Bambini che disegnano case in fiamme, orfani di guerra, proprietari che sono tornati a vivere in abitazioni devastate, ma anche ricostruzione sulle macerie, solidarietà per i soldati al fronte e tante bandiere dell’Europa che rappresentano l’orizzonte degli ucraini dopo due anni e mezzo di guerra. E poi il viaggio nell’oblast del Donetsk, dove Patrizia De Grazia – presidente nazionale dei Radicali italiani, candidata alle elezioni europee per la lista Stati Uniti d’Europa nella circoscrizione del Nord Ovest –si è recata a trentacinque chilometri dalla prima linea dei combattimenti.
«Sono venuta in Ucraina per favorire il gemellaggio fra i Comuni di Parma, Mantova, Firenze, Varese e cittadine della Poltava per favorire il processo di avvicinamento e adesione dell’Ucraina all’Unione europea», dice a Linkiesta da Varsavia dove si trovava ieri prima di rientrare in Italia. «Questo viaggio era stato pianificato prima della mia candidatura al Parlamento europeo e non voglio che sia visto come uno spot strumentale legato alla mia campagna elettorale, anche se è chiaro che la guerra Ucraina fa parte delle nostre priorità perché non si può immaginare un’Europa diversa se non aiutiamo gli ucraini a difendersi e a far parte dell’Ue».
La più giovane candidata della lista Stati Uniti d’Europa – Patrizia De Grazia ha venticinque anni – descrive così la sua visita vicino alla zona dei combattimenti nel Donetsk. «Un luogo surreale. Le case sono deserte, le auto crivellate di proiettili, il rumore degli spari e delle bombe, da qui, si sente fortissimo. E fa gelare il sangue. Nella parte di Donetsk occupata dagli invasori, i civili rimasti (soprattutto anziani e disabili) sono stati costretti a prendere il passaporto russo, rinunciando al proprio. Chi si fosse rifiutato, sarebbe stato arrestato».
Giunta in Ucraina con una delegazione italiana, è arrivata a Kyjiv una settimana fa per andare prima a Hostomel, martoriata dai russi nelle prime settimane dell’invasione russa, dove il sindaco venne giustiziato dall’esercito del Cremlino nei primi giorni di marzo 2022. «Stava distribuendo cibo e medicinali ai residenti e gli spararono, insieme ai volontari che erano con lui. Nella strada tra Kyjiv e Hostomel ci sono ancora i segni sull’asfalto del passaggio dei carri armati».
Sui social dove ha raccontato una parte del suo viaggio, ha scritto: «A Moshchun ho potuto guardare attraverso un visore di realtà virtuale. Guardavo dall’alto le case distrutte degli abitanti di questa città. Oltre l’ottantacinque per cento degli edifici civili sono stati bombardati. Dopo essere passati dal memoriale delle vittime (centinaia, la maggior parte giovanissime), siamo entrati all’interno di alcuni degli edifici andati distrutti, ci sono ancora gli effetti personali delle famiglie che vivevano qui».
In mezzo a questo orrore, ci sono gli ucraini «che ricostruiscono, che inventano soluzioni, che si aiutano l’uno con l’altro, come fa una comunità di persone assolutamente straordinarie», ci racconta. «Abbiamo visto una scuola ricostruita dopo i bombardamenti, il figlio del preside morì durante gli scontri, e, in nome di suo figlio, ricostruì la scuola per i bambini e i ragazzi del territorio. Il rifugio anti bomba sotto questa scuola è gigantesco e colorato per i bambini, ci sono ampi bagni, aule spaziose per lezioni ed esami, in modo che gli studenti possano essere istruiti in maniera sicura. Una scuola bellissima».
Insieme a un parlamentare Oleksii Ustenko di Sluha Narodu (il partito fondato premier Volodymyr Zelens’kyj) che l’ha invitata ad andare in Ucraina e le fatto da guida insieme a Valentyna Riznyk, segretaria dell’organizzazione regionale nella Poltava, ha visitato Kremenchuk dove nell’estate del 2022 i russi bombardarono un centro commerciale. «Qui oggi ci sono oltre cinquanta rifugi per gli sfollati che scappano dai territori occupati o dalle città sotto i bombardamenti, vengono da Bachmut, da altre parti della regione di Donec’k e da Kharkiv. Ci siamo andati per parlare di possibili progetti di amicizia con città italiane simili per dimensioni e caratteristiche».
Durante il viaggio, Patrizia De Grazia, insieme alla delegazione italiana e ucraina, ha accompagnato un gruppo di persone che ha acquistato e consegnato droni da regalare all’esercito. «Perché è così che si ferma un’invasione: combattendo. E gli ucraini hanno un estremo bisogno di armi con cui difendersi dalle bombe, dai droni, dai missili e dai militari russi. È da due anni e mezzo che lo diciamo: armare l’Ucraina è un dovere di primissima necessità. E adesso, sentendo con le nostre orecchie e guardando con i nostri occhi cosa significa guerra, ne siamo ancora più convinti», osserva la presidente dei Radicali.
«Tutti pensano che gli ucraini siano stufi della guerra e non potrebbe essere diversamente, ma in questo viaggio ho toccato con mano l’unità è la solidarietà di un popolo che non si vuole arrendere. In questa parte occidentale del Paese, si sta cercando di ricostruire sulle macerie. A Homostel ad esempio ho visto una scuola rimessa in piedi dopo i bombardamenti, il figlio del preside morì durante gli scontri, e, in nome di suo figlio, lui ha riaperto la scuola per i bambini e i ragazzi del territorio. Il rifugio anti bomba sotto questa scuola è gigantesco e colorato per i bambini, ci sono ampi bagni, aule spaziose per lezioni ed esami, in modo che gli studenti possano essere istruiti in maniera sicura».
In questa settimana passata in Ucraina, ha visto tante cose ma quello che l’ha colpita di più, oltre alla solidarietà di chi ancora si dedica a sostenere come può chi combatte, sono i bambini di un asilo che disegnano le case in fiamme e a ogni allarme, per via del disturbo da stress post traumatico, tremano. E ha sperimentato anche l’impotenza davanti al rallentamento degli aiuti nel mezzo di una campagna elettorale che troppo spesso dimentica il popolo che sta combattendo per il sogno europeo.