Lega al ditoCon il gruppo dei patrioti (putiniani) europei, Salvini è diventato il tormento di Meloni anche in Europa

La presidente del Consiglio pensa di poter gestire lo scomodo alleato di governo, lasciandogli compiere un’operazione politica che la sta già indebolendo nelle trattative a Bruxelles e che rischia di minare la credibilità internazionale dell’Italia

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Se avesse vinto Marine Le Pen, per Giorgia Meloni sarebbe stato un sogno di mezz’estate. Avrebbe dovuto recuperare terreno e conoscere il giovane Jordan Bardella, che non hai mai incontrato in vita sua: da quelle parti è di casa invece Matteo Salvini. Se avesse vinto l’amica del suo maggiore avversario dentro il centrodestra, la presidente del Consiglio avrebbe potuto continuare a dire, con più forza di prima, che la maggioranza popolari-socialisti-liberali deve prendere atto dello spostamento sempre più a destra degli europei. E quindi, con una capriola sulla fune, tornare a chiedere per l’Italia un super commissario e vice presidente esecutivo.

C’è però una soddisfazione che si sta portando al vertice Nato di Washington ed è quella che la sconfitta di Le Pen trascina in basso le ambizioni di Salvini. Il leghista è la sua spina nel fianco, il controcanto continuo, il mandante delle mattane di Claudio Borghi e delle uscite sopra le righe del vicesegretario leghista Andrea Crippa, degli incidenti verbali con il capo dello Stato. Soprattutto è il tessitore di quel gruppo parlamentare europeo di Patrioti con il quale Meloni pensa di dialogare, illudendosi di essere il ponte con la maggioranza di Bruxelles. Anzi di potersene servire nella sua battaglia per ottenere un peso massimo dentro la Commissione europea e per destreggiarsi nel Parlamento con le maggioranze variabili contro le politiche sbilanciate a sinistra. 

Meloni si fida più di Viktor Orbán che di Salvini. L’operazione del gruppo Patrioti sarebbe stata concordata con il premier magiaro che le serve come contrafforte per mantenere la sua centralità in Europa. E presentarsi come la destra seria, credibile e affidabile. Mentre l’alleato italiano si è infilato in questa operazione per continuare la sua permanente campagna elettorale, pronto ad accusarla di aver fatto l’inciucio con i socialisti se a Strasburgo gli eurodeputati di Fratelli d’Italia dovessero votare per Ursula von der Leyen. 

Ma c’è un altro aspetto, più di contesto geopolitico, che evidenzia Giuliano Ferrara sul Foglio: i dubbi sull’attivismo politico di Salvini, «putiniano della prima ora». Secondo Ferrara «la speranza di una destra normalizzata, riformatrice, capace di fare i conti con i mercati e mollare i toni populisti eccentrici rispetto ai doveri di una grande nazione europea occidentale», sta incrociando «il momento degli incubi». Che sarebbe quello della «riorganizzazione mondiale del potere in senso autocratico e il rischio di aggregare il carro dell’Italia alla catena del progetto». Il fondatore del Foglio sostiene che questa dovrebbe essere la prima preoccupazione dei progressisti per evitare di consegnare ai putiniani d’Italia il malloppo della credibilità neopopulista e neoautoritaria. 

Ora, quella povera Elly Schlein di problemi ne ha già abbastanza, anche se ultimamente ha preso dei ricostituenti, e deve mettere insieme l’Unione Brancaleone proprio per fare le penne alla Meloni. Ci vuole pure che si metta ad aiutare la presidente del Consiglio a liberarsi dalle intenzioni tossiche dell’utile idiota del Carroccio. Ma è Meloni che continua a dire che tutto va bene nel governo, che in giro per l’Occidente non ce n’è uno più stabile, ben sapendo che Salvini è la sua vera bestia nera in Europa come in Italia e in prospettiva nei rapporti atlantici, se malauguratamente dovesse vincere Donald Trump. 

Ieri il vicepremier leghista era felice di annunciare il suo ingresso e quello di Rassemblement National nel gruppo dei Patrioti anti europei di Bruxelles, sottolineando che si tratta della terza forza in Parlamento. Spodestando i Conservatori di Meloni e puntando i fucili sul voto che i Fratelli d’Italia esprimerà su von der Leyen. È tutto questo mentre due giorni fa Orbán, presidente di turno del semestre europeo (senza alcuna delega dell’Europa), è andato discutere di chissà quale pace con Vladimir Putin, mentre i criminali di guerra russi bombardavano il più grande ospedale pediatrico di Kyjiv. E con i bambini malati di cancro per strada, il premier magiaro è volato a Pechino per incontrare Xi Jinping. Proprio l’epicentro della riorganizzazione mondiale del potere autocratico.

I prossimi passi di Meloni saranno fatti in questo campo che Salvini contribuisce a minare. Eleggendo Bardella presidente dei Patrioti e piazzando il generale Roberto Vannacci in una delle sette vicepresidenze del gruppo. Un gruppo che per il primo ministro ceco Petr Fiala, il cui partito Ods siede tra i Conservatori con Fratelli d’Italia, fa gli interessi della Russia, minacciando la sicurezza e la libertà dell’Europa.

La presidente del Consiglio pensa che tutto vada per il meglio, che le faccia comodo stare alla guardia del fossato che separa questo gruppone di estrema destra dal resto europeista anti-putiniano. Non si accorge di abitare dentro un castello fatto di carta e di incubi. Come dimostrano gli eventi elettorali in Regno Unito e in Francia.

 

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