Nervi scopertiIrlanda-Inghilterra ha fatto riemergere antipatie e vecchi fantasmi nazionalisti

La partita di Nations League giocata a Dublino ha generato polemiche che vanno ben oltre la rivalità sportiva tra le due Nazionali

AP/Lapresse

Un pregiudizio comune ci porta a pensare che le manifestazioni di nazionalismo esplicito nei campi sportivi siano un affare esclusivo di alcune “giovani democrazie”, come quelle dell’Est Europa. Il recente turno della Nations League di calcio dimostra invece il contrario, con un incrocio tra Irlanda e Inghilterra che non ha mancato di rivelare alcuni nervi scoperti, rimettendo per un attimo al centro del dibattito una rivalità che non è solo sportiva, e che è ancora oggi molto viva.

La partita si è giocata sabato scorso a Dublino, in un clima che prevedibilmente non poteva essere particolarmente improntato al fair play. L’Irlanda è uno Stato indipendente da poco più di un secolo (centodue anni, per la precisione), e anche volendo ignorare l’ancora non del tutto risolta questione dell’Irlanda del Nord, tutt’oggi parte del Regno Unito, siamo davanti a una situazione erede di quasi otto secoli di dominio brutale da parte della monarchia inglese sull’Irlanda. Gli storici sono piuttosto concordi nel dire che quell’esperienza ha rappresentato un primissimo modello di colonialismo europeo che sarebbe poi stato esportato nelle Americhe e in Africa, e anche il modo in cui gli inglesi hanno dipinto gli irlandesi nei secoli ha avuto – secondo quanto spiega tra gli altri Geraldine Heng nel suo “The Invention of Race in the European Middle Ages” – connotazioni chiaramente proto-razziste.

L’accoglienza irlandese
Per farsi un’idea di come queste vicende siano ancora estremamente sentite al giorno d’oggi, basta ricordare come Patrick Freyne descriveva il modo in cui gli irlandesi guardano all’Inghilterra, in un articolo del 2021 su The Irish Times: «È come avere un vicino fissato con i clown [un riferimento al culto della monarchia inglese, ndr] e, in più, tuo nonno è stato ammazzato da un clown». Non può sorprendere, allora, che alla morte della Regina Elisabetta il tifo del Celtic Glasgow – il club degli immigrati irlandesi in Scozia – abbia esposto striscioni piuttosto sarcastici verso l’avvenimento. E anche perché sabato scorso, prima del fischio d’inizio, l’inno inglese sia stato sonoramente fischiato dal pubblico di Dublino.

A margine di tutto questo, c’è stato il caso di Declan Rice e di Jack Grealish, due delle stelle dell’Inghilterra, accolte in Irlanda da tifosi locali che reggevano uno striscione coi loro volti e la scritta: «I serpenti sono tornati». Rice è nato a sud-est di Londra, mentre Grealish a Birmingham, ma entrambi hanno dei nonni irlandesi. Per questo motivo, la federcalcio di Dublino li aveva convinti fin da adolescenti a vestire la maglia verde, al punto che Rice arrivò anche, nel 2018, a giocare tre amichevoli con l’Irlanda. Poi entrambi hanno cambiato idea e deciso di gareggiare con l’Inghilterra: come è facile immaginare, a Dublino e dintorni non l’hanno presa bene. Sabato gli inglesi hanno vinto 2-0, e a segnare sono stati proprio i due “traditori”: Rice ha evitato di esultare, mentre Grealish non si è fatto gli stessi scrupoli.

La sponda inglese non è da meno
Se le antipatie irlandesi sono storicamente comprensibili, sarebbe però sbagliato pensare che si tratti di una questione a senso unico, anzi. Anche in Inghilterra la partita di sabato scorso ha portato alla luce tensioni nazionaliste che normalmente sono meno evidenti. Il problema è stato con il nuovo ct dei Three Lions, Lee Carsley, tecnico dell’U21 temporaneamente alla guida della prima squadra dopo le dimissioni di Gareth Southgate: nato a Birmingham, anche Carsley ha dei nonni irlandesi, ma a differenza di Rice e Grealish da giocatore aveva scelto di difendere i colori dell’Isola di Smeraldo. Questo non gli ha impedito di diventare allenatore dell’Inghilterra U21 (con cui nel 2023 ha vinto il titolo europeo giovanile), ma è diventato un problema al momento del suo esordio alla guida della prima squadra: Carsley ha infatti annunciato che non avrebbe cantato “God Save the King”.

Non è stata proprio una novità: da quando allena le giovanili inglesi (cioè dal 2021, dopo quattro anni come vice), non ha mai cantato l’inno nazionale. Ma al momento di passare sulla panchina della squadra maggiore, la stampa conservatrice britannica si è scagliata contro di lui. Sul Telegraph, Jason Burt ha scritto che se non vuole cantare l’inno allora Carsley non dovrebbe nemmeno essere il ct dell’Inghilterra, mentre sul Daily Mail si è arrivati addirittura a definire il suo un «tradimento» e a chiedere alla federcalcio di esonerarlo seduta stante. Carsley ha provato a ricordare di non aver mai cantato nemmeno l’inno irlandese quando era calciatore, ma ciò non ha avuto grande effetto: i discorsi nazionalisti sono diventati piuttosto popolari nel Regno Unito in questi anni, come segnalava già nel 2021 l’Economist.

Il dibattito sull’inno inglese ha però sollevato pareri piuttosto discordanti tra gli ex-calciatori, come ad esempio Gary Lineker, che ha rivelato di essersi sempre sentito un po’ a disagio nel cantarlo. Non sono rari i casi di giocatori che in passato non hanno intonato “God Save the Queen” prima di un calcio d’inizio, da Gary Neville a Wayne Rooney fino a Trent Alexander-Arnold, ma il senso di appartenenza nazionale non sembra aver avuto un peso in nessuna di queste decisioni.

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