Sulle cordeÈ l’interpretazione la chiave del linguaggio della musica

Mario Brunello è forse il violoncellista italiano più virtuoso dei nostri tempi e abbiamo cercato di capire insieme a lui quanto possa esserci di creativo nel suonare la musica di altri, così come capita in cucina

Tradizione e innovazione. La grande diatriba, quel connubio di termini che, avvicinandosi, trovano un suono stridulo ad accoglierli. Le abbiamo utilizzate per anni, ora solo i più pigri continuano a farlo. Forse perché è più semplice non stare a spremersi le meningi, cercando parole più aggraziate e meno scontate per descrivere un concetto. O forse perché è su quel concetto che ruota tutta la discussione di pensiero sulla cultura gastronomica e allora è facile identificarsi in una dimensione, recintata su due elementari confortanti lati.

Tradizione: «trasmissione nel tempo di modelli di comportamento e norme di vita e, anche, le consuetudini, i modelli e le norme così trasmessi e costituitisi». Innovazione: «l’atto, l’opera di innovare, cioè di introdurre nuovi sistemi, nuovi ordinamenti, nuovi metodi di produzione». Quando usiamo queste parole associate al mondo della cucina, in qualche modo cerchiamo di unire una contrapposizione, ma se andiamo a leggere più a fondo tra le righe ci rendiamo conto che non solo i due termini possono accompagnarsi, ma che, anzi, si completano nell’alternarsi di un movimento nell’asse temporale. Capita anche nell’arte e nella musica, nelle partiture create centinaia di anni fa, che però possono trovare una dimensione contemporanea, nuova e personale nell’interpretazione di qualcun altro. «Quando suono so che devo creare una forma che deve avere un un disegno, deve avere un arco narrativo, deve arrivare da qualche parte oppure deve perdersi, ma sapientemente perdersi. E quando si parte con quel momento, dopo non puoi più fermarti. Perché anche questa è la la drammaticità del del nostro mestiere, che una volta che sei partito non è che puoi dire una falsa partenza e ripartiamo». Mario Brunello prova a spiegare cosa significa davvero interpretare uno spartito, trovarsi davanti a un pubblico desideroso di bellezza e portarlo verso un’estasi di comunicazione musicale. Mario Brunello sa come fare. La musica, per lui, è una modalità espressiva, che riesce ad arrivare a un significato più alto e che porta con sé e mescola politica, impegno, filosofia, concentrazione, fisicità e ascolto. La sua ricerca costante e la sua grande capacità introspettiva ne fanno un intellettuale in grado di condizionare la società, prima ancora che un violoncellista in grado di incantare il pubblico di tutto il mondo. Seduti a tavola, per assaporare le pizze leggerissime di Balobino a Padova, abbiamo provato a capire se una partitura, proprio come una ricetta, possa lasciare spazio alla creatività di chi la esegue senza tradirne l’idea originaria e senza però che questo diventi un limite per chi la esegue. 

Il dubbio è lecito e bussa subito alla porta appena ci viene in mente la Sonata al Chiaro di Luna di Beethoven o una pizza Margherita. Come si può migliorare qualcosa che è già è perfetto, che nasce senza sbavature o imprecisioni? La tradizione vorrebbe che quella cosa, fosse una sinfonia o una pizza fumante, rimanesse immobile nella sua essenza, ma poi bisogna fare i conti con l’essere umane e le sue infinite forme di personalizzazione e di diversità e si capisce che la percezione è fatta per essere interpretata, secondo il proprio vissuto, la propria sensibilità, la propria vena artistica. «Bisogna essere consapevoli di essere un interprete di questo tempo: se eseguo quella sonata di Beethoven, nella mia mente ho comunque le Torri Gemelle, ho i Beatles, Papa Francesco, cioè tutte cose che sono accadute e che Beethoven non poteva neanche immaginare quando ha scritto quella cosa lì. La vera genialità è stata rendere quel suo linguaggio così universale che io ora dentro ci posso mettere le Torri gemelle. Papa Francesco e il Vietnam». 

La cucina può essere linguaggio universale al pari della musica? Lo è, lo è sempre stata. Descrive il percorso dei popoli, ne uniforma le regole e la cultura, frammentandola comunque in una miriade di dettagli che rendono unici luoghi e persone. Spesso ci lamentiamo quando uno chef o un pizzaiolo decidono di cambiare le carte in tavola, di creare nuove forme di espressione sporcando la tradizione. E invece il bello sta tutto li, nel vissuto che quello chef o quel pizzaiolo mettono al piano di lavoro. Un vissuto in grado di far nascere qualcosa di diverso, ma non per questo meno rispettoso delle origini e che, anzi, può diventare esaltazione delle stesse. 

Musica e cucina hanno moltissimi punti di contatto. C’è la scelta dei movimenti, delle tecniche, del tocco personale, c’è la variabile della giornata e dei sentimenti che si vivono in quel momento. C’è anche l’impossibilità di fermarsi e di ripartire. Quando si assiste a un concerto, ci si trova di fronte a un momento unico: l’orchestra non può ripartire se si sbaglia a prendere una nota, La stessa cosa accade in cucina. Una volta che il pizzaiolo ha preparato l’impasto, infornato il disco e portata la pizza a tavola, non si può tornare indietro: quello sarà il momento del giudizio del cliente, sarà l’attimo in cui quella pizza avrà la possibilità di comunicare l’idea del suo ideatore. Non ci sono troppe vie di fuga. Buona la prima, non si dice così? 

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Questo articolo fa parte di “A Spicchi”, il progetto di  Petra Molino Quaglia. Qui il link per l’iscrizione alla newsletter mensile, da condividere con gli appassionati della pizza.

 

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