L’Unione Europea e la Serbia hanno raggiunto un importante accordo economico ma l’intesa rischia di avere conseguenze sulla stabilità della nazione balcanica. Il patto consentirà a Bruxelles di avere accesso esclusivo alle riserve di litio, un minerale fondamentale per la produzione delle batterie delle auto elettriche, presenti nella regione serba di Jadar e Belgrado costruirà una delle miniere più grandi del continente per favorire lo sfruttamento della risorsa. Il problema è che l’intesa ha dato nuova linfa vitale al movimento di protesta ambientalista, con la partecipazione della società civile, che si oppone alla costituzione della miniera e accusa l’intesa di provocare gravi danni ecologici in Serbia. Lo scorso dieci agosto sono scese in strada decine di migliaia di persone e il presidente serbo Aleksandar Vucic, al potere dal 2014 e accusato di autoritarismo, ha affermato che i dimostranti intendono, in realtà, rovesciarlo. Nel 2017 l’esecutivo serbo aveva provato a dare il via alle estrazioni a Jadar ma aveva poi dovuto sospendere il progetto dopo le grandi dimostrazioni popolari contro l’iniziativa.
La Serbia possiede una delle maggiori riserve di litio in Europa e il ministero delle miniere e dell’energia ha stimato che il giacimento, che dovrebbe aprire nel 2028, potrà produrre batterie elettriche per oltre un milione di veicoli. La stipula dell’intesa ha rafforzato il peso strategico di Vucic, che ha rapporti stretti ed ambivalenti tanto con Mosca quanto con Bruxelles e che è ormai diventato uno dei punti di riferimento della politica comunitaria nella regione balcanica. Lo stretto dialogo con Vucic indebolisce, però, la credibilità di Bruxelles agli occhi di un certo numero di cittadini serbi. L’impegno dell’Unione a favorire la democrazia nei Balcani è, infatti, in contrasto con il dialogo con il capo di Stato serbo. La centralità di Vucic nei piani comunitari non ha, peraltro, indebolito la partnership della Serbia con la Russia e con la Cina. Mosca ha legami culturali, politici ed economici molto stretti con Belgrado e ha investito molto nel settore energetico locale mentre Pechino e Belgrado hanno stretto intese economiche importanti.
Una rilevazione, condotta nel febbraio 2024 da Npsm, ha evidenziato come solamente una maggioranza relativa dei cittadini serbi, pari al 42.8 per cento, sia favorevole all’ingresso del proprio Paese nell’Unione Europea. Il 36.8 per cento è invece contrario e più del venti per cento è indeciso. Il dato, che di per sé è poco esaltante, è persino migliorato rispetto alla maggior parte delle rilevazioni degli ultimi anni in cui i contrari superavano i favorevoli. Ad influenzare questi dati possono essere stati diversi temi: dal supporto fornito dalla maggior parte dell’Unione Europea al Kosovo all’irrigidirsi delle tensioni tra Bruxelles e Mosca, ma il peggioramento degli standard democratici serbi negli ultimi anni non può non aver influito su una parte del campione.
L’organizzazione non governativa Freedom House, che monitora il rispetto dei diritti civili e politici nel mondo con un rapporto annuale, ritiene che la Serbia sia una nazione solo parzialmente libera e i punteggi ottenuti da questo Paese registrano un costante deterioramento da anni. Nel rapporto riferito al 2023 Freedom House ha chiarito come la rielezione di Vucic nel 2022 sia stata contrassegnata dalla parzialità dei media e dall’abuso di risorse pubbliche a suo favore mentre le consultazioni parlamentari del 2023 hanno visto la presenza di numerose irregolarità. Il Partito serbo progressista (Sns), riferimento politico di Vucic e schierato su posizioni conservatrici, ha usato diverse tattiche per impedire alle opposizioni di primeggiare al voto e tra queste ci sono la manipolazione delle date elettorali, la pressione esercitata sugli organismi istituzionali indipendenti e la mobilitazione di risorse pubbliche a proprio vantaggio. Non mancano, poi, atteggiamenti repressivi nei confronti di media indipendenti e diverse problematiche riscontrate dalla libertà di stampa.
L’Unione Europa, nel corso degli anni, non ha potuto inimicarsi Vucic per non rischiare di perdere un partner strategico nella regione balcanica. La Serbia, in caso di allontanamento dalla Ue, potrebbe avvicinarsi in maniera pericolosa alla Russia di Vladimir Putin e la penetrazione di Mosca nei Balcani non potrebbe che danneggiare le prospettive dell’Unione Europea. La necessità di condurre una politica estera pragmatica e vantaggiosa dal punto di vista economico ha consentito a Vucic di dominare lo scenario politico locale a discapito della società civile e delle opposizioni che, in alcuni casi, hanno provato ad organizzarsi e sono scese in strada ma poco hanno potuto contro il carismatico capo di Stato.
Le consultazioni locali svoltesi lo scorso giugno si sono concluse con la vittoria dell’Sns a Belgrado, una delle roccaforti delle opposizioni e a Novi Sad, seconda città del Paese. Le speranze delle opposizioni di eleggere il sindaco di Nis, terza città della Serbia, infliggendo una sconfitta simbolica a Vucic si sono però infrante quando, a due mesi e mezzo dal voto, l’Sns è riuscito ad eleggere il nuovo sindaco con una strettissima maggioranza del consiglio comunale.
Sullo sfondo dei rapporti tra Bruxelles e Belgrado c’è, poi, la complessa questione del Kosovo, riconosciuto come nazione indipendente da buona parte degli Stati membri dell’Ue ma considerato una provincia separatista dal forte movimento nazionalista serbo. Bruxelles ha legato l’adesione di Belgrado ad una normalizzazione dei rapporti con Prishtina, un obiettivo ostacolato dal periodico emergere di tensioni locali e dalla contrarietà di una parte dell’opinione pubblica serba. Vucic potrebbe avere la forza politica per avvicinarsi alla normalizzazione con il Kosovo e l’Unione Europa ha puntato molto su questo risultato per accrescere la propria penetrazione strategica nei Balcani. Rinunciare a Vucic significherebbe perdere quanto si è costruito negli anni, stringerci rapporti e stipularci accordi significa accantonare i valori che ispirano (o dovrebbero ispirare) Bruxelles. Un dilemma di difficile soluzione destinato ad acuirsi nei prossimi anni.