L’ennesima strage di civili palestinesi, questa volta in un campo profughi di Rafah, definita da Benjamin Netanyahu «un tragico errore», conferma la tremenda spirale in cui il primo ministro israeliano sta trascinando il suo paese, gli Stati Uniti e l’intero occidente.
Se è vero, come ha scritto sull’Atlantic Anne Applebaum, che la democrazia sta perdendo la guerra della propaganda, a proposito del modo in cui Russia e Cina, con altre potenze minori, stanno riuscendo a inquinare e condizionare il dibattito pubblico in occidente, non bisognerebbe sottovalutare il contributo che a questo sforzo ha dato Netanyahu. Il cuore della propaganda antidemocratica, sia quella di diretta fabbricazione estera, sia quella mediata dai vari partiti sovranisti europei, sta infatti nell’accusa di ipocrisia e doppio standard. Ma non penso che la soluzione possa essere, come sembra proporre sul Foglio Giuliano Ferrara, che infatti è un fervente sostenitore di Netanyahu, sbarazzarsi in un colpo solo di ogni regola e di ogni senso del limite, perché il fine giustifica i mezzi, mescolando peraltro impropriamente ragioni e torti di due conflitti completamente diversi, come quello israelo-palestinese e quello russo-ucraino. Anche questo a me pare un modo di favorire la vittoria politica dei nemici della democrazia.
È lo stesso problema di cui si occupa sul Financial Times Gideon Rachman, quando invita gli Stati Uniti ad abbandonare la retorica dell’«ordine mondiale basato sulle regole», sia perché è più facile chiedere ai propri soldati di sacrificare la vita per la libertà (o per la patria) che per le regole, sia perché quel principio, pur così accattivante, richiederebbe poi una certa dose di coerenza. Al riguardo Rachman fornisce due esempi.
Il primo è che «le tariffe del 100% imposte dall’amministrazione Biden sui veicoli elettrici cinesi sono praticamente impossibili da conciliare con le regole del commercio internazionale». Il secondo è la reazione del segretario di Stato americano, Antony Blinken, alla notizia della richiesta di arresto di Netanyahu da parte del procuratore dell’Aja: «Invece di sostenere lo sforzo della Corte di far rispettare il diritto internazionale, Blinken ha detto al Congresso degli Stati Uniti che l’amministrazione prenderebbe in considerazione l’imposizione di sanzioni alla Corte penale internazionale».
La soluzione sarebbe dunque abbandonare la pretesa di difendere un «ordine mondiale basato sulle regole» (che richiederebbe coerenza assoluta) e parlare chiaramente di difesa del «mondo libero», proprio come ai tempi della guerra fredda (che implicherebbe l’accettazione, ora come allora, di un certo numero di compromessi). Temo però che anche il ricorso alla retorica e agli schemi della guerra fredda non farebbe che alimentare tutti gli equivoci e gli anacronismi che hanno fatto fin qui la fortuna della propaganda nemica. Quel «tradizionalismo armato», come lo chiama giustamente il ministro degli Esteri polacco, che in Europa e specialmente in Italia è riuscito a sedurre persino fior di intellettuali di sinistra. Un caso di dissonanza cognitiva da manuale. Nella loro strenua difesa delle ragioni della Russia, i nostri socialisti per Putin fanno un po’ l’effetto di quei gruppi Lgbt scesi in piazza a ripetere gli slogan di Hamas. Passano il tempo a sostenere che l’occidente non è migliore dei regimi autoritari che combatte, essendo essi stessi la prova vivente di quale sia la differenza fondamentale, perché in Russia o a Gaza non sopravvivrebbero un giorno (ho detto genericamente «socialisti» perché per i comunisti, invece, non è detto che si tratti sempre di dissonanza cognitiva, in qualche caso è semplice stalinismo).
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