In vista delle prossime elezioni, siano esse regionali o europee, troveremo certamente il modo di piangerci addosso per l’astensionismo dal voto. Si faranno i soliti discorsi: quello degli astenuti è il primo partito, c’è una fuga dalla politica, i cittadini non si riconoscono più nei partiti, la classe politica è precipitata negli ultimi gironi della credibilità. Certo, il desencanto esiste ed è giustificato e diffuso, ed è determinato da motivi molto precisi quali il tramonto delle ideologie, il diffondersi del virus dell’antipolitica, usato come “continuazione della politica con altri mezzi”.
Di recente, il film di Paola Cortellesi “C’è ancora domani” ha individuato nell’esercizio del diritto di voto un’occasione di riscatto esistenziale della protagonista. È vero, un tempo si recava alle urne più del novanta per cento dell’elettorato. Negli anni Sessanta del secolo scorso, nelle notti precedenti il giorno della votazione, ci si recava nelle stazioni per distribuire volantini di propaganda elettorale alle migliaia di emigrati che tornavano per recarsi al seggio, sottoponendosi a molte ore di viaggio. A realizzare questo trionfo della democrazia non era, però, soltanto la passione politica, ma anche una norma – abrogata nel 1992 – la quale stabiliva che la menzione “non ha votato” fosse iscritta nei certificati di buona condotta per il periodo di cinque anni. In sostanza, andare a votare era sanzionato come un inadempimento a un obbligo civile.
Ovviamente la passione politica e il civismo sono come il coraggio: nessuno se li può dare; né si possono individuare soluzioni che li creino artificialmente come la neve sulle pista da sci. Vi sono però motivi di astensionismo a cui si potrebbe porre rimedio.
Esiste un assenteismo involontario, analizzato, nella scorsa legislatura, da una Commissione di esperti, nominata dall’allora ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà (ex grillino redento) e presieduta – nientemeno – da Franco Bassanini.
La Commissione (“Per la partecipazione dei cittadini: come ridurre l’astensionismo e agevolare il voto“) presentò persino un Libro bianco che, attraverso un ampio e accurato benchmarking internazionale, conteneva delle proposte per agevolare la partecipazione al voto di quanti sono costretti ad affrontare problemi e difficoltà tali da ostacolare l’esercizio di questo diritto fondamentale. Il Libro bianco fu preso a riferimento per altri rapporti tra i quali il dossier dell’Università IULM di Milano.
Il dossier raggruppava le differenti tipologie di non partecipazione al voto. C’era un astensionismo tecnico-elettorale, causato da problemi organizzativi, logistici e di regolarità dei documenti necessari a votare, tra cui emergeva il problema dei “fuori sede”. Poi un astensionismo fisiologico, causato da motivi personali legati alla salute dell’avente diritto al voto che lo inducevano a non votare. Un astensionismo di non integrazione, determinato dalla normativa sulla cittadinanza riguardante giovani possibili votanti nati in Italia ma non legittimati. Un astensionismo per sfiducia e protesta, causato da mancata fiducia nella politica, nel potere decisionale del singolo, nel non vedere risolte dagli eletti questioni considerate rilevanti.
Quanto all’astensionismo involontario – causato dalle difficoltà e dagli impedimenti materiali per recarsi al seggio – venivano individuate, nel Libro bianco, anche le rispettive potenziali platee. E cioè: 4,2 milioni di anziani over-65 con problemi di mobilità (pari al nove per cento degli elettori). Di questi, 2,8 milioni (pari al sei per cento degli elettori) con gravi difficoltà di movimento.
Per esempio, tra i grandi anziani, over-85, l’astensionismo superava il sessantadue per cento. Per le donne si registrava un astensionismo aggiuntivo arrivando a toccare il 68,5 per cento nella classe di età “85 e oltre”. Inoltre, venivano stimati in 4,9 milioni gli elettori che svolgevano la propria attività lavorativa o frequentavano corsi di studio scolastici o universitari in luoghi diversi dalla Provincia o Città metropolitana di residenza (pari al dieci per cento degli elettori). Di questi, erano 1,9 milioni (pari al quattro per cento degli elettori) coloro che per rientrare al luogo di residenza, attraverso la rete stradale, avrebbero impiegato oltre quattro ore (tra andata e ritorno).
Le misure proposte – secondo il Libro Bianco – avrebbero potuto semplificare e agevolare la partecipazione di oltre nove milioni di cittadini, circa il venti per cento degli elettori, riducendo la percentuale di coloro che si astenevano dal voto. Fu stimato, per esempio, che alle elezioni europee (svoltesi prima dell’indagine) gli astensionisti involontari, gravati da difficoltà e impedimenti nel recarsi al seggio, erano stati circa il 16-18 per cento degli elettori (quando l’astensione aveva toccato, nell’insieme, il 45,5 per cento del corpo elettorale). L’obiettivo della Commissione era quello eliminare gli ostacoli e facilitare la partecipazione di questi elettori “fragili”. Le misure individuate furono sottoposte – inutilmente – alla valutazione delle autorità istituzionali italiane (Parlamento e Governo).
Tra queste si ricordano:
• la digitalizzazione della tessera e delle liste elettorali (election pass);
• la concentrazione delle scadenze elettorali in due soli appuntamenti annuali (election day);
• il voto anticipato presidiato, che consentirebbe all’elettore – consapevole di avere difficoltà a recarsi al seggio nei giorni previsti per la votazione – di esercitare il suo diritto di voto nei giorni precedenti l’elezione in qualunque parte del territorio nazionale, con le garanzie proprie del tradizionale procedimento elettorale;
• il voto per delega e il voto per posta;
• il voto, nel giorno delle elezioni, in seggi diversi dal proprio, ma collocati nella stessa circoscrizione o collegio elettorale;
• puntuali e diffuse misure di informazione e comunicazione;
• l’individuazione di sedi alternative agli edifici scolastici e pubblici dove ospitare i seggi elettorali.
Certo, nessuna di queste misure sarebbe risolutiva per debellare il fenomeno dell’assenteismo, che è presente anche nei Paesi in cui le medesime misure sono operanti da tempo. Ma, come scriveva Blaise Pascal, quando traballa la fede, l’esercizio scrupoloso dei riti aiuta a ritrovarla.