L’oggetto più simbolico è la panchina creata dalle macerie di un asilo all’interno di un villaggio liberato nell’autunno del 2023 nella regione di Donetsk, che evoca il peso insostenibile della guerra. E lo stesso vale per i prototipi di una scuola portatile a forma di fisarmonica (che permette ai bambini di studiare ovunque si trovino) e il caricabatterie mobile per computer o telefoni ricavato da un contenitore per le munizioni. L’esposizione Emergency Design è approdata alla Fabbrica del Vapore per il Fuorisalone della Design week per parlare dell’invasione russa in Ucraina attraverso il design, che fa di necessità virtù o meglio di sopravvivenza.
Si tratta di un lungo progetto realizzato fra l’Italia e l’Ucraina grazie al lavoro dei professori e degli studenti del Lviv Polytechnic National University e il Design Lyceum di Kherson, i cui allievi sono sfollati o rifugiati. Ideata dalle associazioni Vitaworld e Vitaukr, che combattono la guerra attraverso l’arte, la mostra è poi cresciuta attraverso i workshop con studenti e insegnanti ucraini, coordinati dal docente Andriy Pavliv, del dipartimento di design e architettura del Politecnico di Lviv, come anche grazie ai seminari di Cesare Castelli e Maria Christina Hamel dell’associazione Milano Makers. Emergency Design è la dimostrazione della potenza della mente umana davanti all’emergenza permanente.
Dai letti trasformabili in sedie e tavoli nei bunker alle case galleggianti che possono resistere alle catastrofi ambientali, tutta la mostra è ispirata alla precarietà della guerra. Il suo filo rosso è la ricostruzione delle città non sulle macerie ma dalle macerie a partire da materiale di riciclo. «Immaginatevi Bakhmut o Mariupol: città distrutte, città fantasma. Immaginate cosa succederà dopo la liberazione di queste città. Ovviamente le persone vorranno tornare nel luogo dove vivevano per riparare o ricostruire le loro case. E quindi serviranno soluzioni pratiche e al contempo terapeutiche, che possano sfruttare tutti gli abitanti per creare oggetti che li aiutino a superare i loro traumi», spiega Natalia Siassina di Vitaworld, mediatrice tra varie realtà associative e accademiche per creare l’esposizione Emergency design anche grazie al contributo della Fondazione Terre des Hommes Italia, della Fondazione Progetto Arca e del Forum Donne Italia Ucraina.
Il progetto da cui nasce la mostra è My land, che oltre ad avere un significato patriottico per la difesa dell’Ucraina, ha anche un riferimento green agli edifici costruiti con risorse naturali locali. «L’Ucraina ha perso il venti per cento del suo territorio, quaranta milioni di metri quadrati di abitazioni, oltre centosettanta mila case. Ha accolto sei milioni di persone sfollate internamente, centinaia di migliaia di persone sono morte e si è inoltre verificato un incredibile disastro ecologico con l’inquinamento del suolo, la perdita di acqua, la distruzione di foreste e terreni agricoli. E poi ci sarà il problema dello sminamento di centosettantaquattromila chilometri quadrati. Due volte l’Austria, o cento volte Londra», spiega il coordinatore del progetto Andriy Pavliv.
«Perciò gli studenti dell’Istituto di Architettura e Design del Politecnico, insieme a designer italiani hanno iniziato a lavorare sulla progettazione d’emergenza con l’obiettivo di creare uno spazio nuovo. Il design si basa sulle tradizioni popolari, sulla conoscenza dei materiali locali, sullo sviluppo sostenibile, sul riutilizzo dei materiali e sul risparmio energetico», aggiunge. «Gli studenti hanno progettato abitazioni con un consumo energetico ridotto, che raccolgono l’acqua piovana dalle fondamenta delle case e irrigano i giardini per coltivare verdure e frutta a basso costo».
Guidati dai professori del Politecnico di Lviv, i giovani designer che vivono l’assedio russo da più di due anni sono i primi beneficiari del progetto My land. Alcuni sono sfollati, altri sono stati volontari per aiutare dopo il crollo della diga di Nova Khakovka. E anche per questo motivo hanno immaginato case galleggianti, scuole o edifici mobili, come anche oggetti che evocano valige da riempire e con cui fuggire. E sui pannelli alle pareti della mostra hanno appeso le immagini delle rovine che hanno ispirato ogni progetto e prototipo.
Sempre all’interno della mostra si inserisce il videoclip di un collettivo di giovanissimi artisti-studenti intitolato “Marks of war”: un pittore sta dipingendo uno scorcio della sua città, che vede dalla finestra, un missile colpisce i palazzi sullo sfondo e incendia il quadro. Il pittore però non si dà per vinto e decide di concludere il lavoro e appenderlo al muro. In un frame nero che spezza le due sequenze si legge la scritta “We are still fighting”.
Gli studenti del Politecnico di Milano in visita alla mostra hanno colto in pieno il valore simbolico delle opere esposte, che testimoniano il ruolo che assume il design nei momenti più tragici, ossia la necessità di far rinascere il bello dove oggi esistono solo macerie.