Morire di caldoLa lunga strada tra il cambiamento climatico e la sicurezza sul lavoro

La protezione dei dipendenti dagli eventi meteorologici estremi non fa ancora parte della nostra cultura aziendale, così come la prevenzione. E a livello statale non esistono leggi e linee guida che permettano ai datori di affrontare concretamente un tema impossibile da ignorare

AP Photo/LaPresse (ph. Francisco Seco)

Gli eventi meteorologici estremi e l’aumento delle temperature espongono a seri rischi di salute il settanta per cento dei lavoratori nel mondo. La stima arriva dall’ultimo report di Ilo, l’Organizzazione internazionale del lavoro. In particolare, gli agricoltori e i lavoratori che operano all’esterno appartengono alle categorie maggiormente esposte al rischio di cancro, malattie respiratorie, malattie cardiovascolari, disfunzioni renali e malattie mentali. 

Domenica 28 aprile si celebra la Giornata internazionale della sicurezza e della salute sul lavoro, ma i rischi professionali legati al cambiamento climatico e all’inquinamento atmosferico sono ancora poco riconosciuti. Questi fattori comportano un peggioramento dello stato di salute dei lavoratori, e i numeri che emergono dal report di Ilo tracciano un quadro allarmante. 

Ogni anno 2,4 miliardi di lavoratori sono esposti al caldo estremo, e quasi diciannovemila muoiono a causa delle conseguenze provocate dalle alte temperature. A questi si aggiungono 1.6 miliardi di persone esposte ai raggi ultravioletti, che provocherebbero il cancro alla pelle a diciannovemila lavoratori. I lavori di perforazione e le occupazioni all’interno di cave di pietra sono tra le professioni più rischiose. In più, 1,6 miliardi di lavoratori esterni sono esposti all’inquinamento dell’aria, e devono anche far fronte alle possibili malattie trasmesse da parassiti, responsabili della morte di quindicimila persone ogni anno. 

Tutti questi pericoli possono presentarsi tutti insieme sullo stesso luogo di lavoro, esponendo dipendenti e collaboratori a molteplici rischi per la salute mentale e fisica. In un mondo ideale, ogni Paese dovrebbe avere leggi mirate per mitigare l’impatto della crisi climatica sui lavoratori. Ma la realtà è ben diversa. Nel nuovo report, Ilo ha presentato più di quaranta norme inerenti alla Sicurezza e alla salute professionale globale (Osh) per fornire ipotetiche soluzioni al rischio climatico. È importante sottolineare che anche una transizione troppo rapida verso tecnologie green e più sostenibili potrebbe rappresentare un rischio per la salute, senza le necessarie precauzioni. Ad esempio, i pannelli solari potrebbero contenere sostanze chimiche tossiche dannose per la salute dei lavoratori che li installano. 

Il pericolo numero uno deriva dal caldo estremo sui luoghi di lavoro, in particolare nel settore agricolo e in quello edile. 26,2 milioni di persone nel mondo sviluppano malattie croniche renali causate dalle temperature elevate sul luogo di lavoro. Alcuni Paesi hanno introdotto misure per contenere le alte temperature: supervisione medica, regolazione dei limiti di temperatura, informazione e misure preventive.

Secondo l’ultimo rapporto di Copernicus e dell’Organizzazione meteorologica mondiale (Omm) sullo stato del clima, l’Europa è il continente che si surriscalda di più: è stato registrato un record nel numero di giorni contraddistinti dal caldo estremo, e nei Paesi europei le morti connesse alle alte temperature sono aumentate del novantaquattro per cento.

Come si stanno muovendo i Paesi europei per proteggere i lavoratori dal cambiamento climatico? In Spagna, per limitare le alte temperature, i luoghi di lavoro al chiuso devono mantenere una temperatura tra i diciassette e i ventisette gradi. Questo dato è valido per i mestieri più sedentari, mentre per quelli più leggeri occorre restare tra i quattordici e i venticinque gradi. Un regio decreto del maggio 2023 ha introdotto la possibilità di ridurre o modificare determinati lavori in presenza di temperature proibitive, senza intaccare il salario nel caso in cui le ore di operatività diminuissero. Una misura analoga è stata introdotta anche in Grecia: quando le temperature superano i trentotto gradi, il lavoro può essere interrotto senza modifiche alla busta paga. In Belgio, per fare lavori particolarmente pesanti la temperatura non dovrebbe superare i diciotto gradi. In altri Paesi europei non vengono fissati i valori massimi delle temperature: l’assenza di leggi ad hoc rimanda la responsabilità ai datori di lavoro.  

L’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro ha pubblicato una guida con gli orientamenti tecnici e pratici per le professioni particolarmente soggette al caldo estremo. 

Tre queste si suggeriscono indumenti protettivi, forniture costanti di acqua potabile e possibilità di fare pause se il dipendente lo ritiene necessario. Tuttavia, le iniziative introdotte in ambito europeo riguardano linee guida e direttive, che lasciano la decisione ai singoli Stati membri sull’organizzazione e sui mezzi da utilizzare per applicare le norme. 

Per quanto riguarda i raggi UV, in Germania i datori di lavoro devono assicurare ai dipendenti una visita specialistica ogni tre anni. In Finlandia, invece, una legge prevede la fornitura obbligatoria di indumenti protettivi personali in caso di esposizione a radiazioni ultraviolette. Tuttavia, nel report di Ilo viene indicato che in nessun Paese al mondo esistono specifici limiti di esposizione professionale ai raggi UV. In Italia esistono iniziative virtuose ma isolate. Un esempio è quella intrapresa dall’Inail e dall’Università di Modena e Reggio Emilia

La maggior parte delle morti sul lavoro a causa del cambiamento climatico è provocata da tempeste e da siccità. Anche in questo contesto l’Unione europea ha introdotto diverse direttive volte a proteggere i lavoratori nel caso di eventi meteorologici estremi. Ad esempio, l’uso di indumenti adeguati e la presenza di postazioni di lavoro in cui potersi riparare in caso di vento forte, grandine e precipitazioni violente. Rilevante è l’orientamento della Fao e di Ilo verso l’uso della tecnologia per prevenire disastri climatici sul luogo di lavoro, attraverso l’utilizzo di droni. 

Purtroppo, queste iniziative non sono sufficienti. Un’analisi di Health Action Alliance sottolinea la scarsa reattività da parte delle aziende nel considerare azioni efficaci contro i rischi della crisi climatica. Molto spesso i datori di lavoro vogliono attivarsi per cambiare, ma non sanno come procedere e come orientarsi in questo nuovo campo. Occorre in primo luogo valutare i rischi e coinvolgere le parti interessate, e solo dopo introdurre nuove misure. 

È ormai chiaro che la protezione dei dipendenti dagli eventi meteorologici estremi dovrà entrare nella cultura aziendale, così come la prevenzione. È difficile, considerando le differenze tra Paesi e singole professioni, creare linee guida chiare e applicabili in modo omogeneo: la sensibilità a riguardo dipende dalla zona e dall’azienda. Occorrerebbe una ricerca più approfondita sugli effetti e sulla sicurezza climatica sul lavoro, oltre a una collaborazione tra i governi dei vari Paesi, volta a delineare direttive più dettagliate. Il numero di vittime a causa del cambiamento climatico è destinato ad aumentare: secondo un report del World economic forum sull’impatto del clima sulla salute umana, entro il 2050 gli eventi climatici estremi provocheranno più di 14,5 milioni di morti e una perdita economica pari a 12,5 trilioni di dollari.  

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