Le proteste anti-migranti nel Regno Unito continuano e il primo ministro Keir Starmer tenta di far rientrare l’emergenza annunciando, proprio in questi giorni, nuove e più severe misure contro gli animatori delle rivolte che stanno infiammando il Paese. L’approccio law e order del premier, qui al suo primo vero banco di prova dall’inizio del governo, ha scatenato le reazioni scomposte di un’intera rete che adesso grida alla repressione e alla svolta autoritaria. Un insieme di personaggi che con la scusa di propugnare un libertarismo spicciolo sta conducendo un’operazione eversiva sistematica fatta di provocazioni, diffusione di fake news (ricordiamo che i disordini sono partiti in risposta alla notizia di un presunto attacco islamista, successivamente smentita) e massicce campagne online contro istituzioni e testate giornalistiche.
In questo sottobosco troviamo il sempre più schierato Elon Musk, il quale è passato dall’essere l’idolo degli pseudo imprenditori/crypto bros che infestano i social ad autoproclamatosi paladino della libertà di parola impegnato a diffondere attivamente ogni complotto di QAnon, delirio trumpista e balla della propaganda moscovita che gli capiti a tiro. Questa attività non poteva trascurare i recenti fatti britannici – il patron di Tesla si è ritagliato una fetta importante del suo tempo per commentare ogni singolo aggiornamento proveniente da Londra annunciando l’imminente guerra civile come un utente di 4chan qualunque – ed è così che Musk si ritrova al fianco dei membri della «resistenza», quelli che lottano contro allogeni e dittatura woke. Ma andiamo a vedere da vicino questa resistenza.
Una delle figure chiave è Tommy Robinson che, come abbiamo già visto, ha ricevuto l’appoggio esplicito del magnate sudafricano. Il personaggio è un esempio perfetto di questa galassia dove soggetti collusi con le peggiori organizzazioni militanti del suprematismo bianco si rifanno una verginità come attivisti «venuti dal basso» il cui scopo sarebbe quello di difendere il libero pensiero. Robinson, il cui vero nome è Stephen Yaxley-Lennon, non nasce politicamente né con le proteste di questi giorni né con le comparsate social degli ultimi anni: dopo una gioventù trascorsa tra denunce e guai con la giustizia, poco più che ventenne entra nel British national party.
Il Bnp è stato per molto tempo il principale punto di riferimento del neofascismo inglese, noto in patria per le sue posizioni radicali (approccio revisionista alla Shoah, rivalutazione positiva della figura di Hitler, iscrizione vietata a chi non fosse bianco e favorevole all’introduzione di politiche segregazioniste) e comparso qualche volta sui giornali italiani per il rapporto organico con Forza Nuova all’epoca della presidenza di Nick Griffin. Si tratta di una militanza relativamente breve perché, stando alle parole di Robinson, il partito era troppo estremista per i suoi gusti; la verità è che il British national party era troppo staccato dalla realtà e la sua impostazione politica anacronistica ne lasciava presagire la crisi e il conseguente fallimento del progetto. È per questo che il presunto moderato entra in un nuovo movimento di cui, in pochissimo tempo, diventerà il capo de facto: l’English defence league.
L’Edl riunisce un insieme di militanti politici e hooligans (sono loro a farne la fortuna garantendone la massiccia presenza nelle piazze e nelle azioni anti-migranti) che se da una parte rifiuta i richiami espliciti al nazifascismo dall’altra rappresenta l’evoluzione dell’estrema destra inglese, non più chiusa nel suo ghetto ideologico ma pronta a farsi sentire in strada con la violenza, indirizzata specificatamente verso i cittadini di fede mussulmana sfruttando la scusa dell’emergenza migratoria. Tommy Robinson ne diventa il volto pubblico con l’intento di legittimare i rissaioli trasformandoli, agli occhi del pubblico, in un rispettabile soggetto politico. Ma il piano fallisce quando non solo alcuni membri vengono condannati per aver pianificato una strage in alcune moschee inglesi, il colpo finale viene dato nel 2011 dall’endorsement esplicito dello stragista di Utøya, Anders Breivik: il terrorista norvegese esalta e conosce i vertici dell’Edl tanto da aver partecipato a una delle loro marce a Bradford prima del massacro. Due anni dopo, Robinson lascia anche l’English defence league. Anche questa era «troppo estremista».
Nel periodo successivo Tommy Robinson è animatore di una serie di iniziative fallimentari da Pegida UK (filiale britannica dell’omonimo movimento anti-islamico tedesco) al network Hearts of Oak, ed è in questi anni che l’attivista guadagna il suo primo incarico politico «istituzionale» diventando consigliere dell’allora leader dell’Ukip, partito spostatosi ancora più a destra dopo l’addio di Nigel Farage (il quale ha definito l’ex frontman dell’Edl «totalmente inadatto alla politica»).
Lasciato anche questo partito, inizia la vera e propria ascesa di Tommy Robinson: una presenza ossessiva sui social lo trasforma nel volto nuovo della critica all’immigrazione selvaggia, al progressismo e all’establishment, il tutto sotto la nuova veste di succursale britannica del trumpismo. Per il suo attivismo martellante, l’inglese viene bannato dalle principali piattaforme social (Twitter, Snapchat, Instagram, YouTube, Facebook e Tik Tok), ma allo stesso tempo riesce a raccogliere donazioni e finanziamenti che superano i due milioni di sterline. Come facilmente immaginabile, questi soldi provengono dal Cremlino.
Infatti, il presunto difensore della libertà d’opinione non perde un secondo per farsi piacere alla Russia di Putin che trova in lui una nuova, fedele, quinta colonna permettendogli di aprire conti corrente nelle banche della Federazione, pubblicizzando i suoi viaggi a Mosca e San Pietroburgo del 2020 (con il contributo fondamentale di Edvard Chesnokov, editore della testata Russian Komsomolskaya Pravda) e facendogli fare comparsate su Russia Today e Tsargrad TV, sempre presentato come importante attivista europeo. I contenuti pubblicati da Robinson in lingua russa così come le innumerevoli critiche al supporto euroatlantico nei confronti dell’Ucraina sono ricomparsi online grazie al contributo di Musk che ne ha revocato il ban e oggi lo esalta come ennesimo membro della «resistenza».
Alla luce dei fatti, non sorprende la posizione di Starmar e del suo esecutivo nei confronti del fu Twitter che per le istituzioni inglesi è diventato «un megafono dell’estrema destra». Ma soprattutto, la storia di Tommy Robinson rappresenta un ennesimo elemento per comprendere cosa sia e come funziona quella grossa area mediatica che lega Elon Musk alla feccia complottista di InfoWars (il podcast condannato a un risarcimento miliardario per aver negato la strage nella scuola elementare di Sandy Hook e che conta tra i suoi sostenitori lo stesso Robinson) passando per l’estrema destra più arcaica e pericolosa. Il tutto con l’aiuto attivo di Mosca che sfrutta i suoi utili idioti per logorare l’Occidente dall’interno.