Autonomia strategicaLa nuova stabilità europea e il rischio di approvvigionamento delle materie prime critiche

Bruxelles ha adottato un approccio sistemico volto a mitigare la dipendenza dall’estero nelle filiere chiave per la sicurezza nazionale oltre che per le transizioni energetica e digitale

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Questo articolo è stato originariamente pubblicato sul numero 60 di We – World Energy, il magazine di Eni

Negli ultimi anni le politiche dell’Unione Europea (UE) sono state fortemente indirizzate in favore degli obiettivi di neutralità climatica e transizione digitale, due pilastri essenziali per evolvere verso un modello di sviluppo più equo, sostenibile e prospero. Una sfida nuova per la UE che dovrà snodarsi in un contesto internazionale sempre più dominato da incertezza e complessità, in cui molteplici fattori di instabilità si intrecciano e spingono verso un mondo frammentato e multipolare. Per gestire tale complessità l’Europa ha intrapreso la strada dell’autonomia strategica, adottando un approccio sistemico finalizzato a mitigare la dipendenza dall’estero nelle filiere chiave per la twin transition e per la sicurezza nazionale.

Sono filiere che fanno un uso massiccio di metalli e minerali come il litio, il cobalto, le terre rare, materie prime di cui l’Europa è largamente sprovvista, tanto da rifornirsi all’estero per oltre l’ottanta per cento del proprio fabbisogno. In casi estremi – come le terre rare pesanti, i borati e il magnesio – la dipendenza dalle importazioni è totale. La Commissione Europea le ha quindi definite materie prime critiche (MPC), l’elenco aggiornato al 2023 ne conta trentaquattro. La loro domanda è attesa crescere considerevolmente nei prossimi anni (x4 il cobalto, x5 il litio, x9 il neodimio – il principale minerale tra le terre rare – al 2030 rispetto al 2022) mentre l’offerta è fortemente concentrata in pochi Paesi, basti pensare che la Cina controlla il cento per cento delle terre rare pesanti, la Repubblica Democratica del Congo il sessantatré per cento del cobalto e l’Australia il cinquantatré per cento del litio.

La nuova rotta dell’Ue
Accrescere la resilienza europea rispetto al rischio di approvvigionamento delle materie prime critiche è l’obiettivo della proposta di Regolamento lanciata nel marzo 2023 dalla Commissione Europea – il Critical Raw Materials Act (Crma). Oggi la UE ha un’attività estrattiva e di raffinazione modesta (con alcune eccezioni come l’afnio in Francia e lo stronzio in Spagna), così come modesta è la quota di fabbisogno soddisfatta da materie prime secondarie derivanti dal riciclo (superiore al venti per cento soltanto per tungsteno, antimonio e cobalto).

Il Crma vuole invertire la rotta, sconfessando scelte passate di politica industriale sia nella direzione del contenimento dell’attività estrattiva (meno trentatré per cento di produzione di minerali dal 2000 al 2020, unica area al mondo a registrare un calo), sia di mancati progressi nello sviluppo di una filiera del riciclo di prodotti tecnologici su scala industriale. Il rafforzamento dell’attività estrattiva, lo sviluppo di una maggiore capacità di raffinazione, il recupero di materie prime seconde, anche grazie a una progettazione dei prodotti in quest’ottica, sono le leve che la UE punta ad attivare per accrescere la propria autonomia. Oltre ovviamente al potenziamento del già vivace impegno diplomatico per la definizione di partnership strategiche con nuovi paesi fornitori, ineludibile per un continente relativamente povero di Mpc come l’Europa.

Il Crma è un atto quindi necessario, ambizioso negli obiettivi, che tuttavia sconta una serie di deficit sui quali occorre intervenire. Su tutti, l’assenza di fondi specificatamente dedicati, di certo un grave vulnus se pensiamo che oggi il settanta per cento degli investimenti programmati nelle filiere dei minerali critici da qui al 2030 è di origine cinese, mentre la componente europea è del tutto residuale. Lo sviluppo di una catena del valore europea delle Mpc e l’impegno nelle partnership strategiche con Paesi terzi ricchi di questi minerali e metalli necessitano infatti di un significativo fabbisogno di capitali pubblici e privati(in rapporto 1 a 2 secondo stime della stessa Commissione Europea).

Lo sviluppo di una filiera europea
I progetti per avviare un’industria europea delle Mpc non mancano: la European Raw Materials Alliance ne ha raccolti oltre 50 nella sola filiera dello stoccaggio e della conversione dell’energia (con un fabbisogno di investimento stimato in quindici miliardi). Tuttavia, difficilmente trovano il favore di investitori privati in assenza di un’adeguata presenza di risorse pubbliche, di meccanismi di risk-sharing o di gestione delle esternalità. Infatti, sia che si tratti di incrementare l’attività estrattiva sia che ci sposti nell’ambito del riciclo e della produzione di materie prime seconde, ci si confronta con progetti ad alto rischio, dai ritorni incerti, con elevati costi iniziali e un orizzonte d’investimento di lungo periodo. La sola attività di esplorazione di un sito minerario di rame può costare sino a quindici milioni di euro e durare da due a otto anni.

I “pertinenti programmi di finanziamento dell’Unione” (così li definisce il Crma) rappresentano indubbiamente un supporto per lo sviluppo di progetti interni, ma rischiano di avere una potenza di fuoco limitata in relazione alla pluralità di ambiti in cui sono attivabili e di cui le Mpc sono solo una spigolatura. In secondo luogo, potrebbero risultare insufficienti ad attrarre capitali privati addizionali in iniziative strategiche ma rischiose come quelle che coinvolgono le Mpc. Ad esempio, Invest-EU, ventisei miliardi di euro di garanzie attese per mobilitare trecentosettanta miliardi di investimenti entro il 2027, ha una leva molto elevata (pari a circa quindici), risultando maggiormente idoneo ed efficace per progetti a minor rischio e con profittabilità più immediata. Infine, alcuni programmi hanno un ambito di operatività circoscritto, si pensi a Horizon Europe che, pur contando su una dotazione di quasi cento miliardi di euro per sette anni e pur avendo già finanziato progetti nella filiera delle Mpc, è riferibile soltanto ad attività di ricerca e innovazione.

La definizione di partnership strategiche
Spostandoci sul fronte estero, anche il sistema di partnership strategiche su cui si basa l’attività di diversificazione degli approvvigionamenti fuori i confini UE impone uno sforzo monetario. Infatti, la formalizzazione di rapporti di collaborazione reciproca nello sviluppo di filiere delle Mpc richiede un impegno della UE finalizzato a colmare i gap infrastrutturali, tecnologici e di know-how manifatturiero che caratterizza la gran parte dei paesi fornitori di Mpc. La UE deve agire secondo una logica del tipo win-win, l’unica percorribile nell’ottica di edificare catene del valore resilienti e sostenibili dal punto di vista ambientale e sociale, oltre che economico.

In questa direzione va, ad esempio, il Global Gateway, il piano di sviluppo infrastrutturale europeo su scala globale lanciato a fine 2021, che intende mobilitare circa trecento miliardi di euro entro il 2027, coinvolgendo in particolare il continente africano. Anche in questo caso, oltre all’impietoso confronto con la Cina, che nell’ambito della Via della Seta ha già investito novecentonovanta miliardi di dollari, si rileva che gli obiettivi del piano vanno ben oltre il tema delle Mpc e che le risorse sono prevalentemente rintracciate negli stanziamenti già previsti nel Bilancio Pluriennale europeo e, nello specifico, nei già citati InvestEU e Horizon Europe, oltre che nel Fondo Europeo per lo Sviluppo Sostenibile (Efsd+).

Quali altre risorse finanziarie? 
Considerati i limiti dei programmi europei, il Crma strizza l’occhio anche alla Banca Europea per gli Investimenti (Bei) e alle National Promotional Banks (Npb), tra cui Cassa Depositi e Prestiti (CDP), le quali operano con risorse proprie in coerenza con le priorità della UE, sia sui territori nazionali sia con riferimento all’azione esterna, anche supportando l’attuazione di programmi come, appunto, InvestEU. La BEI ha promosso progetti nelle filiere delle Mpclegati all’efficienza delle risorse, all’innovazione e al riciclo, finalizzati quindi a mitigare il rischio di approvvigionamento limitando il consumo di Mpc, identificando materiali sostitutivi e recuperando Mpc dai rifiuti elettronici. Svolge, inoltre, attività di cooperazione internazionale nel cui alveo è ricompreso il tema delle Mpc, come testimonia l’accordo concluso con il Ruanda a fine 2023.

Le NPB si stanno muovendo sulla falsariga della BEI, accrescendo l’impegno a sostenere la transizione, ad assumere una vocazione più internazionale e a contribuire allo sviluppo dei mercati dei capitali per progetti rischiosi a più elevato potenziale. In Italia CDP ha impostato il proprio Piano Strategico 2022-2024 proprio a partire dagli obiettivi della doppia transizione e della riorganizzazione delle catene globali del valore, includendo tra i 10 ambiti di intervento il supporto alle filiere industriali strategiche, l’economia circolare e la cooperazione internazionale, tutte aree all’interno delle quali possono essere ricondotte operazioni di finanziamento finalizzate alla messa in sicurezza degli approvvigionamenti di Mpc.

Un’ulteriore fonte di risorse sono i bilanci nazionali, in particolare nell’ambito di iniziative legate al framework sugli aiuti di Stato e sugli Importanti Progetti di Comune Interesse Europeo (Ipcei). Nel primo caso le risorse statali possono rappresentare una forma di supporto in questa fase di scarsità di risorse europee e difficoltà di attrazione di capitali privati; tuttavia, si tratta di una prassi che a tendere si rivelerebbe controproducente per l’Europa, non solo perché discriminante tra i Paesi in funzione dello spazio fiscale disponibile, ma soprattutto perché li porrebbe nella condizione di ragionare in termini di filiere nazionali delle Mpc piuttosto che europee. Meno distorsivi e inefficienti nell’allocazione delle risorse sono i progetti attivati nell’ambito degli Ipcei, i quali, pur basandosi oggi su risorse nazionali, si sviluppano su base transfrontaliera, mettendo quindi a fattor comune conoscenze, risorse ed esigenze dei Paesi UE, come dimostrano gli interessanti progressi nella filiera delle batterie o dell’idrogeno.

In prospettiva, utile e più funzionale potrebbe essere la costituzione di un fondo europeo ad hoc per le Mpc, o all’interno del Quadro Finanziario Pluriennale che la UE dovrà adottare dal 2027 o anche su iniziativa spontanea degli Stati Membri, seguendo un’idea già emersa in un trilaterale dello scorso luglio tra Italia, Francia e Germania. Un’iniziativa simile potrebbe avvalersi del coinvolgimento della Bei e delle Npb al fine di facilitare l’attrazione di capitali privati nonché di realtà come l’Erma che promuovono innovazione e sinergie tra Paesi, imprese e altri enti. Sarebbe un cambio di paradigma che consegnerebbe ai posteri un messaggio nuovo, che l’Europa non si costruisce solo dando soluzioni alle crisi (come sosteneva il padre fondatore Jean Monnet), ma anche provando a prevenirle.

Andrea Montanino è Chief Economist di Cassa Depositi e Prestiti e Presidente del Consiglio di Amministrazione dell’Istituto Italiano di Tecnologia. In precedenza, ha ricoperto le cariche di Presidente del Fondo Italiano per gli Investimenti e Direttore Esecutivo del Fondo Monetario Internazionale (FMI).

Simone Passeri è economist presso Cassa Depositi e Prestiti, Direzione “Strategie Settoriali e Impatto”.

Alessandra Locarno è economic analyst presso Cassa Depositi e Prestiti.

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