Prova del fuocoLa cooperazione transfrontaliera può salvare il Carso dall’emergenza climatica

Una gestione comune del territorio è cruciale per curare un’area delicata e in perenne trasformazione, divisa politicamente ma non sotto il profilo ambientale. Qualcosa, per fortuna, inizia a muoversi

Wikimedia Commons

Un’iniziativa condivisa per tutelare un territorio complesso e diviso tra diversi Stati, come il Carso, è invocato da molto tempo, con pochi passi avanti e anche poche iniziative singole. Ma all’inizio dell’anno il Comune di Trieste, con altri sedici di confine tra Italia e Slovenia, ha aderito a un progetto interreg europeo per una gestione comune delle aree. Al centro i temi consueti di questi programmi, dallo sviluppo sostenibile, al turismo, alla tutela ambientale e così via, con il coinvolgimento delle università.

L’istituzione di un Gruppo europeo di cooperazione territoriale (Gect) “Kras Carso” era l’obiettivo principale del progetto Kras – Carso II – “Gestione congiunta e sviluppo sostenibile dell’area del Carso classico”, approvato dal Comitato di Sorveglianza del Programma Interreg Italia-Slovenia nell’aprile del 2023. Anche depurato del trionfalismo di maniera di prammatica in questi annunci, il principio è importante perché una collaborazione transfrontaliera e una gestione comune sono requisiti sempre più indispensabili per gestire un territorio delicato e complesso come quello carsico, diviso politicamente, ma non sotto il profilo ambientale, tra Carso triestino, isontino, sloveno e, in parte, croato.

La prova del fuoco della sua necessità e urgenza si è avuta nell’estate del 2022, con la devastante ondata di incendi che ha colpito tutta l’area, ignorando ovviamente i confini di stato. Il primo allarme era stato dato il 19 luglio del 2022, a Doberdò del Lago, tra Sablici e Jamiano. Nel giro di qualche ora, il fuoco si era già ampiamente esteso, al punto da spingere il Consiglio regionale a deliberare lo stato di emergenza, mentre nei giorni seguenti le fiamme avrebbero toccato anche altre parti della regione, richiedendo un imponente dispiegamento di mezzi e persone. 

Finita l’emergenza, che rientrò solo dopo una decina di giorni, il conto dei danni: oltre quattromila ettari di boschi nel Carso tra Italia e Slovenia andati in fumo, con una perdita di quasi il cinquanta per cento della biomassa, e un ulteriore aggravamento della prolungata siccità iniziata in primavera, a sua volta fattore scatenante per gli incendi. Una ripetizione, in peggio, di quello che era successo nel 2003, anche in quel caso nel corso di un’estate caldissima e dopo un prolungato periodo di siccità.

Si tratta di eventi generati dall’emergenza globale del cambiamento climatico, ma aggravati dalla natura particolare dell’area. Da tempo, infatti, è in atto una modifica sostanziale degli ambienti naturali carsici dovuta a diversi fattori: urbanizzazione, riduzione, e poi ripresa, delle attività agricolo-pastorali, parziale ricostituzione dei boschi originari, a volte con essenze aliene come, a metà Ottocento, la piantumazione di duecento milioni di pini neri che oggi stanno infestando la landa carsica minacciandone la biodiversità. Boschi, tuttavia, negli ultimi decenni mai ripuliti e lasciati in abbandono con la fine della pratica del legnatico.

Il Carso è, in effetti, un ambiente storicamente in perenne trasformazione, soprattutto per intervento umano. Oggi, un fante della Prima guerra mondiale, combattuta tra le pietraie cantate da Ungaretti, stenterebbe a identificare quel paesaggio desolato negli estesi boschi che ne coprono la maggior parte della superficie e che risalgono alle opere di rimboschimento iniziate con l’amministrazione austroungarica e che, a partire dal 1882, videro l’impianto intensivo di più di dieci milioni di alberi in circa quarant’anni.

Fino alla prima metà dell’Ottocento, infatti, il Carso triestino era una distesa di sassi, frutto di secoli e secoli di pascoli e disboscamenti incontrollati, già iniziati in epoche remote. come testimoniano gli spessi strati di ceneri conservati in alcune grotte preistoriche.

Il Carso, in sloveno Kras, dal tedesco Karst e all’indoeuropeo kar (roccia, pietra) da un punto di vista geologico è un altopiano di rocce carbonatiche, in prevalenza calcari, con fenomeni di erosione così particolari ed estesi da aver dato nome al fenomeno chimico del carsismo e aver dato vita alla disciplina della speleologia. Tanto l’acqua scarseggia in superficie, con corsi d’acqua quasi interamente invisibili come il Rosandra – Glinščica e il Timavo-Timau, quanto lavora in profondità, assorbita dal suolo poroso, negli inghiottitoi e nelle foibe, dove scava grotte e cunicoli, creando una geografia sotterranea in parte ancora inesplorata. Da qui la grande importanza degli “stagni”, naturali o costruiti artificialmente rivestendo di argilla le pareti di piccole cavità naturali. 

Storicamente venivano usati come abbeveratoi per il bestiame, mentre d’inverno servivano per il ghiaccio. Le vasche idriche posizionate in conche più ripide e ombreggiate – a cui il bestiame non aveva accesso – dette “pozzi”, venivano mantenute per raccogliere l’acqua più cristallina per gli usi domestici. Venute meno le loro funzioni, questi bacini sono sempre più rari, anche se in Slovenia sono abbastanza tutelati perché si riconosce il loro fondamentale contributo per il mantenimento della biodiversità. 

Un altro elemento chiave del paesaggio sono le doline, “imbuti” nel terreno che intrappolano l’aria fredda e umida e che possono simulare il clima di alta montagna ma in modo inverso: più si va in basso, più facile è incontrare piante e fiori che di norma si incontrerebbero salendo di quota. La varietà di microclimi è accresciuta dal rapido innalzamento del ciglione carsico rispetto al mare: in pochi metri si passa da un clima tipicamente mediterraneo a quello subalpino con quattro-cinque gradi centigradi di differenza media annuale rispetto alla costa ed escursioni termiche più accentuate.

La mancanza di acqua di superficie, le alte temperature estive, la presenza di aree boschive incolte, le asperità del terreno, sono fattori che aumentano il rischio e la pericolosità degli incendi oltre che la difficoltà di domarli. La sensibilizzazione sull’importanza di un comportamento corretto – non gettare mozziconi di sigaretta o fiammiferi ancora accesi, non accendere fuochi nel bosco, non abbandonare i rifiuti – è importante, come sempre, ma non basta. 

Per questo, dopo l’estate 2022, in Friuli-Venezia Giulia si sono moltiplicati gli appelli per aumentare gli investimenti nei mezzi antincendio, come fatto dalla Slovenia, impedire lo svolgimento di alcune attività considerate a rischio nei periodi più caldi; e, ancora, sviluppare sinergie con altri corpi di soccorso e con organi istituzionali e non che possano sostenere i Vigili del fuoco e la Protezione civile nel corso dell’emergenza, o migliorarne l’organizzazione e il coordinamento.

Ripensare la gestione del territorio e intensificare la sorveglianza contro gli incendi dolosi, tuttavia, è essenziale e questo, in un’area come quella del Carso, è possibile farlo con una collaborazione transfrontaliera che tenga conto dell’ambiente nel suo insieme e con l’assegnazione di maggiori fondi e risorse a livello europeo.

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