Verso Cersaie Massimo Iosa Ghini racconta le innovazioni sostenibili del distretto ceramico

I prodotti a base di ceramica, spiega a Linkiesta Etc l’architetto e designer bolognese, «non sono statici e non sfruttano una rendita di posizione, ma devono sempre evolversi per cercare di essere più naturali». Una trasformazione che sta avvenendo a tutti i livelli, rendendo più virtuosi i processi di edificazione

Una foto dell’edizione 2022 di Cersaie (Michele Nucci/LaPresse)

L’innovazione è il filo rosso che unisce i risultati, i premi e i lavori di Massimo Iosa Ghini, tra i più noti architetti e designer italiani contemporanei. Il desiderio irrefrenabile di sperimentare e fare quel “passo in più” l’ha spinto a fondare, nel 1986, il movimento artistico e culturale del Bolidismo, basato su forme dinamiche e leggere, a tratti fumettistiche e sempre ispirate ai concetti di libertà e ubiquità. Un’esperienza maturata anche grazie alla collaborazione con il gruppo Memphis di Ettore Sottsass. 

Dall’architettura al design di prodotto, dall’interior design alla comunicazione, dai mobili alle stazioni della metropolitana, dai musei alle scenografie delle produzioni televisive: Massimo Iosa Ghini, bolognese classe 1959, è il professionista versatile per eccellenza, capace di tradurre le sensibilità – sempre in evoluzione – delle persone in elementi concreti. Tra i suoi materiali preferiti c’è la ceramica, protagonista dal 23 al 27 settembre durante la quarantunesima edizione di Cersaie, a Bologna.

Quella delle ceramiche è un’industria energivora, considerata hard-to-abate (difficile da decarbonizzare) e dipendente dalle alte temperature durante le fasi produttive. Dall’altra parte, però, parliamo di un comparto – in Italia è concentrato in pianura Padana, soprattutto in Emilia-Romagna – che sta crescendo a tutti livelli per ridurre il suo impatto climatico-ambientale. In più, il prodotto finale può rivelarsi un elemento chiave per rendere le nostre case più efficienti e meno dipendenti dall’impiantistica, in linea con i principi dell’edilizia sostenibile. Ed è qui che torna attuale il concetto di innovazione sposato da Massimo Iosa Ghini, secondo cui «la ceramica deve essere uno dei tool principali degli architetti, che non devono solo pensare al ferro e al vetro». 

photo by Mattia Aquila

Perché la ceramica è molto più di un semplice materiale?
La sua storia nasce da una terra povera, una terra di agricoltori che scoprono a un certo punto la presenza di questa risorsa. La terracotta fa parte della nostra tradizione: l’architettura mediterranea è un’architettura di terra, mentre gli anglosassoni sono più legati a ferro e vetro. La ceramica è quindi legata al nostro modo di essere, alla nostra cultura. È un modo di utilizzare, e non sfruttare, il territorio. In questo le aziende della ceramica sono molto all’avanguardia, perché nella loro dimensione sanno che la ceramica è una risorsa finita, e quindi deve essere ben utilizzata. Ragionano in armonia con il pianeta. Come per altri distretti, come quello della seta o quello del mobile, il settore della ceramica ha generato una certa profondità culturale.

E questa «profondità culturale» spesso genera anche un certo rispetto per l’ecosistema
La ceramica, negli ultimi anni, ha fatto enormi passi avanti. Pensi alla ceramica nelle vecchie cucine, piene di piccole piastrelle. Ora perché fanno i pannelli così grandi? C’è un tema di installazione, diventata molto più veloce ed efficiente. E poi, grazie a questi pannelli più grandi, siamo riusciti a ridurre lo spessore. Meno spessore significa meno materiale impiegato, con la stessa – se non migliore – performance. Ci sono ragionamenti economici ed ecologici. I prodotti a base di ceramica sono costantemente sotto la pressione dell’innovazione: non sono prodotti statici che sfruttano una rendita di posizione, ma prodotti che devono evolversi cercando di diventare sempre più naturali. 

Per esempio?
Ora c’è tutta l’area dei prodotti riciclati. Nella lavorazione ci sono gli scarti che inizialmente venivano usati come polvere di scarto, magari per gli asfalti. Ora, invece, li utilizzano per fare direttamente i pannelli, ossia il prodotto vero e proprio. È un settore che non ha una cultura orientata al greenwashing. L’aspetto normativo ti costringe, in un certo senso, ad andare in una certa direzione. Ma io penso sinceramente che questo distretto lo voglia proprio fare, a prescindere dalla normativa. Ci sono vari esempi virtuosi, come la centrale a idrogeno sperimentale. Ma è un discorso più generale: sono tutte aziende molto avanzate, molto pulite, sembrano un po’ dei laboratori. Uno ha in mente la fabbrica un po’ sporca, ma sono tutti spazi in cui c’è grande attenzione ai lavoratori, ai partner e a tutti i dettagli. 

Lei ha lavorato anche a Miami: com’è la situazione normativa? 
Miami ha una normativa efficientissima per quello che riguarda i terremoti e gli uragani. Nell’organizzazione dei materiali c’è estrema libertà, non ci sono prescrizioni in tal senso, mentre l’Europa è un po’ più stringente. C’è una progettazione normativa più intensa che, in alcuni casi, può anche essere considerata negativa. Io ho un’opinione intermedia. Da una parte, tu lavori in un algoritmo normativo che ti dà la soluzione, ed è abbastanza limitante in termini innovativi e creativi. Dall’altra parte, su quello che è la maggior quantità di edilizia e progettazione, il fatto di avere degli elementi che ti guidano è un buon viatico.

Gli interni del Brickell Flatiron, a Miami, sono stati disegnati da Massimo Iosa Ghini (courtesy of Iosa Ghini Associati)

Si parla spesso di ceramiche eco-attive: quanto sono diffuse e quali sono, secondo lei, le più promettenti? 
“Eco-attivo” è un insieme molto grande che comprende esempi molto sfaccettati. Sono uscite queste ceramiche fotocatalitiche, con una base in biossido di titanio, che riducono la CO2 in atmosfera. Oppure la ceramica autopulente: una torre in vetro deve essere costantemente sottoposta a manutenzione, ma se usi un materiale ceramico di quel tipo puoi permetterti sostanzialmente di non pulirle. Ci sono anche ceramiche ad alta resistenza termica, che fanno un po’ da cappotto. Cito anche le ceramiche antibatteriche, utilizzate soprattutto nei luoghi della sanità o nelle cucine di case normali. Le ceramiche cosiddette “leggere”, invece, assomigliano alle termiche ma pesano meno, e hanno anche degli spessori ridotti che permettono un rivestimento che riduce la necessità del cappotto. Tutti questi prodotti diventeranno frutto del riciclo del materiale stesso. 

Quanto è importante un’occasione come Cersaie per riunire in un unico “contenitore” queste innovazioni?
È fondamentale. Per Cersaie, qualche anno fa, organizzai una mostra-convegno che si chiamava “Involucri”. Dico questo perché l’edificio è fatto da tre elementi: la struttura, l’impiantistica e il rivestimento. Queste tre cose generano o meno la virtuosità dell’edificio, e con il tema del bonus 110 abbiamo visto l’importanza della presenza di un involucro efficiente. Nel mondo c’è addirittura qualche esempio, raro e sperimentale, di edifici con involucri super performanti e privi di impiantistica. In generale, con un involucro efficiente puoi avere un’impiantistica ridotta e meno consumi. E la ceramica ha un ruolo importante nel tema della progettazione dell’involucro. Ad esempio, ci sono le facciate ventilate: struttura e rivestimento sono separati, così lì dentro ci passa l’aria, creando la cosiddetta coibenza. La ceramica deve essere uno dei tool principali degli architetti, che non devono solo pensare al ferro e al vetro. 

Bioedilizia e ceramica vanno d’accordo?
Assolutamente sì. Bisogna ovviamente distinguere tra il materiale in sé e la sua produzione. Quest’ultima richiede delle temperature importanti nella cottura, le aziende stanno crescendo e sperimentano, ma rimangono abbastanza energivore. L’abbiamo visto con la crisi del gas, con i presidenti dei vari settori industriali che mostravano in televisione le bollette sempre più salate. C’è però una grande volontà di creare processi più sostenibili, come i forni a bassa temperatura che garantiscono un minor dispendio di energia. Queste aziende, inoltre, utilizzano quote importantissime di energie rinnovabili per produrre elettricità, con coperture interamente rivestite di fotovoltaico. 

Marconi Express, a Bologna (courtesy of Iosa Ghini Associati)

Uscendo dal tema della ceramica, negli ultimi anni è cresciuto molto il dibattito attorno al ruolo dell’architetto. Tra consumo di suolo, città densificate e cambiamento climatico, forse l’architetto di domani non deve aggiungere e costruire, ma valorizzare e riconvertire ciò che già abbiamo. Cosa ne pensa?
Penso che il tema principale sia l’eccessiva impermeabilizzazione dei suoli, da combattere progettando situazioni che permettano il deflusso delle acque. C’è poi la questione del riuso del patrimonio esistente, in funzione del primo punto. Il passaggio è già attuato, ma si possono fare ulteriori passi avanti. A mio parere, l’aumento del valore deve andare di pari passo all’incremento della qualità del vivere urbano. A Milano c’è uno sviluppo immobiliare imparagonabile a qualsiasi città italiana: questa evoluzione va fatta con una grande qualità, attenta soprattutto al benessere delle persone. Ciò determina qualche costo d’investimento in più, ma ne vale la pena. L’edificazione può essere più virtuosa e si possono ridurre i costi di manutenzione anche grazie – come dicevamo prima – a una sapiente scelta dei materiali. Bisogna ragionare sul costo futuro e sul mantenimento dell’opera. Un altro tema riguarda l’idea della Città dei 15 minuti di Carlos Moreno: pensare di replicare tutti i servizi in modo che siano raggiungibili a piedi sarebbe bello, ma mi sembra utopico. Tuttavia, io credo molto in questa razionalizzazione urbanistica. Infine, il verde nelle città. A Bologna ho fatto questo progetto che si chiama “Impronta Verde”, per collegare tutti i parchi collinari al centro della città. Vedo però anche delle forzature: l’esempio più eclatante riguarda le palme in piazza Duomo a Milano. Sono forzature che servono a sollevare il tema, ma in termini di fruibilità e di integrazione nello sviluppo urbano non hanno molto senso. 

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