Questo è un articolo dell’ultimo numero di Linkiesta Paper – La democrazia in India, in edicola a Milano e Roma e ordinabile qui.
Con due guerre alle porte è chiaro che, dopo quasi ottant’anni, la pace non è più scontata. D’altra parte, nessuno si illude di vivere nel migliore dei mondi possibili. Anzi, è un’epoca in cui fare le Cassandre, esprimendo con fare accigliato profezie catastrofiche, è un viatico per essere considerati veri esperti. Tuttavia, per vincere le sfide serve fiducia: occorre considerare i nostri interessi e perseguirli in ambito globale. Dobbiamo parlare di trecentosessanta gradi globali, ampliando il concetto finora proposto nella Nato (e cioè prestare al Sud la stessa attenzione dedicata al fianco Est). Tutto si collega, dall’aggressione russa in Ucraina alla situazione in Estremo Oriente, alla guerra a Gaza, al futuro dell’Africa per tornare all’Europa. Esistono interessi dettati dalla geografia e vanno cercate le “cointeressenze” (di cui parla Giampiero Massolo nel libro Realpolitik). Dobbiamo far emergere interessi comuni con altre nazioni dettati dalla mappa geografica. Immaginiamo un cerchio che unisca Italia, India e Africa: si evidenza uno spazio Indo-Mediterraneo con l’Italia centrale nel Mediterraneo e l’India protagonista nell’Oceano al quale dà il nome.
Il concetto di Indo-Mediterraneo è coerente agli interessi di un’economia industriale dipendente dai trasporti navali (che, secondo stime Ocse, incidono per circa il novanta per cento dei traffici di merci) e si aggancia a quello lanciato nel 2016 dall’allora primo ministro nipponico Shinzo Abe – guarda caso in una conferenza con i leader africani e con l’obiettivo di sottolineare una visione marittima volta a collegare il Giappone con l’Africa, sottolineando il ruolo dell’India. Da allora il concetto di Indo-Pacifico si è affermato a discapito di quello di Asia-Pacifico (che ha una connotazione continentale meno conveniente a una potenza marittima come il Giappone). Sono quindi evidenti le analogie con il concetto di Indo-Mediterraneo, che vede protagoniste l’Italia e l’India insieme al Medio Oriente e all’Africa. L’Italia, poi, è l’accesso dal Mediterraneo verso la Germania, mentre dall’Oceano Indiano possiamo rafforzare il legame con le economie rampanti del Sud Est asiatico, con il Giappone e con la Corea.
Abbiamo allora due opportunità: l’Imec e il Piano Mattei per l’Africa. Nel settembre scorso, al G20 di Nuova Delhi, Giorgia Meloni con i colleghi di India, Stati Uniti, Ue, Francia, Germania, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti ha dato il via all’India Middle East Europe Corridor (Imec), un’iniziativa per costruire reti per il trasporto di merci, energia e dati tra l’India e l’Europa passando per il Golfo e Israele. È evidente il collegamento con la visione americana che mira alla normalizzazione tra Arabia Saudita e Israele, un progetto messo in crisi dal massacro compiuto da Hamas il 7 ottobre e, proprio per questo, più necessario che mai in una prospettiva di due Stati con Israele e Palestina. D’altra parte, l’Imec è parte del risiko delle grandi iniziative infrastrutturali, che, dopo la Belt and Road Initiative (Bri) cinese, vede la Partnership for Global Infrastructure and Investment (Pgii, in ambito G7 e a guida americana) e la Global Gateway dell’Ue.
La specificità (e la forza) dell’Imec rispetto alla Bri è di non avere un attore dominante. L’Imec evidenzia “cointeressenze” equilibrate. La parola chiave è “diversificare”, attenuando i rischi di dipendenza eccessiva, come è stato con la Russia per l’energia. Infatti, pensiamo all’Imec come a un progetto complementare e non sostitutivo (è chiaro che Suez continuerà a essere il principale transito per il traffico di merci con il Mediterraneo). Inoltre, con l’Imec si prospetta il concetto geostrategico globale di Indo-Mediterraneo, con il Mediterraneo anello di congiunzione tra i due grandi bacini marittimi del mondo: l’Indo-Pacifico (con le economie in più rapida espansione) e l’Euro-Atlantico (che è il nostro ambito di scelta politica e valoriale). È la visione descritta da Meloni nella prima delle sue due visite in India nel 2023, quando a marzo inaugurò il Raisina Dialogue.
La posizione geografica centrale dell’Italia è una grande opportunità per il suo ruolo globale e per gli interessi concreti della sua economia. Per coglierla dovremo essere attivi sottolineando che, grazie a porti e a infrastrutture, la nostra penisola è il terminale migliore per l’approdo dell’Imec. Al riguardo, va tenuta presente l’attività di Grecia e Francia (Emmanuel Macron ha già nominato un inviato speciale per l’Imec. Il nostro governo potrebbe fare lo stesso). I nostri interessi ci vedono protagonisti nelle connessioni digitali con il Blue & Raman Submarine Cable Systems, che la “nostra” Sparkle (quarto operatore del settore a livello globale) sta realizzando tra India ed Europa, con il coinvolgimento di colossi come Google. Primeggiamo anche nel trasporto marittimo, ma dobbiamo impegnarci di più in settori come la logistica. Se non investiamo, non basta avere una flotta portacontainer e importanti porti al centro del Mediterraneo (Gioia Tauro) o vicini al cuore produttivo dell’Europa (Genova e Trieste).
L’ha capito l’America con i suoi dazi sulle gru cinesi. Il terreno di gioco sono i nostri porti, ma anche quelli africani. E possiamo agire insieme all’India. C’è poi il Piano Mattei, l’iniziativa italiana per l’Africa, un continente che si affaccia sull’Oceano Indiano e in cui crescono gli interessi dell’India. Possiamo lavorare insieme, superando pietismo e paternalismo, ma anche il senso di colpa che ci impedisce di sviluppare un dialogo autentico. Dobbiamo guardare all’India e all’Africa: i loro successi possono essere la nostra rinascita. La maggioranza delle nazioni africane sono parte del bacino indo-pacifico ma quindi anche di quello indo-mediterraneo.
L’India è un Paese-continente cresciuto tanto in fretta da contenere un passato remoto e un futuro lontano. Ha enormi contraddizioni, ma offre la possibilità di un rapporto basato sulle “cointeressenze”. Il realismo ci impone di fare una scelta di campo occidentale e di intessere reti con nuove potenze non identiche a noi ma compatibili con i nostri valori. Passata l’illusione della globalizzazione come toccasana, affrontiamo una fase in cui dobbiamo rendere compatibili lo sviluppo delle nostre economie e la nostra sicurezza nazionale attraverso una diversificazione dei rapporti. Pensando all’Africa con speranza e considerando senza “cassandrismo” la baldanza dell’India di Narendra Modi.