Il secolo frocioL’amica milanese di Bergoglio e l’epoca del cupio dissolvi

La frase del Papa in realtà è un esperimento culturale: se è così egemone da far scrivere «frociaggine» nei titoli dei giornali perbene, allora può tutto e noi possiamo tornare a messa

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Non avevano fatto in tempo a dire che Benigni, nato incendiario, era invecchiato pompiere e ora guardalo com’è istituzionale col Papa, che il Papa subito s’è precipitato a smentirli con una battuta che avrebbe potuto essere del Benigni giovane.

Il quale Roberto Benigni, come tutti i grandi comici, vedeva il futuro, e quindi eccoci qui: troppa frociaggine. È mai esistita una definizione più precisa degli ultimi decenni? Ma, soprattutto: come può quella di Bergoglio essere un’osservazione sui seminaristi e non sui p.r. milanesi?

Ieri, mentre il Corriere difendeva Bergoglio spiegandoci che non poteva sapere che brutta parola fosse, giacché a casa sua non si parlava italiano, casomai piemontese; mentre le mie fonti piemontesi a domanda rispondevano che «frocio» in piemontese si dice «cupio» (quindi troppa cupiaggine? O troppa cupieria?); mentre studiavo questo fascicolo, mi sono ricordata che anni fa, quando i linciaggi dell’internet erano più distratti, mi baloccavo spesso con la battuta «il problema dell’omofobia è che non ce n’è abbastanza».

Sono andata a cercare la battuta sul mio Twitter ma non l’ho trovata, in compenso ho trovato le accuse di omofobia per un tamponamento a catena che da poco ha compiuto cinque anni (sembrano cinquecento). Andò così: Elena Stancanelli aveva detto, d’un ragazzino che aveva litigato in romanesco con dei figuri di Casa Pound, che si augurava imparasse a esprimersi in italiano; l’internet s’era rivoltata giacché il ragazzino era il caso di santificazione antifascista del giorno, e i romani sono convinti di parlare italiano; infine, una zelante commentatrice aveva chiesto a Stancanelli se potesse immaginare Pasolini che gli formulava un’obiezione del genere; e io ero intervenuta per confermare che in effetti Pasolini non avrebbe perso tempo in discussioni, «sarebbe stato impegnato a ingropparselo».

Se nel secolo in cui sapevamo quattro cose ci avessero pronosticato che sarebbe un giorno arrivato un contesto, oltretutto di gente che si percepiva sveglia, in cui dire che a Pasolini piacevano i ragazzini veniva considerata non una ridondanza ma un’accusa omofoba, beh, avremmo riso forte.

Come cascame di quel secolo, sempre tra le macerie di guerre culturali dimenticate dopo tre minuti, ho anche ritrovato uno scrittore che da tutta la vita ricalca il fraseggio di “Fratelli d’Italia” (il romanzo, no la canzone) che spiegava che i vecchi omosessuali che dicevano «frocio» lo dicevano perché avevano introiettato l’omofobia. È un peccato che siano tutti morti, da Paolo Poli ad Alberto Arbasino a Philip Roth, perché avrebbero prima potuto consultarsi tra busoni omofobi, poi andare a cena con un self-hating Jew, e infine andare a prendere a calci in culo gli emuli inadeguati.

Io ho una tesi. Bergoglio ha un’amica milanese. Tra i trenta e i quaranta, lavoro paraculturale, amicizie nei giri di editoria e assessori e influencer e stilisti. Una tutta Tinder e distintivo. Inutilmente sui tacchi ogni giorno, tutto il giorno, e poi non si scopa mai. Non la conosco, l’amica milanese che ha detto a Bergoglio «provaci tu, a trovare un fidanzato in questa città: sono tutti froci», ma è come se la conoscessi. Ne ho conosciute a centinaia, negli anni, e quando avevo tempo da perdere ho anche provato a spiegar loro dove sbagliassero.

I froci si frequentano tra loro. Se frequenti giri di froci, maschi etero non ne incontrerai mai. Alle cene dei froci ci sono altri froci, e donne disperate che, rinunciato ad avere una vita sessuale in proprio, hanno ripiegato sullo status di fag hag, di amica e giullare dei froci. A volte, rarissima eccezione, c’è in effetti un maschio etero, marito di qualche amica. Ma in genere poi divorziano e vien fuori che era frocio pure lui.

E adesso che ho scritto tutte queste volte «frocio», assecondando l’egemonia bergoglia, vorrei poter tornare al mio amato «busone» (l’unica vera superiorità bolognese è quella linguistica). E dirvi che ho un’altra tesi: quello di Bergoglio è un esperimento culturale. Sta appunto vagliando i confini della propria influenza. Se è così egemone da far scrivere «frociaggine» nei titoli dei giornali perbene, allora può tutto.

Perfino farci tornare una società che la domenica va a Messa. E che, quando vede un prete, non pensa sia busone, ma pensa abbia una relazione con la perpetua o con chissà quale parrocchiana (“Uccelli di rovo” fu una formidabile operazione di marketing per l’eterosessualità dei parroci).

Bergoglio sa che il secolo cui tornare è il Novecento. Quando non ci mettevamo a ridere quando ci dicevano che un’ostia che ci allappava la lingua era carne di Cristo. E quando la busonaggine in giro non era mica poca, ma era invisibile.

Ogni volta che rivedo il video di “Club Tropicana” mi chiedo come fosse possibile che ritenessimo George Michael etero. Ogni volta che guardo i filmati di Miguel Bosé a “Vota la voce” penso alla me ottenne che salta sulle sedie in tuta Fiorucci e mi chiedo santo cielo, è così che siamo diventate il secolo del «trovalo tu un fidanzato in mezzo a ’sti froci», è così che siamo diventate zitelle coi gatti, è così che la natalità è andata a zero e abbiamo cominciato a dire che i cani sono i nostri bambini: squarciagolando «Bravi ragazzi siamo amici miei, tutti poeti noi del ’56» convinte che quello sul palco ci avrebbe volentieri sbattute al muro. Mentre lui pensava solo al giovanotto che gli faceva gli occhi dolci sottopalco. Probabilmente un seminarista.

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