Relazioni collaterali I danni dell’interminabile era di Lukashenko in Bielorussia

Dal 1994 la Minsk ha visto crescere la sua dipendenza dalla Russia. Con l'invasione dell'Ucraina, la cooperazione tra i due paesi è diventata cruciale, consolidando un'alleanza che impedisce qualsiasi mutamento dello scenario politico e allontana Minsk da Bruxelles

LaPresse

Nell’estate del 1994, tra il 23 giugno e il 10 luglio, la Bielorussia organizzò le prime e ultime elezioni democratiche della sua storia. L’implosione dell’Unione Sovietica, nel 1991, aveva aperto la strada all’indipendenza delle tante repubbliche che ne facevano parte e dato vita a un periodo confuso e caotico. Le consultazioni presidenziali in Bielorussia dovevano aiutare Minsk a progredire verso un futuro pluralista dopo i lunghi anni della dittatura ma le cose andarono diversamente. Aleksandar Lukashenko, un candidato indipendente presentatosi con un programma populista contro la corruzione e l’inflazione, sbaragliò la concorrenza ottenendo prima il quarantacinque per cento dei voti al primo turno e poi l’ottanta per cento contro l’ex favorito Vyacheslav Kebich al ballottaggio. Un anno dopo Lukashenko propose e vinse un referendum che gli consentì di sciogliere il Parlamento e nel 1996 una seconda consultazione referendaria espanse enormemente i suoi poteri. Il breve esperimento democratico della Bielorussia era fallito in fase embrionale e oggi, trent’anni dopo quelle consultazioni, la nazione dell’Europa Orientale vive in un mondo che ricorda quello dell’Unione Sovietica.

I partiti politici di opposizione e la società civile, soggetti a costante repressione da parte delle forze di sicurezza, hanno periodicamente organizzato proteste e dimostrazioni contro l’esecutivo. In ogni occasione, però, queste si sono concluse con violenze, arresti di massa e pene detentive comminate nei confronti di organizzatori e partecipanti. L’episodio più recente ha riguardato le elezioni presidenziali del 2020 con centinaia di migliaia di persone, su una popolazione di poco inferiore ai dieci milioni di abitanti, scese in strada per chiedere l’annullamento delle consultazioni vinte da Lukashenko con l’ottanta per cento dei voti. Le numerose segnalazioni di frodi elettorali a svantaggio della candidata dell’opposizione Svetlana Tikhanovskaya erano riuscite a mobilitare le folle e le successive violenze compiute dalle forze di sicurezza avevano accresciuto le file dei dimostranti. In prima battuta giovani e istruiti. Il peso della repressione è cresciuto con il passare dei mesi e i moti si sono progressivamente spenti in seguito a decine di migliaia di arresti, al ferimento di molte persone e alla morte di altre.

Nel luglio 2024, come segnalato dalla Deutsche Welle, le persone condannate per reati politici erano milletrecentottantotto e le organizzazioni per i diritti umani hanno reso noto che quattrocento persone sono state condannate per reati di questo tipo tra il 2022 e il 2023. I prigionieri di spicco, come il vincitore del premio Nobel e attivista per la democrazia Alex Bialiatski, il banchiere filantropo Viktar Babaryka e l’esponente dell’opposizione Maria Kalesnikova, vengono tenuti in isolamento. La maggior parte dei media indipendenti e delle organizzazioni non governative hanno chiuso oppure si sono trasferite all’estero e la stessa Tikhanovskaya è stata costretta a fuggire in Lituania per evitare l’arresto e da lì dirige l’organizzazione Forze Democratiche della Bielorussia. L’Unione Europea, gli Stati Uniti, il Regno Unito e altre nazioni non riconoscono Lukashenko come presidente dalle elezioni del 2020 e le relazioni tra Minsk e l’Occidente sono praticamente inesistenti. La Bielorussia dipende economicamente dalla Russia di Vladimir Putin e le relazioni con il Cremlino si sono fatte più strette proprio a partire dal 2020.

Il Wilson Center ricordava, nel 2022, gli incontri bilaterali tra Putin e Lukashenko svoltisi nel 2021, la cooperazione tra le forze armate dei due Stati, la tranche di aiuti da cinquecento milioni di dollari versata dal Cremlino e l’intervento della Russia in un’operazione strategica che avrebbe sventato un tentativo di golpe contro il leader bielorusso nell’aprile 2021. Questi rapporti si sono fatti ancora più intensi dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, con il territorio bielorusso che è stato sfruttato dall’esercito di Mosca per lanciare attacchi missilistici contro Kyjiv e come retroterra strategico per le proprie truppe. Minsk è profondamente integrata nelle alleanze regionali guidate dal Cremlino e aderisce sia all’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (Csto) che all’Unione Economica Eurasiatica (Eee). La Csto è un’organizzazione che prevede la cooperazione militare tra gli Stati aderenti contro gli attacchi esterni mentre l’Eeu favorisce l’integrazione economica e doganale tra i partecipanti. Nel 2021 la Bielorussia ha sospeso la propria partecipazione al Partenariato Orientale con l’Unione Europea ed è l’unica nazione europea, insieme alla Russia, a non avere alcuna forma di associazione con Bruxelles.

I rapporti tra Mosca e Minsk sono ottimi per una serie di ragioni pratiche e strategiche che riguardano entrambi gli Stati. La Russia non può permettersi una rivoluzione democratica in una nazione confinante e alleata perché un simile sviluppo ne indebolirebbe la sfera d’influenza in Europa e potrebbe fungere da catalizzatore per gli stessi oppositori del Cremlino. Il territorio della Bielorussia è inoltre importante nell’ambito della guerra in Ucraina perché consente di accrescere la pressione su Kyjiv, costretta a pattugliare la lunga frontiera con Minsk per difendersi da una possibile invasione di terra proveniente da nord. Le forze armate ucraine, già provate da oltre due anni di conflitto, non possono così concentrare i propri sforzi sul fronte orientale e su quello meridionale. La Bielorussia, isolata dall’Occidente e sottoposta a sanzioni, trova nella Russia un partner economico vitale per la propria sopravvivenza e un alleato che garantisce a Lukashenko di rimanere al potere fornendo supporto contro le opposizioni interne.

Minsk dipende dalle esportazioni energetiche della Russia e nel 2019 il sessantadue per cento della produzione di energia era stato generato grazie al gas importato e il ventotto per cento grazie al petrolio. La diversificazione delle importazioni di gas e petrolio è resa più complessa dalle sanzioni occidentali e non verrebbe tollerata da Mosca con cui, in passato, ci sono stati diversi scontri. Tutti si sono conclusi nello stesso modo perché il Cremlino può bloccare le esportazioni se lo ritiene necessario e inoltre ha fornito le risorse energetiche a Minsk a prezzi scontati rispetto a quelli di mercato.

L’indisponibilità della Russia a qualsiasi forma di mutamento politico in Bielorussia, la rilevanza strategica di Minsk durante la guerra in Ucraina e la dipendenza energetica e politica nei confronti del Cremlino, unite alla stretta cooperazione in ambito militare, rendono difficile immaginare cambiamenti nello scenario bielorusso. Le opposizioni sono state duramente represse, i suoi leader condannati a pene detentive oppure costretti a fuggire all’estero mentre non esiste alcuna forma di pluralismo mediatico o politico, nemmeno di facciata, che possa indebolire l’esecutivo. I trent’anni al potere di Lukashenko sembrano destinati ad aumentare anche nel prossimo futuro mentre l’Occidente sembra aver dimenticato la Bielorussia a causa di altre problematiche internazionali.

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter