Il coro è unanime, da Joe Biden a Xi Jinping, passando per Josep Borrell e António Guterres: Israele deve farsi bombardare dal Libano, ma non deve reagire. Se no, se reagisce, è colpa sua. Il perché è chiaro: perché Israele è lo Stato degli ebrei. Se no, se non lo fosse, nessuno gli chiederebbe di subire senza battere ciglio il lancio di ottomilacinquecento missili e razzi in un anno. Invece, siccome è il Paese degli ebrei, deve accettare buono buono, senza fiatare, con sopportazione, che centomila suoi profughi da dodici mesi siano dovuti fuggire dall’Alta Galilea per non essere uccisi dai missili di Hezbollah. Fatte le proporzioni, è esattamente come se in Italia tutti gli abitanti della provincia di Bolzano, desertificata, fossero dovuti fuggire verso sud.
Non basta. Israele, questo pretende il coro mondiale delle anime belle del quale purtroppo fanno parte Joe Biden come Antonio Tajani, deve fare finta che Hezbollah lanci i razzi per diletto, non perché vuole eliminarla dalla faccia della terra. Pure l’Ayatollah iraniano Ali Khamenei, che di Hezbollah è formalmente la Guida Suprema, per l’ennesima volta è stato chiarissimo: «Se le nazioni islamiche usano il loro potere interiore, il regime sionista verrà rimosso dal posto che si trova nel cuore della comunità islamica. L’unità tra i musulmani creerà un potere che non solo può eliminare il regime sionista, ma porrà anche fine all’influenza e all’interferenza degli Stati Uniti nella regione».
Ora, a fronte di questo nuovo nazismo islamico, che aggredisce da anni Israele per distruggerla, che nazismo è anche in patria, in Iran, dove impicca un ragazzo dissidente al giorno, il coro mondiale parla di trattativa, di de-escalation. Soprattutto teme il coinvolgimento diretto dell’Iran nella guerra. Lo teme perché farebbe saltare la sua ipocrisia, perché non c’è Hezbollah, non c’è Hamas, non ci sono Houti se non perché li ha creati e li manovrano Pasdaran e Ayatollah.
Dunque Israele non ha scelta, si deve difendere da solo, sordo ai rimproveri, in un mondo in cui i media “democratici” lo dipingono come aggressore dopo Gaza anche di un Libano che pure, per primo, lo aggredisce da decenni per distruggerlo.
Lo farà con un’ennesima operazione di terra? Può essere, almeno così ha lasciato intendere il capo di Stato maggiore dell’esercito ai suoi soldati, ma per il momento non pare essere questa la strategia di Yoav Gallant, il ministro della Difesa, che di questa nuova guerra del Libano è il leader e lo stratega, ben più di Benjamin Netanyahu (ed è un bene). La sensazione che danno le mosse dell’Idf sino a oggi è quella di un quadro diverso da quelli del 1982 e del 2006, gli anni delle due invasioni israeliane del Paese dei cedri.
Oggi, a differenza di allora, si nota che il Mossad – l’unica istituzione israeliana non coinvolta nella débâcle del 7 ottobre – è in grado di penetrare in profondità nei meandri nascosti di Hezbollah. È in grado di individuare gli spostamenti dei suoi quadri dirigenti e di ucciderli, ha una mappa precisa dei depositi di armi e missili, al solito nascosti in mezzo alla popolazione civile (da qui, la morte dei bambini, cinico veicolo della propaganda islamica).
Nel complesso, dunque, la sensazione è che Gallant voglia fare tanti e tali danni con i bombardamenti e con i droni (che non c’erano nel 1982 e nel 2006), da costringere Hezbollah a una reazione sconsiderata, pur di uscire dalla difensiva. Magari a iniziare un’operazione di terra contro il nord della Galilea.
Si vedrà. Nel frattempo, deve essere chiaro che la guerra che combatte Israele è la stessa, contro gli stessi, identici avversari (Russia, Iran, Corea del Nord, Cina) di quella che combatte l’Ucraina di Volodymyr Zelensky.
Chi lo comprende – purtroppo non molti – deve fare di tutto per rompere l’isolamento di Israele da parte di un mondo di ignavi che si avvia a ripetere le infamie del 1938 a fronte di un nuovo nazifascismo islamista.