È sempre stimolante, parlare con i professionisti del mondo dell’enogastronomia che incontriamo nei nostri viaggi. E quando riusciamo a incontrarne tanti, e farli dialogare insieme, è una soddisfazione ancora maggiore. Per questo, oltre al nostro Festival principale, cogliamo spesso le occasioni che ci si presentano nelle altre regioni italiane per confrontarci con tutti i giovani professionisti che hanno deciso di concentrare i loro sforzi in territori non metropolitani, spesso scegliendo di tornare alla terra d’origine dopo esperienze più o meno edificanti all’estero. Le loro storie sono di ispirazione per tutti quei ragazzi che stanno decidendo se buttarsi in questo settore e per quelli che l’hanno scelto ma che cercano nuovi stimoli. La scorsa settimana l’abbiamo dedicata alla Puglia, dove a Lecce, nel Chiostro dei Domenicani, abbiamo replicato l’esperienza dello scorso anno con la preview pugliese del Festival di Gastronomika, ospiti di Food Exp, il Forum Internazionale dell’Enogastronomia e dell’Ospitalità Alberghiera ideato da Giovanni Pizzolante.
Abbiamo incontrato durante una tavola rotonda particolarmente stimolante enologi e imprenditori agricoli, pasticcieri e ristoratori, professionisti under 40 rientrati in Puglia dopo anni di esperienza fuori, per riprendere in mano le aziende di famiglia o per valorizzare la terra d’origine seguendo le proprie passioni. Nonostante criticità e resistenze, decidono di ripartire «dal raccontare il nostro territorio che è la nostra unicità», e lo fanno durante uno dei tavoli di Gastronomika fuori sede.
Tanti i temi trattati al tavolo di lavoro, a partire dal titolo del prossimo Gastronomika Festival “A tutti i costi”, in tutte le sue sfaccettature, ma anche le difficoltà legate al passaggio generazionale, l’importanza dell’esperienza e del confronto con realtà distanti, la necessità di sviluppo delle aree rurali.
I partecipanti
Giovanni Aiello, enologo per amore, sta cercando di dare lustro alla sua terra recuperando vigne storiche e riportandole in produzione.
Giulia Montefrancesco, nuova generazione alla guida di Valentino Caffè, prodotto destinato prevalentemente al settore Horeca, con sede anche in Lussemburgo e una forte vocazione internazionale. È da nove anni in azienda, e sta vivendo con grande intensità il suo passaggio generazionale, è qui per «condividere le problematiche in un mondo diverso dal mio». Con uno scontro costruttivo sta provando a passare da un modello di azienda vecchio, con un uomo solo al comando, a un nuovo schema, per stare al passo con il mondo che cambia in maniera troppo veloce. «I valori sono giusti, la tradizione è fondamentale ma bisogna stare al passo con i tempi. Parlare di evoluzione e cambiamento, dare importanza della comunicazione».
Francesco Pellegrino, pasticciere di ristorante, dopo tante esperienze all’estero è tornato nella sua terra per aprire un’attività di pasticceria. Insieme a Martina Tramisi e altri due compagni di avventura, è il cuore di Lilith, un ristorante nato con genitori e nonna come osteria tipica, che i quattro stanno riconvertendo dando una svolta giovane a Vernole.
Massimilano Leonetti, anima di Dama Bakery a Bari, una realtà di famiglia rivitalizzata dopo il suo esodo milanese: «Ho scelto di formarmi nella sfera manageriale aprendo sedi di un’azienda internazionale, il Covid mi ha fatto tornare e oggi qui ho il mio sogno».
Marco Funiati, ingegnere laureato a Torino e con esperienze all’estero, torna in Puglia per fondare la sua start up partendo dalla terra: «Ho avviato un’azienda vinicola a San Pancrazio, una cantina con vigneti. Per ora abbiamo una distribuzione a Lecce, Brindisi e Taranto, ma abbiamo l’idea di aprirci alla distribuzione nazionale, e di puntare sull’ospitalità».
Gianluca Tassielli, bartender partito dalla cucina e poi appassionatosi alla mixology, che oggi è diventata il suo lavoro.
Carlo Guarini, rientrato da otto anni con l’idea di portare avanti l’azienda di famiglia che lavora la terra, è un giovane imprenditore agricolo e produttore di olio e vino: «Vorrei dare continuità ma con idee nuove», sta cercando di costruire una credibilità al Negramaro lavorando sulle zone. La sua visione è ambiziosa e vuole creare un legame e un circolo virtuoso tra zona e bottiglia: «Mi piacerebbe un giorno che la bottiglia acquisisse un valore, così che il territorio ne avesse un riscontro. È un’operazione reale, non solo un’operazione commerciale, ma che crea valore per il luogo. Ed è questo l’obiettivo per il quale siamo rientrati in Puglia».
Vincenzo Maglio, sesta generazione di produttori di cioccolato a Maglie, ha fatto un percorso fuori dalla regione per poi rientrare dieci anni fa: «Approcciandomi a una situazione diversa per fare esperienza, ho capito quante opportunità e potenzialità ci sono qui. La battaglia da affrontare è quella guardando al Nord».
Gabriele Caroppo, ha aperto la distilleria Gecogin con sua moglie, dove produce da due anni gin e distillati, dopo la loro esperienza in Irlanda. «Volevamo importare un concetto comune nel Nord Europa, per portare esperienze viste fuori da qui, e abbiamo creato la prima distilleria che è anche cocktail bar (seconda in Italia)». Dopo diciotto anni passati a fare programmazione e logistica per altri, ha ribaltato sull’azienda la sua professionalità. Stanno cercando di far comprendere la differenza dei loro prodotti, il valore che hanno, portando le persone a vedere come producono: «perché se vedi come lo facciamo, capisci quanto vale».
Stefania Erroi col compagno ha avviato un progetto ristorativo dopo una carriera diversa e una famiglia di imprenditori di un altro settore: «Perseguire un sogno in una porzione di territorio così difficile è follia, con varie complicazioni, ma ho scelto la cucina per passione, e oggi faccio parte di questo settore in evoluzione».
Pierfabio Mastronardi, è patron di una realtà vitivinicola a cavallo tra valle d’Itria e Trulli, una piccola azienda in fase di sviluppo: «Coi miei vini voglio rappresentare il nostro territorio nella maniera più autentica e verace, senza edulcorare angoli che ci sono. Voglio ripartire dal raccontare il nostro territorio che è la nostra unicità».
Paolo Intricato, specializzato in enologia, insieme ai due fratelli è l’anima di cantina Superanum un’azienda che produce vino da vigne recuperate nel 2013, con una selezione dell’uva in vigna e basse produzioni. La scelta è di recuperare varietà per adattarsi a cambiamenti climatici: «Vogliamo cambiare il messaggio che diamo ai clienti: bisogna descrivere l’area di produzione da cui provengono i vini». L’ambizione è recuperare questa zona antichissima di produzione, nella quale è stato estirpato tutto negli anni Settanta, per cattiva conoscenza.
Clemente Zecca è la nuova generazione di una famiglia di produttori di vino, con un’azienda storica che risale al 1580, rivitalizzata negli anni Trenta: vuole fare vini che siano lettori del territorio e specchio del luogo, e girando all’estero ha capito di voler dare valore alla Puglia e al Salento, con un prodotto non riproducibile altrove: «che poi è l’opposto di quello che si faceva venti-trenta anni fa, omologando i vini con tanti vitigni internazionali e legni eccessivi. Noi al contrario vogliamo dare importanza alle varietà autoctone, facendo anche una precisa zonazione dei terreni».
Francesco Mazzone, enologo in una famiglia di agricoltori vignaioli, «Venti anni fa ho deciso di iniziare a produrre vino. Volevo fare il geometra, ma ero troppo legato ai nonni e al patrimonio delle terre di famiglia per lasciarle, e allora ho deciso di iniziare da zero».
Le idee che sono emerse
L’importanza del viaggio, dell’andare fuori per aprire la mente: tutti i protagonisti hanno conosciuto un modello e un approccio diverso nel concepire il lavoro, e guardare altrove è stato un grande momento di crescita. Vedere come e cosa fanno gli altri, anche se non è per forza migliore, è utile per capire come costruire qualcosa di solido. «Viaggiare per capire che cos’hai e quali potenzialità puoi mettere in atto. Ti rendi conto che questa terra è meravigliosa solo guardandola da fuori».
Al contempo, le esperienze all’estero hanno permesso di rivalutare le competenze degli italiani: «non è vero che non sappiamo lavorare, anzi».
La spinta a ritornare è prima di tutto ideale e sociale, con una grande consapevolezza: «Se tutti ce ne andiamo queste terre si spoglieranno sempre di più di ragazzi volenterosi e curiosi».
Andare fuori vuol dire donare capacità e mente imprenditoriale ad altri: «Se tutti rimaniamo fuori e portiamo le nostre energie fuori questa terra si spoglia, vanno via le menti affamate di crescere e affermarsi. Voglio far crescere la mia terra».
Importante anche la consapevolezza del loro ruolo sociale, come imprenditori: «Non tutti hanno voglia di investire in un’azienda, ma noi che vogliamo farlo dobbiamo essere bravi e sperare che il nostro esempio porti anche altri a tornare e possa attirare menti e forze che ci aiutino a crescere. Dobbiamo essere in grado di proporre offerte lavorative serie, che siano un’alternativa di vita in un luogo con una qualità di vita totalmente diverso da altrove».
Alcuni hanno l’occasione di portare la loro esperienza in Europa: «Sono delegato per agricoltori europei e la sfida più grossa è portare attenzione su vari punti dell’agenda per strutturare una nuova politica agricola comune. Un punto che accomuna tutti gli Stati, uno degli strumenti e degli obiettivi è proprio lo sviluppo delle aree rurali come la nostra».
Emergono anche criticità: «Qui manca il confronto: spesso non sappiamo con chi parlare. C’è una scarsa offerta e una scarsa immagine di noi imprenditori, qui». Il problema, spesso è anche la dimensione delle aziende, quasi tutte piccole, difficilmente attraenti e in grado di attrarre nuovi talenti. Che, peraltro, mancano qui come altrove: «La propaganda del ritorno all’agricoltura dei giovani è una bufala che non ha fondamento. Siamo pochissimi under 40, e perdiamo punti percentuali continuamente».
E un punto determinante rimane l’incertezza: «Fare agricoltura vuol dire andare al casinò tutte le mattina: devi combattere contro il clima, contro il mercato. Il nostro ruoli da giovani è anche dare dignità al prodotto agricolo pagandolo il gusto, e al contempo aumentare la qualità. Ma dobbiamo anche incentivare le generazioni di lavoratori che sono disposti a sacrificare tutto per il lavoro, modificare il nostro approccio non svilendoci o accettando richieste assurde, ma capire le nuove leve, non convincere con il denaro ma con opportunità e con la voglia di collaborare». Perché si ritorna qui solo se ne vale davvero la pena.