Opere a palazzoL’arte contemporanea come non te l’hanno mai spiegata e presentata

A Casa Cipriani, affacciata sui Giardini Indro Montanelli (Milano), ventinove opere creano un dialogo tra espressioni artistiche diverse, coinvolgendo anche giovani galleristi emergenti. In via Palestro 24 dominano l’eclettismo e la varietà, aprendo a conoscenze inusuali e appassionanti

Ettore Spalletti, Guardare il rosa, 2017, Courtesy: VISTAMARE. Image by Andrea Rossetti | John Armleder, D Painting, 2005. Courtesy: MASSIMODECARLO. Image by Andrea Rossetti

Effortless hospitality. Casa Cipriani, cognome sinonimo di ospitalità ed eccellenza, non fa solo sentire a casa i suoi ospiti; in punta di piedi li arricchisce di stimoli, li espone a una bellezza mediata e intellettuale in maniera morbidamente sensuale, camuffando la profondità con un riserbo vellutato che il visitatore respira, ma non avverte. È appunto un’accoglienza impeccabile, ma non affettata, che situa questo hotel e members club (diecimila i soci italiani, più milletrecento gli accessi da iscritti di altre Case), inaugurato nel 2022, nel solco della tradizione di nonno Giuseppe, avo degli attuali eredi e anfitrione prediletto da geni dell’arte come Eugenio Montale, Ernest Hemingway e Andy Warhol. 

La continuità con le intenzioni di colui che nel 1931 inaugurò l’Harry’s Bar in un ex magazzino, posto in una strada chiusa, affinché il locale diventasse «una destinazione e non un luogo di passaggio» sta anche nella mancanza di supponenza, nella totale assenza di snobismo che caratterizza chi ha fatto dell’hotellerie e della ristorazione un’arte sopraffina. L’avo Giuseppe Cipriani inaugurò il suo locale perché non voleva che il cliente, per raggiungere un bar di rango, dovesse attraversare la hall di un grande albergo, sentendosi giudicato. 

E oggi, analogamente, chi entra a Casa Cipriani, per godere anche solo della Pikering Room, l’area ristorazione al piano terra, non deve dimostrare alcunché se non (implicitamente) di possedere buon gusto, perché il locale è aperto anche ai non soci, che possono godere di un’ottima cucina e di un decor sofisticato, realizzato dall’architetto toscano Michele Bonan, e ora anche di una collezione di opere d’arte che fornisce stimoli eterogenei e dialoga con discrezione con gli ambienti in cui si trova. 

Man Ray, La mode au Congo, 1937-1980, Courtesy: Giò Marconi. Image by Andrea Rossetti

L’iniziativa che ha portato l’arte all’interno di Casa Cipriani si chiama “Arte a Casa” e rappresenta un’occasione di stabilire un dialogo culturale con più generazioni di fruitori. D’altra parte, se nonno Giuseppe chiamò Carpaccio, dal cognome dell’omonimo artista attivo a Venezia, uno dei piatti più celebri nati all’Harry’s bar, è scontato che l’arte abbia un peso nella storia dei locali eredi di quel lontano capostipite.

L’esposizione vera e propria consiste in una selezione di ventinove opere provenienti da venticinque autorevoli gallerie milanesi, creando un dialogo tra diverse espressioni artistiche. Si va dalla scultura con materiali di recupero Silver Plated di Flavio Favelli (courtesy galleria Francesca Minini), che esprime un discreto accenno all’ospitalità nel suo utilizzo di vassoi vintage, alla scultura in bronzo che spicca all’ingresso, ossia Apron (courtesy galleria Lia Rumma) di William Kentridge, artista sudafricano, di fama mondiale, fino allo specchio con le riflessioni concettuali di Monica Bonvicini, Plush (courtesy galleria Raffaella Cortese), per includere anche fotografie, dipinti, installazioni. 

All’attenta curatela qui si è aggiunto lo sforzo di inserire ogni opera in un contesto specifico con cui dialogare per contrasto o per affinità, un po’ come si fa quando si abbinano vini e piatti. Così, nella citata Pickering Room, ai toni pastellati di Guardando il rosa di Ettore Spalletti (courtesy galleria VISTAMARE) fa da rimando l’analogo cromatismo di D Painting di John Armleder. Entrambi delicatamente inseriti ai due lati di una parete vegetale, appaiono così perfettamente situati che sembra che siano lì da sempre.

Nella stessa stanza, al di sopra della quale si trovano le stanze degli ospiti, una parete è dedicata a ricordare la storia della famiglia Cipriani, tramite alcune fotografie storiche, che vengono accostate a un’opera di Francesco Vezzoli, Italian Fury (courtesy galleria Tommaso Calabro) e a un ritratto disegnato da Chantal Joffe, Dan I (courtesy galleria Monica De Cardenas), che ritrae un uomo i cui tratti ricordano quelli di Hemingway. Una posizione a parte è occupata da un ritratto fotografico di Greg Gorman, Marina Abramovic, Los Angeles (courtesy galleria 29 Arts In Progress) in cui la magnetica artista serba sembra fissare il visitatore a dispetto degli occhiali da sole che indossa. Con una battuta si potrebbe dire che, pure se in foto, the artist is present

Daniele Milvio, Smog, 2021, Courtesy: Galleria Federico Vavassori. Image by Andrea Rossetti | Turi Simeti, 5 ovali blu, 2014. Courtesy: Cortesi Gallery. Image by Andrea Rossetti | Lulù Nuti. Calco del mondo in sei parti (moon world), 2022. Courtesy: Lulù Nuti; Galleria Renata Fabbri. Image by Andrea Rossetti

Il dialogo tra le opere e i sontuosi interni di Palazzo Bernasconi ritorna in tutti gli altri spazi comuni. Addirittura le opere poste all’ingresso del ristorante, nella cosiddetta Restaurant Alley, ovvero Untitled, Boogie-Woogie (courtesy galleria VISTAMARE), una scultura di Charles Avery, l’opera Giallo di Agostino Bonalumi (courtesy Cortesi Gallery), e la pittura materica Paz II di Jason Martin (courtesy galleria Mimmo Scognamiglio) sono così armonicamente inserite nel contesto da far sospettare che, una volta rimosse (dal 26 ottobre verranno sostituite da altre opere), a questi ambienti curatissimi mancherà qualcosa. 

Agli ospiti dell’hotel è destinata anche una guida cartacea delle opere esposte, così apprezzata da essere stata più volte ristampata. Ma, a differenza di una galleria d’arte in cui si può conoscere un numero limitato di artisti, a Casa Cipriani dominano l’eclettismo e la varietà, aprendo a conoscenze inusuali e appassionanti. Questa eterogeneità caratterizza anche il secondo aspetto di “Arte a casa”: un ciclo di incontri collaterali, tenuti da soci del club, scelti tra collezionisti e appassionati di arte, ma anche da personalità di indubbio rilievo. Di recente una conversazione è stata tenuta, per esempio, dalla nota gallerista Lia Rumma, che ha rievocato un viaggio con il citato William Kentridge con dettagli esilaranti, finora noti solo a lei.

Ma anche qui: si è trattato di un insight esclusivo, eppure non calato dall’alto, bensì condiviso in modo informale, nella living room del quarto piano (una bomboniera di ottimo gusto con finestre che danno sui Giardini Montanelli). Un secondo talk ha coinvolto invece alcuni collezionisti di diverse generazioni, mentre un terzo ha coinvolto giovani galleristi. In ogni caso la cultura e l’agio sono proposti in modo sussurrato, non intimidente, in sintonia con l’unica opera site-specific della casa: un lavoro del cubano CB Hoyo, che recita «SHHHHH» e invita ironicamente al silenzio e alla riservatezza in un’epoca di continue esternazioni sui social. 

CB Hoyo, How Would They Know, 2024, Courtesy Plan X Gallery

Quest’opera ha suscitato molta curiosità sul suo autore e sono arrivate alcune richieste di acquisto, forse sollecitate dal fatto che la sua esposizione a Casa Cipriani offre la rara possibilità di vedere come starebbe l’opera in un contesto “domestico”. Il che non significa che a Casa Cipriani i manufatti artistici siano ritenuti una mera commodity. Al contrario: l’obiettivo è quello di fare conoscere meglio il panorama artistico contemporaneo e di contestualizzare quello che viene esposto. Il tutto, ovviamente, viene proposto nello stile discreto e avvolgente dei locali della famiglia, esemplarmente sintetizzato da un’opera posta nella sala riservata del ristorante. 

Si tratta di Senza titolo (courtesy Tornabuoni Art) di Claudio Parmeggiani, che riporta “in negativo” le sagome di alcune bottiglie, coperte di fuliggine, mediante il bianco che hanno lasciato su un fondo grigiastro. È una manifestazione di “presenza nell’assenza” che riprende un po’ il peculiare dualismo di “Arte a casa”: la capacità di presentare l’offerta di una proposta culturale in assenza della sua istituzione formale, la disponibilità di un servizio attento in assenza di etichette e rigidità, la presenza di una diffusa bellezza in assenza di esibizione. E così, per quanto l’Harry’s bar sia nato per essere la destinazione di un percorso, il suo emulo “Arte a casa” può essere considerato non come un punto di arrivo, bensì come il punto di partenza per scoprire e apprezzare l’arte contemporanea. 

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