Eppure è ministro Genny La Gaffe farebbe più notizia se ci dicesse che cosa ci fa al ministero della Cultura

Sull’abbaglio cronologico di Sangiuliano su Colombo e Galileo si sprecano i meme, ma i settantadue anni che separano la scoperta delle Americhe dalla nascita del polimate pisano sono il male minore

Lapresse

Come è ormai arcinoto, Genny La Gaffe ne ha fatta un’altra. Il che, giornalisticamente, non è una notizia, perché, come insegnano tutti i manuali di giornalismo, non è una notizia il cane che morde l’uomo ma lo sarebbe il contrario. Ora non vorremmo che l’intrepido ministro prendesse alla lettera e, per farne una notiziabilmente giusta, si sguinzagliasse a caccia di un barboncino da azzannare; però, in merito all’ultimo (al momento in cui scriviamo queste righe, ma quando le leggerete potrebbe già non essere più tale) sfondone su Cristoforo Colombo che «voleva circumnavigare la Terra sulla base delle teorie di Galileo Galilei», il peggio non è solo e – diremmo – non tanto l’abbaglio cronologico, su cui tanti si sono soffermati e sul quale in rete si moltiplicano i meme, alcuni molto divertenti, altri un po’ ripetitivi (come le gaffe ministeriali).

Perché, in fondo, che cosa saranno mai i settantadue anni che separano la scoperta delle Americhe dalla nascita del polimate pisano; l’evento che convenzionalmente chiude il Medioevo da quello che avrebbe aperto le pagine del Gran libro della Natura e quindi la via alla scienza moderna? Quisquilie, bazzecole, pinzillacchere, direbbe Totò. Il problema grosso è un altro: è che le teorie di Galileo, le cui celebri lettere a sostegno dell’eliocentrismo copernicano furono vergate a partire da centovent’anni anni dopo lo sbarco nel Nuovo Mondo, con il navigatore genovese c’entrano come il ministro Sangiuliano con il ministero della Cultura: scilicet, un bel nulla.

Che la Terra sia una sfera – una sfera fatta di terra (appunto) e di mare, e non una palla di formaggio come la Luna, come forse un giorno ci verrà rivelato – è una nozione abbastanza intuitiva, a esempio, per chiunque si ponga a guardare l’orizzonte marino da una certa anche modesta altitudine; sostenuta già da molti filosofi dell’antica Grecia, da Pitagora in avanti, fino a che Eratostene, nel terzo secolo avanti Cristo, arrivò a stimare la circonferenza terrestre in duecentocinquantaduemila stadi egizi, con un errore compreso tra il meno 2,4 e il più 1,8 per cento rispetto alla misura effettiva (a seconda che lo stadio sia interpretato come corrispondente a centocinquantacinque o a centosessanta metri). L’idea della sfericità venne accolta anche dal primo cristianesimo e a partire dal basso Medioevo nessun dotto l’avrebbe seriamente messa in dubbio.

Cristoforo Colombo non aveva quindi alcun bisogno di salire sulla macchina del tempo ora segretamente custodita nella sede centrale del Mic, in via del Collegio Romano, per sfogliare i testi di Galileo: quell’antico astronomo greco aveva già detto tutto. Solo che, va aggiunto a onor del vero, Eratostene non era espressione del genio italico che sicuramente ispirava l’italico navigatore. Non solo: era sì un greco, ma nativo di Cirene, che all’epoca era una importante colonia ellenica ma oggi si trova in Libia, cioè in quel Paese da cui partono i barconi dei disperati che vogliono etnicamente sostituirci.

Ma senza risalire fino a Eratostene, al nostro esploratore poteva andare bene, e per le medesime ragioni, anche il più recente (di oltre quattro secoli) Tolomeo. Senonché era un greco di Alessandria, non quella che si trova in Piemonte (fondata, checché ne possa un giorno dire il ministro, ai tempi del Barbarossa) ma quella d’Egitto, e quindi, in prospettiva, un maomettano e, di nuovo, un potenziale avo di etno-sostitutori.

Non fosse per questo inaggirabile vizio d’origine, forse Tolomeo sarebbe pure potuto sgorgare dalla fertile mente ministeriale, anche perché fa rima con Galileo. I due, però, sul piano delle concezioni cosmologiche, come ognuno ben sa, erano all’esatto opposto. Galileo, che sulla sfericità della Terra non aveva nulla di nuovo da dire in quanto ai suoi tempi era un fatto ormai acquisito, era infatti noto (lo è tuttora anche ai bambini delle elementari) per la celebre frase che in realtà non pronunciò mai davanti al tribunale dell’Inquisizione che lo costrinse all’abiura (gli fu attribuita quasi un secolo e mezzo dopo da Giuseppe Baretti), ma che ne esprime perfettamente la convinzione: “Eppur si move” (la Terra intorno al Sole: come già ipotizzato tra gli altri, prima dell’anno zero, dai soliti pitagorici, da Eraclide Pontico, da Aristarco di Samo, e come venne dimostrato da Seleuco di Seleucia).

Questo avrebbe potuto apprendere da Galileo, il buon Cristoforo Colombo, se anziché la circumnavigazione della sfera terreste avesse voluto intraprendere quella della nostra stella. Ipotesi improbabile, ma non si sa mai: forse, da qualche parte, oltre alla macchina del tempo i Re Cattolicissimi avrebbero potuto mettergli a disposizione anche una navicella spaziale. Attendiamo sviluppi. Nell’attesa, restiamo cocciutamente legati alla convinzione che i due, Cristoforo e Galileo, per mille ragioni non c’entrino nulla l’uno con l’altro. Il dubbio vero è un altro: che cosa c’entra Sangiuliano con la cultura? Anzi, in assoluto, che cosa c’entra Sangiuliano?

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