Mastellizzare i barbariIl piano di Conte per il M5S, dal nichilismo rivoluzionario alla rendita populista

Fin dalle sue origini il Movimento 5 stelle è stato caratterizzato da un approccio post-democratico e opportunistico, privo di principi solidi e guidato solo dal profitto politico e dal desiderio di potere. La lotta tra Grillo e l’avvocato di Volturara Appula è solo l’ultimo capitolo della stessa storia

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L’aspetto più divertente e grottesco della disputa in corso tra Grillo e Conte sul modello democratico e sui principi del Movimento 5 stelle è che riguarda un coagulo politico dichiaratamente post-democratico, che non ha mai avuto alcun principio, a esclusione del gusto e del lucro del Vaffanculo, nelle più varie e fungibili declinazioni ideologiche e in un culto della diversità, che non ha mai impedito, ma sempre affaristicamente autorizzato, le alleanze più diverse e più redditizie, a seconda delle circostanze e delle emergenze a cui sacrificare l’impegno del mai coi vecchi partiti.

Era già il partito di Conte, ma era ancora, al cento per cento, il partito di Grillo quello che nella scorsa legislatura è riuscito a essere l’unico presente in tre diversi governi con tre diverse formule politiche. Ed era ancora il partito di Grillo, ma già molto contizzato, a rinnegare il ripudio di qualunque contributo pubblico e di accedere a quella, che un grillino della prima ora avrebbe definito la mangiatoia del 2 per mille, fattasi però a un certo punto necessaria per pagare uno stipendio ai colonnelli alla fine del secondo mandato e non ricandidabili in Parlamento, e allo stesso Grillo nella doppia veste di padre nobile e consulente, di Mahatma e portaborse digitale. 

La dialettica tra Grillo e Conte non è uno scontro su diverse posizioni politiche od opposte letture del presente e del futuro del M5s. È semplicemente lo scontro per decidere chi deve comandare e chi deve obbedire dentro una macchina politica, che le distopie totalitarie di Casaleggio hanno irrimediabilmente ridotto – chiunque prevalga e chiunque soccomba – a un formicaio, in cui il consenso è tanto più potente e irresistibile, quanto più e anonimo e impersonale e può essere dirottato in ogni direzione, perché non si obbedisce a quel che si crede, ma si crede in quel che si obbedisce, come in ogni sistema perfettamente totalitario. 

Il contributo originale e pernicioso del grillismo è stata la trasformazione dell’agorà politica in un laboratorio di uomini massa dell’omologazione qualunquistica. Grillo e Conte hanno avuto nell’impresa parti diverse, ma uguali responsabilità, e oggi il loro scontro riguarda semplicemente la scelta del modello di partito o non-partito più congeniale alle caratteristiche dell’uno o dell’altro. 

Grillo sa che, al di là del dato formale, avrebbe poco spazio in un partito emancipato dal profetismo rivoluzionario e dal casinismo istituzionale e, soprattutto, dalla fluidità garantita dal ricambio meccanico degli eletti e dal riconoscimento del diritto e del potere del fondatore di decretare in solitudine improvvisi reset politici, controllando l’algoritmo del formicaio.

Conte ha invece bisogno di costruire un mandarinato politico post-grillino, una piramide che culmini nel vertice del suo ruolo di rappresentanza e mediazione e per questo spinge per cambiare tutto, dal nome alla regola sul divieto del terzo mandato, non per rendere democratico un partito che non lo è mai stato, né mai lo sarà, ma per fuoriuscire da una tutela obbligata sempre più ingombrante e peraltro inefficiente. 

Dai diversi modelli discendono diverse retoriche programmatiche. Quella di Grillo è il solito trotskismo populista, la consueta rivoluzione nichilista permanente, l’abituale scompiglio di provocazioni e scemenze visionarie. Quella di Conte è un parassitismo populista di piccolo cabotaggio, per una rendita più sicura e meno ambiziosa e corrispondente alle istanze spicciole di un elettorato accattone. 

In pratica, Grillo proclama la necessità di rimbarbarire i barbari imborghesiti dalla routine del potere, Conte invece vorrebbe istituzionalizzarli a sua immagine e somiglianza, cioè mastellizzarli e preservarli come abili sensali della nostra democrazia di scambio e profittatori del disastro politico meridionale. Però, i principi e i valori della democrazia interna ed esterna non c’entrano niente, né in un caso, né nell’altro.

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