascono ogni qualvolta ci si trova dinanzi a racconti di uomini e donne che invece quella scelta l’hanno fatta, non avendo rimpianti, non facendone una storia per forza edificante, non dipingendosi come dei santoni né tanto meno dei sostenitori del mito del buon selvaggio 4.0.
Lo chiariscono bene Giacomo Perletti, uno dei soci dell’azienda agricola Contrada Bricconi in Val Seriana, nella Bergamasca, e Dino Massignani, il guardiano della Riserva San Massimo, azienda risicola nel Pavese. Storie di montagna e pianura in una Lombardia agricola. L’incontro è in tavola, con il piatto che Michele Lazzarini, chef di Contrada Bricconi, prepara per l’occasione: Riso Riserva San Massimo, siero-innesto, burro affumicato e agone. Una ricetta che il cuoco di solito presenta con la pasta in formato conchiglie. È il la per un dialogo sul tema uomo-natura che contraddistingue le esperienze di vita e di lavoro di entrambe le realtà.
Esiste anche un’ipotesi scientifica che risponde al nome di biofilia, proposta nel 1984 dal biologo americano Edward O. Wilson. Prima di lui ne aveva scritto lo psicologo tedesco Erich Fromm, il quale usa il termine per descrivere l’orientamento psicologico a essere attratti da tutto ciò che è vivo e vitale. Wilson se ne appropria per descrivere la tendenza umana «a concentrare l’attenzione sulle forme di vita e su tutto ciò che le ricorda e, in alcune circostanze, ad affiliarvisi emotivamente». Si tratterebbe quindi di un istinto, il sentimento di affiliazione che ci lega alla natura e, come tale, presente in tutte le culture umane, comprese quelle più tecnologicamente avanzate come la nostra, che si stanno progressivamente allontanando dagli elementi naturali (da qui le iniziative di forestazione e interventi di design biofilico nelle città).
Altri report biomedici evidenziano come l’occhio umano possa distinguere tra centomila e dieci milioni di sfumature di colore. Il verde è il colore del quale l’essere umano può distinguere il maggior numero di sfumature in assoluto. Ciò dipenderebbe da questo legame ancestrale, come un’impronta indelebile presente nel nostro codice genetico: in una parola è la biofilia.
Una digressione, questa, per evidenziare la neanche tanto sottile linea verde che accomuna Giacomo e Dino. Il bergamasco Giacomo Perletti, di Grumello del Monte, è un appassionato di montagna, di buon vino e buon cibo. Ama in particolare, lui studente di Agraria, le vacche da latte. Nel 2009 il comune di Oltressenda Alta, in Val Seriana, lancia un bando per la gestione di un borgo abbandonato, contrada Bricconi. L’idea fin da subito è stata quella di realizzare la parte agricola produttiva: avere un allevamento di bestiame, fare il formaggio, coltivare l’orto. Lo sviluppo ricettivo e ristorativo era un’intenzione – ovvero qualcosa di più di un sogno – ma c’era bisogno di tempo.
Oggi Contrada Bricconi ha tutto questo e nella metà del 2025 arriveranno anche le camere. Perletti ammette che è stato un salto nel vuoto all’epoca – salto fatto insieme a Giovanni Pizzamiglio e Matteo Trapletti – ma con un credo forte alle spalle, quello di proporre una cucina e un’agricoltura alpine.
Altro bergamasco, di Gandellino, è Michele Lazzarini che nel 2019, “corteggiato” da Giacomo, fa visita alla contrada per la prima volta. All’epoca lavorava come head chef del St. Hubertus, ristorante tristellato di Norbert Niederkofler: «Non è stata una scelta istantanea, ma un tiro e molla durato tre anni» racconta Lazzarini. «Conoscevo la valle e temevo che non sarebbe arrivato nessuno quassù. In prima battuta avevo proposto di dare una mano ai ragazzi, ma poi l’idea di un progetto personale tra le mie montagne ha prevalso». Michele, d’altronde, lo aveva chiesto a Giacomo: «Fammi lavorare con una finestra sulle montagne».
Questa idea di sguardo ancorato a terra ma rivolto al mondo è secondo Giacomo la salvezza, nonché il presupposto di un’attività sana dal punto di vista imprenditoriale. «Contrada Bricconi non è mai stato il nostro rifugio da un mondo brutto sporco e cattivo!» ironizza Perletti. «Non abbiamo costruito un bunker per noi e le nostre famiglie. Al contrario è un posto dove si mischiano esperienze, conoscenze, dove passa molta vita – i tirocinanti anche stranieri, i clienti, noi che ci confrontiamo con altri colleghi, come Dino. La contrada è innanzitutto un luogo di lavoro, un lavoro che ci soddisfa, perché stiamo costruendo un bene, qualcosa di materiale, non un’idea astratta».
Le lancette non scorrono al contrario neanche a Riserva San Massimo, altro scenario, altro skyline, dove, però, l’idea dell’oasi felice è più evidente nelle sue fattezze: a pochi chilometri dal centro abitato di Gropello Cairoli (Pavia), ci sono seicento ettari dichiarati sito di interesse comunitario a protezione speciale e poi patrimonio dell’Unesco per la ricchezza di piante, fiori, fauna che vi abitano. Si coltiva il Carnaroli Autentico grazie soprattutto alle sorgenti d’acqua del Ticino.
Dino Massignani è il direttore della tenuta da vent’anni, ma è da tutti conosciuto come il guardiano per la sua capacità di conoscere ogni metro quadrato della riserva, animali e piante compresi. Tutto estremamente bucolico, tutto estremamente concreto: «Sono figlio di una mondina – racconta Massignani – e di un camparo dell’acqua. La mia famiglia viveva a Cascina Gambalotta nel Novarese e per me e miei fratelli era normale quell’habitat umido pieno di animali e insetti, come era normale bere il brodo di rane. Quello che a molti poteva sembrare o sembra un contesto malsano, per me è sempre stato un mondo ricchissimo».
A sentir parlare Dino vengono in mente le immagini in bianco e nero del film “Riso Amaro”, ma la sua storia è a colori e si svolge a metà degli anni Settanta. Prima di arrivare alla riserva, Massignani fa l’operatore faunistico e l’agente di vigilanza ecologica. L’incontro con la famiglia Antonello, proprietari della tenuta, gli cambia la vita: «Per me è come essere tornato bambino – spiega il direttore – ma in un mondo molto più bello, dove ci sono ottanta chilometri lineari di alberi da frutto, cinquecento animali censiti, otre quaranta fontanili di acqua cristallina. Quando torno a Gambalotta invece mi viene da piangere perché l’agricoltura intensiva ha distrutto tutto».
A Riserva San Massimo si produce uno dei risi Carnaroli più amati dal fine dining (oltre al Carnaroli, sia classico che integrale, si coltiva riso Vialone Nano e la varietà Rosa Marchetti), frutto di un ecosistema che ha bisogno di attenzione costante: «Capisco appieno il discorso di Giacomo: per raggiungere certi standard devi avere preparazione, obiettivi, rigore, credere nella bellezza come fattore funzionale e anche utilizzare le opportunità che ti sono offerte. Penso, ad esempio, ai fondi della Comunità Europea per la sostenibilità destinata alle aree umide. Il senso dei contributi però sta nell’investimento che fai nell’ambiente. In Pianura Padana invece molte aziende continuano a usarli sul prodotto. Così manca la visione d’insieme».
Ecco perché nell’azienda pavese, tra le altre cose, volano i droni che fotografano lo stato dell’arte delle risaie, per monitorare le gradazioni di verde delle piante. A Bricconi stanno facendo altrettanto – ma ammettono di essere ancora lontani dalla totale sostenibilità – con la legna dei boschi per l’energia termica, con l’impianto di teleriscaldamento già pronto per le stanze, con l’essiccatoio di ultima generazione per avere il miglior fieno per gli animali.
Perletti torna sul concetto di bellezza che considera un vero e proprio tarlo: «Non ho mai lasciato che Contrada Bricconi mi abbruttisse. Non bisogna rinunciare a sé e qui tutti i giorni facciamo i conti con il fatto che le cose migliori nascono dagli incontri».