Autonomia strategicaIl piano di Draghi da 800 miliardi per far ripartire l’Europa con difesa, innovazione e produttività

L’ex presidente del Consiglio ha presentato a Bruxelles il suo report che contiene centosettanta proposte divise in cinque macro-capitoli su come evitare il declino e iniziare a competere in modo più efficace contro Stati Uniti e Cina, investendo sulla competitività

(photo Cecilia Fabiano / LaPresse)

Produttività, autonomia strategica, difesa, e investimenti. Sono centosettanta le proposte per migliorare la competitività dell’Unione europea nel report di Mario Draghi presentato oggi a Bruxelles. L’ex presidente del Consiglio italiano e già capo della Banca centrale europea, ha esposto il suo atteso report sulla competitività europea, accanto alla presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen. Tra le proposte centrali, Draghi suggerisce di investire ottocento miliardi di euro per sostenere l’economia europea e promuovere l’innovazione tecnologica, oltre che l’integrazione dei mercati europei, con proposte concrete su come finanziare questi ingenti capitali. Draghi parla di un «cambiamento radicale» e sviluppa il suo pensiero in cinque macro-capitoli: produttività, riduzione delle dipendenze esterne, transizione climatica, inclusione sociale e raccomandazioni settoriali. «Quelle del report sono proposte volte a essere attuate concretamente e rapidamente per beneficio prosperità europea».

Le raccomandazioni saranno parte delle lettere di missione che la presidente della Commissione Ursula von der Leyen invierà ai nuovi commissari designati, rappresentando di fatto la bussola della prossima agenda Ue, andandosi ad affiancare al report sul mercato unico di Enrico Letta. «Ci troviamo in una situazione di stallo», ha detto Draghi. «Ma la crescita è importante perché ha a che fare con i valori fondanti dell’Ue: l’Europa si fonda su valori come la libertà, la pace, e la democrazia. L’Ue deve garantire ai Paesi membri che potranno godere di questi valori. E se non riuscirà a garantirli, allora non avrà più ragione d’essere». 

Un tema chiave del rapporto è la necessità di aumentare la produttività, un aspetto fondamentale per far fronte alla crescente pressione competitiva da parte di Stati Uniti e Cina. Draghi sottolinea come la debole crescita della produttività europea rappresenti un ostacolo per raggiungere obiettivi ambiziosi come l’inclusione sociale, la neutralità carbonica e il mantenimento di un peso geopolitico rilevante a livello globale.

«La Cina è meno aperta nei nostri confronti ed è entrata in competizione con noi. Abbiamo perso il nostro fornitore di energia a basso costo, la Russia – ha spiegato Draghi durante la presentazione del report–. In più, dalla Guerra fredda, questo è il primo anno in cui l’Ue non può contare sulla crescita demografica per crescere: a partire dal 2040 ci saranno addirittura due milioni di lavoratori in meno sul mercato del lavoro ogni anno. Dobbiamo aumentare la nostra produttività. E, se vogliamo mantenere la media degli ultimi cinque-dieci anni, non basterà mantenere un Pil costante. I nostri bisogni sono in aumento, anche per gli obiettivi di decarbonizzazione, digitalizzazione, aumento della difesa. In più, vogliamo mantenere il nostro modello sociale. Gli investimenti necessari per fare questo sono enormi. Dovremmo aumentare il Pil del cinque per cento circa. Si tratta di livelli visti negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso».

Per Draghi è necessario intervenire in maniera rapida: «Se l’Europa non riesce a diventare più produttiva, saremo costretti a scegliere. Non potremo diventare contemporaneamente leader nelle nuove tecnologie, faro della responsabilità climatica e attore indipendente sulla scena mondiale. Non saremo in grado di finanziare il nostro modello sociale. Dovremo ridimensionare alcune, se non tutte, le nostre ambizioni. È una sfida esistenziale», ha aggiunto.

Nonostante l’Europa vanti un modello di economia aperta con forti politiche attive per la redistribuzione della ricchezza, finora la sua crescita economica è stata insufficiente. Solo quattro delle cinquanta principali aziende tecnologiche mondiali sono europee, segno del ritardo accumulato nel campo dell’innovazione. Nel report, Draghi insiste sulla necessità di integrare i mercati dei capitali europei, rimuovendo le barriere che impediscono alle aziende di crescere e attirare investimenti. In quest’ottica, è importante incanalare meglio i risparmi delle famiglie verso investimenti produttivi e massimizzare la produttività attraverso l’emissione di asset sicuri comuni per finanziare beni pubblici europei chiave, come l’innovazione dirompente. 

Draghi propone la creazione di un mercato unico dell’energia e la riduzione delle dipendenze da fornitori esterni, in settori strategici come quello delle materie prime critiche e dei semiconduttori, che richiedono investimenti significativi. Si prevede che le nuove misure strategiche e i fondi da stanziare possano contribuire a rendere l’Ue meno vulnerabile alle crisi energetiche e agli shock esterni, aumentando l’autonomia strategica. Draghi ha sottolineato che è fondamentale «Migliorare l’offerta dell’energia pulita. Gli Stati Uniti hanno approvato l’Ira offrendo agli americani una serie di incentivi», ed è questo ciò su cui si deve puntare. 

Altri due punti centrali del documento sono la decarbonizzazione e la competitività industriale. Per raggiungere gli ambiziosi obiettivi climatici dell’Ue, sia necessario un forte coinvolgimento dei settori industriali che usano intensamente le risorse energetiche, come l’automotive e le energie rinnovabili. L’Europa deve quindi investire in tecnologie che facilitino la transizione energetica, puntando a una leadership globale in questo ambito. Inoltre, molti Paesi dell’Ue, come Germania, Francia e Paesi Bassi, si mostrano riluttanti a nuovi aumenti del bilancio comunitario. La Germania, in particolare, sta affrontando una crisi di bilancio e non è incline a sostenere nuove spese, mentre i Paesi Bassi hanno espresso chiaramente la loro opposizione all’aumento dei contributi finanziari all’Ue. 

«Continuiamo a sentire parlare di questa richiesta di centinaia di miliardi di euro», ha spiegato un anonimo diplomatico a Politico. «Ma quanto è fattibile che in un contesto in cui i tedeschi hanno una crisi di bilancio, gli olandesi dicono di voler ridurre il loro contributo all’Ue e i francesi non hanno un governo?». Forse solo la rielezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti potrebbe essere un campanello d’allarme per svegliare l’Europa. Ma Draghi avverte che l’Europa non può più permettersi di rimandare le riforme necessarie per mantenere la sua rilevanza globale. Senza un piano ambizioso e coordinato, l’Ue rischia di scivolare in una stagnazione economica, schiacciata dai giganti globali. «Dovremmo abbandonare l’illusione che solo la procrastinazione possa preservare il consenso. La procrastinazione ha prodotto solo una crescita più lenta e di certo non ha ottenuto più consenso. Siamo arrivati al punto in cui, senza un’azione, dovremo compromettere il nostro benessere, il nostro ambiente o la nostra libertà», ha commentato Draghi. 

Ed è fondamentale la coesione tra i vari Paesi membri. «Dobbiamo confrontarci con due dipendenze importanti: quella economica – le materie prime che usiamo sono nelle mani di pochi fornitori – e quella geopolitica. Dobbiamo sviluppare una politica estera comune, e stringere accordi commerciali preferenziali con i Paesi ricchi di risorse importanti. Dobbiamo anche concentrarci sui partenariati industriali per migliorare le capacità nel settore della difesa», ha commentato Draghi. «I Paesi membri stanno già agendo singolarmente. Ma creando delle sinergie potremmo fare molto di più». Durante la conferenza è stata sottolineata anche l’importanza di avere un fondo comune europeo: «Abbiamo bisogno di fondi comuni per realizzare i progetti comuni – ha commentato von der Leyen –. Il nostro compito ora è definire questi progetti. Dobbiamo far leva per definirli e per capire come finanziarli, in modo da raggiungere risultati urgenti e concreti. Ci sono due alternative: i contributi nazionali e le nuove risorse proprie. Entrambe le strade sono possibili. Sarà la volontà dei singoli Stati membri a delineare il modo in cui andremo avanti».

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