Mordi e fuggi Come l’Italia e l’Europa stanno combattendo l’overtourism

Il contributo di accesso a Venezia rappresenta un unicum in Italia, e se il capoluogo veneto è costretto a limitare il fenomeno del turismo di massa, la chiave possibile è delocalizzare i flussi promuovendo nuove mete meno conosciute

AP/Lapresse

«Canarias se agota». Le Canarie sono esauste. Da questo slogan prende il nome un movimento spagnolo noto per i suoi scioperi della fame in protesta contro il flusso massiccio di turisti. Il portavoce del collettivo alla stampa ha parlato di «sviluppo suicida» di fronte allo scenario dello scorso anno, nel quale le isole Canarie hanno ospitato sedici milioni di visitatori, contro i soli 2,2 milioni di abitanti. 

Da anni, l’ardua sfida che coinvolge le principali realtà turistiche in Europa è quella di trovare un punto di equilibrio tra la promozione del proprio valore artistico e culturale – favorendo l’economia locale – e, allo stesso tempo, garantire una buona qualità della vita per i cittadini residenti.

Il fatto che molte battaglie contro l’overtourism nascano in luoghi in cui il turismo stesso rappresenta una fetta di Pil molto importante, come le Canarie, fa pensare a un’arma a doppio taglio.

Spesso in simili contesti queste battaglie assumono contorni sfumati e radicali, per cui si finisce a protestare non tanto contro le deviazioni del fenomeno turistico, quanto contro il turismo in generale. Tra l’altro è difficile definire in modo oggettivo quando il turismo diventa overtourism, ma è altrettanto difficile, se non impossibile, sostenere che il turismo sia un ostacolo, o addirittura sbagliato.

Come osserva Jon Henley sul Guardian, la deriva del «curbing tourists’ enthusiasm»  (limitare l’entusiasmo dei turisti, citando la serie tv di Larry David) sembra essere l’unica via attuabile in grado di evitare che i residenti vengano fagocitati da orde di visitatori giornalieri.

In altre parole, significa imporre contributi di accesso, usare un sistema di prenotazione più rigido, organizzare time slots per le visite in gruppo, introdurre limiti per il numero dei componenti dei gruppi stessi, inasprire le multe legate all’ordine pubblico, vietare la vendita di alcolici oltre una certa ora. Insomma, limitare il turismo, con l’obiettivo di renderlo più sostenibile per la comunità che in quella città vi abita e vi trascorre la propria quotidianità.

In Italia, il primo esempio di una stretta importante è quello di Venezia. Infatti, il 25 aprile prossimo, in occasione del ponte della Festa della Liberazione, il Comune di Venezia  imporrà una tariffa di cinque euro a persona per l’ingresso nella città antica. Il ticket riguarderà in tutto ventinove giornate, fino a luglio, e si estende a tutti i visitatori giornalieri – di età superiore ai quattordici anni e residenti fuori dal Veneto.

«Ho l’onore di essere il sindaco della città più bella del mondo, ma che negli ultimi anni ha un problema di qualità della vita delle persone, di civiltà e di rispetto delle norme», dice alla stampa il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro durante la presentazione del contributo di accesso a Roma il 4 aprile scorso.

Si tratta di un’iniziativa storica, discussa da tempo in Consiglio comunale e Giunta ma resa realtà solo da quest’anno. Le autorità hanno agito dopo che l’anno scorso sono stati registrati quasi sei milioni di arrivi – ovvero il numero di turisti pernottanti – e più di dodici milioni di presenze – il totale dei pernottamenti effettuati dai turisti in strutture ricettive –, con un aumento rispetto all’anno precedente (2022) rispettivamente del 21,9 e del 15,4 per cento e sfiorando i numeri del 2019, ovvero tornando ai livelli pre-pandemia.

«Non mi sento di condannare ciò che Venezia sta facendo. Mi sento però di dire che non può essere la via da seguire per tutti, e non può essere una via che Venezia può seguire a tempo indeterminato», dice Marina Lalli, presidente di Federturismo.

Una soluzione sostenibile all’overtourism, accolta anche da Federturismo, è «riuscire a dare notorietà a luoghi ancora sconosciuti», obiettivo raggiungibile attraverso una «programmazione razionale di ridistribuzione dei flussi». Sarebbe una «terza via» in grado di combattere l’overtourism più sfrenato e che allo stesso tempo non limiti le potenzialità di attrazione turistica del nostro Paese. 

Come mostra un report presentato all’ultima edizione di Tourisma, il Salone Archeologia e turismo culturale, il settanta per cento dei turisti stranieri, spinti come motivazione di viaggio dall’interesse culturale, si concentra su l’1 per cento del territorio italiano. Alla faccia della ridistribuzione.

O ancora, mentre in Italia milleseicento musei e siti archeologici non arrivano a quindici visitatori al giorno, solo ventuno – solitamente i più noti e i più pubblicizzati sul web – ospitano una media di circa milletrecento persone al giorno.

Numeri che mostrano uno scenario italiano saturo, e la necessità di una politica vera che distribuisca meglio i flussi turistici a livello geografico.

Lavora in questo senso un altro grande polo turistico italiano come Firenze. Nel capoluogo toscano «gli arrivi sono in costante crescita e segnano in questi primi mesi del 2024 un +15 per cento rispetto al 2023, non solo per quanto riguarda la città, ma anche per quanto riguarda tutto l’ambito turistico e l’area fiorentina», spiega Alessia Bettini, vicesindaco e assessore al turismo di Firenze. A suo dire, questi risultati sono «incoraggianti» e sono frutto delle «politiche di delocalizzazione dei flussi» che l’amministrazione sta portando avanti.   

Per quanto riguarda le locazioni turistiche e il fenomeno connesso degli affitti brevi – che hanno contribuito a rendere antieconomico abitare in una qualsiasi città d’arte – il vicesindaco parla di una norma appena varata che «potrà contribuire a restituire un tessuto abitativo alla residenza», muovendosi anche con un «intervento forte su edilizia popolare e housing sociale per le fasce in difficoltà e per le famiglie». Nella pratica, aumentare gli alloggi popolari.

Bellini ricorda che tutto ciò non basta e non è una panacea, ma è sicuramente un «modo per aprire una strada in una situazione di inerzia da parte del governo che dovrebbe intervenire con una legge nazionale».

Si chiede perciò un intervento a livello statale, necessario a questo punto per riflettere su quello che dovrà essere il turismo del domani, nel segno della sostenibilità e della qualità della vita degli abitanti.

È improbabile pensare a un’Italia che faccia del «curbing tourists’ enthusiasm» il motto principale. Se Venezia anche per la questione ambientale che conosciamo bene legata alla natura lagunare della città è stata obbligata a prendere delle iniziative senza precedenti, in altre parti del Paese, che magari oggi rappresentano agli occhi del mondo delle mete turistiche di serie B o comunque meno battute, non è detto che con una buona strategia di marketing territoriale e con una promozione istituzionale adeguata non possano sostituire, per quanto possibile, le mete tradizionali.

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