Vedrai che qualcuno arriva, magari dopo la messa, si sono detti. Oppure la sera, quando farà più fresco, che qui è giugno ma sembra già agosto. Niente. Non si è visto nessuno, o quasi. Siamo a Basicò, comune di qualche centinaio di anime dell’area metropolitana di Messina, tra castagneti luccicanti e i Nebrodi, un’unica sezione, e il record di astenuti in Sicilia, forse in Italia, a queste ultime elezioni europee: è andato a votare solo il 15,88 per cento degli aventi diritto al voto. Quant’è lontana l’Europa da questa Sicilia periferica e assolata, verrebbe da dire, se vogliamo fare l’analisi sociologica spicciola. «Sono più i portatori della Madonna che i votanti!», scherza uno scrutatore. Il riferimento è alla veneratissima Santa Maria di Basicò, che ogni anno fa la sua processione sulle spalle di ben ventiquattro portatori.
«È il ventuno agosto, la festa del paese. Per una sera Basicò si riempie di gente, di vita. Prima c’è la sagra della provola sfoglia, e tutto viene pubblicizzato come il “Grande agosto basicotano” poi più nulla», racconta un impiegato del comune, primo datore di lavoro del paese. Fuori dai giorni di sagre e processioni, Basicò diventa un paese fantasma, dimenticato da Dio e dalla Von der Leyen. E chi ci deve andare a votare? «Dovete considerare che l’età media qui è molto alta – spiega l’addetta all’ufficio anagrafe, dove il registro nascite è malinconico e vuoto – e la gran parte dei residenti sono anziani, non hanno molto interesse a votare». Eppure i progetti del Pnrr arrivano anche qui, e quelli sono soldi dell’Europa, come gli interventi finanziati dal Fondo Sviluppo e Coesione: ventiquattro milioni di euro. Tra questi l’impianto della pubblica illuminazione, la messa in sicurezza del territorio, e poi spicca la creazione di uno «smart village» da un milione di euro, una di quelle cose che nei paesi abbandonati si creano con la speranza di attrarre giovani che cercano una stanza e un wi-fi per mettere su il loro ufficio.
È impietoso anche il confronto con le precedenti europee. Nel 2019 era stato un esaltante diciotto per cento. «Di questo passo non voterà più nessuno», profetizzano dal comune. Per la cronaca, Forza Italia è il primo partito, come dappertutto nel resto della Sicilia. Fratelli d’Italia il secondo. I due partiti, sommati, prendono quasi l’ottantacinque per cento dei voti, cioè duecento sulle duecentotrentacinque anime pie che hanno affrontato la noia e la calura per andare a votare.
Non la vede così male il sindaco, l’ingegnere Filippo Gullo: «I votanti sono stati nella media. Certo, per le amministrative votano anche in quattrocento, ma per il resto non è proprio un’astensione record». Secondo il primo cittadino il dato è falsato dagli oltre millecento cittadini iscritti all’Aire, l’Associazione degli Italiani Residenti all’Estero: «Sono persone che vivono in Argentina come in Germania – racconta il sindaco – e ormai sono il triplo degli abitanti». Poi ci sono quelli che proprio non possono votare. Il sindaco li chiama gli «allettati», gli anziani non autosufficienti, e qui sono tantissimi. «Le persone non votano, comunque – spiega il sindaco Gullo – perché si sentono abbandonate e nauseate dalla politica. Anzi, ormai il politico dà proprio fastidio. E pensare che qui con i fondi comunitari abbiamo realizzato tanti progetti, dalla digitalizzazione dei servizi, al recupero di un bene confiscato». Palermo e Roma sono lontani, figurarsi Bruxelles, e resta solo il sindaco, in prima linea: «Io sono al terzo mandato, e ormai lo so bene – racconta il primo cittadino. «Soprattutto in questi piccoli centri è il Sindaco a farsi carico di tutto».
Dall’altra parte della Sicilia, a Delia, in provincia di Caltanissetta, a votare sono andati uno su quattro, il venticinque per cento. Gli abitanti sono quasi quattromila. Delia è un comune agricolo che ha avuto finanziamenti, negli anni, dall’Unione Europea, di tutto: dall’efficientamento energetico della scuola media (un milione di euro), fino al recupero della biblioteca intitolata al genius loci Luigi Russo «grande critico e maestro della letteratura italiana», del teatro comunale, del centro comunale di raccolta dei rifiuti. La biblioteca, inaugurata due anni fa, è già più chiusa che aperta. Però in piazza c’è il Roxy Bar. Fuori, giusto un paio di anziani. Nessuno ha votato, nessuno ha voglia di parlare di elezioni. Parlerebbero invece dei figli in Germania, o di quando la caccia «non era vietata».
A Buccheri ha votato il 20,94 per cento. Siamo sui monti Iblei, in provincia di Siracusa. A vivere qua sono rimasti poco più di mille, tanto che l’Amministrazione comunale ha messo in vendita le case abbandonate, acquisite al patrimonio comunale, al prezzo simbolico di un euro, come stanno facendo diversi comuni siciliani. «Abbiamo approvato il regolamento, e tra poco saremo operativi – racconta il vice sindaco, Antonino Trigila. «Abbiamo più di 200 ruderi da mettere in vendita». La speranza è che si ripeta il piccolo miracolo di Mussomeli o di altri comuni, dove le case a un euro hanno attirato investitori stranieri, con tanto di speciali tv.
Con i soldi dell’Unione europea hanno realizzato un centro polifunzionale di fresca inaugurazione e stanno per arrivare le telecamere «killer» contro chi abbandona i rifiuti. Il tema che appassiona gli abitanti riguarda proprio i rifiuti, e in particolare quelli abbandonati dalle coppiette. Il ritrovamento di troppi profilattici usati nei parchi urbani ha portato il sindaco Alessandro Caiazzo a fare un appello: «Fate l’amore ma non lasciate per terra tracce della passione».
Buccheri città di passione, dunque, ma non per il voto: «Che volete che vi dica – continua Trigila – i cittadini si sentono abbandonati. Noi coltiviamo la speranza che a breve, grazie ai lavori che stiamo facendo con i finanziamenti comunitari la gente capisca quanto sia importante l’Unione europea».
Magari erano a mare, invece, gli abitanti di San Vito Lo Capo, il più noto centro turistico della provincia di Trapani. L’affluenza per le europee è stata soltanto del 25 per cento. «No, non erano al mare, erano a lavorare – corregge l’architetto Peppe Calvino – perché sabato e domenica per i sanvitesi sono giornate in cui non si stacca un attimo e si lavora fino all’una di notte». La stagione estiva, in effetti, è già decollata da un pezzo e fa registrare numeri da tutto esaurito, soprattutto nei fine settimana. «Se ci avessero fatto votare di lunedì – chiosa Calvino – magari qualcuno in più alle urne ci sarebbe andato».
Anche a San Vito, come nel resto della Sicilia, se ci si ferma a parlare con le persone, tutti avvertono l’Europa come qualcosa di distante, alieno. Chi ha più titolo per dirlo, atlante alla mano, sono gli abitanti di Pantelleria, perla nera del Mediterraneo. Non è bastato per attirare un po’ l’attenzione delle persone, avere, per la prima volta, un candidato del posto, il giovane docente Giuseppe Belvisi. Era candidato con il Pd e ha preso quasi un voto su due (portando il suo partito a ottocento voti e alla percentuale berlingueriana del quarantacinque per cento …), ma a votare è andata una persona su tre, il 30,96 per cento.
«C’è sull’Europa una grandissima disinformazione – racconta lucidamente il professore Belvisi – e girando casa per casa, la prima cosa che mi chiedevano le persone era: per cosa andiamo a votare? Ormai ad esempio i giovani si tengono aggiornati sui social, e lì regna la disinformazione, si vedono molti slogan, ma quasi nessuno ti spiega veramente l’importanza del voto. Poi c’è ovviamente un tema: la politica non dà risposte alle persone». La politica o l’Europa? «No, la politica. L’Unione europea fa tanto per il territorio, anche qui a Pantelleria, solo che la gente non lo sa. Arrivano gli slogan, le liti, le cose che diventano virali, per poco».
Belvisi ha quasi cinquanta anni e insegna economia e diritto nell’unica scuola superiore di Pantelleria: «Ai miei ragazzi l’ho anche spiegato: la politica non soddisfa più i bisogni delle persone, e quindi quasi nessuno vota, alimentando così una spirale in cui pochissimi decideranno per tutti, secondo interessi che non sono certo quelli del bene pubblico». La soluzione? «I ragazzi vorrebbero partecipare. Per loro significa parlare meno di mercati e capitali, più di diritti e idee per il futuro». Dalla piccola isola, una lezione alla grande Europa.