«I deputati meridionali facevano consistere il loro ufficio nel fare raccomandazioni e procurar favori agli elettori, e per essi una croce di cavaliere aveva più importanza che un trattato di commercio o un progetto di legge per le pensioni…». Cento anni fa Gaetano Salvemini scriveva queste cose. Cento anni dopo c’è da registrare che alla fine non è che la politica al Sud abbia elevato molto la sua natura. Ed è molto triste che in poche settimane si siano succedute tante peripezie di carattere penale proprio nella Puglia di Salvemini, tra il comune di Bari e la Regione, di cui naturalmente bisognerà vedere gli sviluppi. Così come ad Avellino, dove è stato arrestato il sindaco uscente Gianluca Festa, ex Partito democratico e poi civico, dietro una valanga di accuse. E ancora in Sicilia è stato sospeso per un anno il vicepresidente leghista (che poi all’epoca delle indagini era del Partito democratico, è un personaggio diciamo così “volatile”) Luca Sammartino.
Le solite cose in tutte le vicende: corruzione, abusi, voto di scambio. L’immagine del Mezzogiorno per l’ennesima volta insozzata ma è difficile parlare di casi isolati, di mele marce, di chissà cosa: questa è una Tangentopoli dei poveri, come da decenni si ripete in quelle zone. Cinquanta euro per un voto, si è visto anche questo.
Transumanze politiche, partiti usati come taxi per raccattare volti o soldi o tutt’e due. Altrove le reti del malaffare sono un pochino più “sofisticate” ma la sostanza è la stessa: tutto insieme questo ci dice che la politica meridionale è malata. I cacicchi piccoli, medi e grandi comandano il territorio usando il loro potere non criminale ma criminoso. I partiti hanno abbassato le serrande. I dirigenti “normali” probabilmente non ci sono più. La Puglia finora è quella che “vanta” il più alto numero di scandali e scandaletti, e il Partito democratico che la governa è finito giustamente nei guai.
Ora si affaccia la vicenda istituzionalmente più grave. Vedremo come andrà a finire ma è possibile che si sia di fronte a una cosa enorme, cioè all’ipotesi che il presidente della Regione Michele Emiliano abbia avvisato delle indagini in corso Alfonsino Pisicchio, l’ex commissario straordinario dell’Arti (Agenzia regionale per la tecnologia) che il governatore della Puglia aveva nominato a dicembre 2023. Lo ha riferito nell’interrogatorio di garanzia lo stesso Pisicchio, arrestato la sera del 10 aprile scorso.
Ci sarebbero i messaggini tra lui e Emiliano nei quali quest’ultimo lo informava che secondo “fonti romane” Pisicchio era oggetto di una indagine: per cui «o ti dimetti o ti tolgo la delega». Infatti all’ora di pranzo Pisicchio si è dimesso e la sera è stato arrestato. Qui o Emiliano chiarisce in modo convincente o è persino possibile che finisca indagato. All’attacco è partito Matteo Renzi: «Qualcuno tra gli inquirenti informava Emiliano? Come faceva Emiliano a sapere dell’indagine? Usa le informazioni ricevute per gestire i rapporti politici in Puglia. E lo fa in modo arrogante e violento».
Questo è il contesto nel quale le regioni del Mezzogiorno andranno a votare a giugno per le elezioni Europee, si spera senza alcun inquinamento del voto né diretto né indiretto. Ma di certo le notizie di queste settimane gettano un’ombra su come viene condotta la lotta politica. Cento anni dopo le denunce di Salvemini.