Elogio del lapsusTuttoSangiuliano e la tragedia del ceto medio complessato

Tutti ci confondiamo, anche se il ministro della Cultura effettivamente sbaglia più di chi lo prende in giro. È anche più complessato di loro, ma vincerà le prossime 400 elezioni

Cecilia Fabiano / LaPresse

Questo non è un articolo su Gennaro Sangiuliano. Questo non è un articolo sulla scomparsa del Tuttocittà nell’epoca di Google Maps, non è un articolo su un paese che non sa aprire e chiudere le vocali nella propria lingua ma ritiene importantissimo pronunciare l’inglese come avesse fatto le scuole a Boston, non è un articolo sul ceto sbruffone.

Questo è un elogio del lapsus, unica forma d’espressione che sveli qualcosa nell’epoca in cui siamo tutti impegnati a rappresentarci come diversi da noi (non necessariamente: migliori; però: diversi). Questo è un articolo che parla di me (strano, puntesclamativo), di me qui a metà tra Heidegger e Sartre, tra Londra e New York, tra il Vietnam e Hiroshima.

Non molto tempo fa, in un articolo su quel manifesto in cui Francesco Costa spiegava quanto fosse essenziale scrivere saggistica per gli analfabeti, avevo detto che in realtà la saggistica italiana è da sempre piuttosto semplificata: siamo il paese dove si legge “La casta”, mica “Essere e tempo”.

Solo che quello sgorbio francese dev’essere più nel mio inconscio di quanto credessi, e quindi mi è uscito un mischione tra “Essere e tempo” e “L’essere e il nulla”, e nell’articolo ho scritto “L’essere e il tempo” (se lo andate a cercare non lo trovate, giacché nel frattempo la redazione l’ha pietosamente corretto).

La ragione per cui me ne sono accorta è che un tizio (col suo bravo dottorato in bio: le bio sono una scienza esatta) se n’è indignato: Soncini fa quella che legge Heidegger e invece lo conosce per sentito dire, puntesclamativo. Ora, chiunque abbia letto almeno tre righe mie sa che «Soncini fa quella che legge Heidegger» è affermazione che fa molto ma molto ridere, ma non distraiamoci.

Quel giorno ho pensato che i lapsus sono, tra le forme di welfare che i social forniscono alla popolazione, una delle più solide; sotto il post del tizio c’era una sleppa di tizi che potevano finalmente fare ciò che i tizi dell’internet ritengono di saper fare meglio: gli spiritosi. Sono andati avanti per decine di commenti a elencare titoli un po’ sbagliati di cui avrei potuto millantare la lettura (da “Gasolio” di Pasolini a “Miopia” di Saramago passando per “L’eccessiva leggerezza dell’essere”).

È stata una grandissima giornata per lo spirito di patate nazionale e per l’attesa di adulti con lavori noiosi che la tv si accorga di loro e li chiami a fare gli autori. Speriamo possano continuare a sognare e non accorgersi mai di che miserie paghi ormai la tv. Speriamo sia una fila ricca di soddisfazioni, quella in cui attendono la chiamata.

I lapsus, in un secolo in cui tutti si sentono brillanti, sono preziosissimi, e un po’ mi spiace che il signor Dottorato se ne sia perso uno assai migliore che regalai un paio d’anni fa al pubblico televisivo, collocando a Hiroshima la più celebre foto di guerra del Novecento, quella della bambina nuda che fuggiva dal napalm.

Nessuno mi corresse, nello studio televisivo: per non mettermi in imbarazzo, o perché nessuno ascolta più nessuno nella vita, figuriamoci negli studi televisivi. Quindi è rimasto agli atti quel prezioso momento in cui io evidentemente penso che il Vietnam e la seconda guerra mondiale siano la stessa roba, e alcuni signori assai seri (probabilmente persino titolari di dottorati) condividono questa mia confusione. Peccato che il signor D e i suoi amici non abbiano sfruttato quel welfare (o magari l’hanno fatto e io ero distratta e non mi sono goduta lo spettacolo di loro che facevano i superiori).

Figurarsi quindi quanto è preziosa la figura istituzionale di Gennaro Sangiuliano, che non solo ogni volta che dice qualcosa in pubblico riesce a dirla male, ma va anche a sbattere su informazioni assai più a portata di ceto medio complessato di quanto lo sia Heidegger (che ormai non leggono neanche quelli che ci si laureano su, ma in compenso sanno a memoria quelli che sciorinano spirito di patate sull’internet).

Dunque Sangiuliano l’altro giorno dice che l’immagine tipica di Londra è Times Square, e apriti cielo. Non solo al ceto medio complessato hai toccato quelle quattro cose che sa, ma anche quelle su cui sa di doversi mostrare sprezzante: lo spiritoso medio dell’internet non solo ha contezza che Times Square sia a New York, ma pure che è a midtown, posto da turisti, zona da evitare, incrocio da dover ostentatamente disprezzare.

Poiché Sangiuliano è persino più complessato del ceto medio complessato, ha poi fatto il suo bravo comunicato dicendo che lui sa benissimo che quella di Londra è Piccadilly Circus e che legge il Times tutti i giorni (anch’io, ministro, è il mio quotidiano preferito, e non mi ero mai accorta che contenesse le piantine dei quartieri e una sezione topografia).

E a quel punto io volevo scrivere non tanto una difesa di Sangiuliano quanto una dolente riflessione sulle prossime quattrocento elezioni che perderà una sinistra che si sente figa perché ha fatto sei giorni e cinque notti a Manhattan e si è comprata pure il cappellino degli Yankees. Solo che poi, nell’eterna gara a chi sbaglia più forte del dibattito pubblico, Sangiuliano avrebbe rilanciato mettendo il veto sulla conduzione di Geppi Cucciari della serata dei premi David e, pare, pure dello Strega, come ritorsione per avergli lei fatto fare brutta figura quaranta lapsus fa (quando Sangiuliano disse che i libri in gara li aveva letti ma non li aveva proprio letti letti).

Ora, io non voglio evocare come al solito Andreotti che chiedeva l’originale delle caricature da appendersi in studio e dire che questa generazione di politici non ha imparato veramente niente da chi l’ha preceduta. Voglio solo riferire un pettegolezzo di due anni fa, quando si diceva che Geppi Cucciari fosse intoccabile perché, quando nessuno si filava la Meloni, Geppi la invitava a “Un giorno da pecora” per prenderla per il culo, e Giorgia di questo le restava grata. Oltre a tutto il resto, la Meloni sarebbe anche più capace di quanto lo siano i suoi ministri di capire che non essere oggetto di beffe significa essere irrilevante.

Questo non è un articolo su ciò di cui è più piaciuto parlare agli articolisti italiani negli ultimi decenni, ovvero fantasiose variazioni sul concetto di censura. Nel film che ha formato la generazione mia e della Cucciari, “Turné”, Abatantuono rispondeva all’impresario – secondo il quale c’era pronta una fila di attori con cui sostituire Bentivoglio – con la più lucida affermazione sulle Cucciari e i Bentivoglio del mondo. «No, guarda che la fila non c’è, di attori: c’è la fila di attori che non sono capaci, ma quelli capaci la fila non la fanno».

Se non fa i David, Geppi Cucciari farà un’altra cosa (e i David saranno un po’ meno brillanti: che già di loro non è che siano esattamente uno spasso). Se non fa lo Strega, farà un’altra cosa (e, di nuovo: ci perderà la serata più di quanto ci perda lei nel ruolo di rianimatrice).

Magari potrebbe andare al Nove, dove pare abbia già firmato un contratto Stefano De Martino, e ci sono quindi le premesse per farne la nuova TeleCaschetto (nota per chi conosce meglio Heidegger della tv: Cucciari e De Martino e Fabio Fazio e Maurizio Crozza sono rappresentati dallo stesso agente, Beppe Caschetto).

Insomma, secondo me non bisogna infierire sui deboli. E debole non è né chi non condurrà una serata televisiva minorissima né chi dice «Arco di trionfo» intendendo «Torre Eiffel». Debole è il talento di chi riesci a immaginare in fila cercando invano di procurarsi un nuovo ingaggio: magari mi sbaglio, ma io nella fila in attesa di convocazione riesco a figurarmi meglio Sangiuliano di Geppi Cucciari.

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