Meno di un anno fa, il 12 ottobre 2023, Mauro Colagreco, chef tristellato già proprietario del ristorante Mirazur a Mentone, annunciava tramite i propri profili social l’imminente apertura di Cycle, il suo secondo ristorante, inaugurato due settimane dopo nel cuore di Tokyo. La notizia era accompagnata da una fotografia che ritraeva lo chef in una posa volta a richiamare una delle tradizioni più antiche e segrete del Giappone, quella dei samurai.
A distanza di diversi mesi, quel riferimento appare come un indizio importante per comprendere il percorso intrapreso da Colagreco per avvicinarsi alla cultura locale, scoprirne e adottarne riti e tradizioni, onorarla. Un percorso che oggi passa per l’Italia e per la precisione per Maniago, il piccolo comune del Friuli conosciuto in tutto il mondo per la produzione di coltelli, in cui vive e lavora Michele Massaro, il fabbro degli chef stellati.
Quando Colagreco ha iniziato a immaginare un modo in cui celebrare l’apertura di Cycle – il ristorante con cui ha voluto esaltare l’attenzione e il profondo rispetto per gli esseri viventi, per i loro equilibri e i loro cicli simbiotici – ha pensato subito che Massaro sarebbe stata una figura essenziale da coinvolgere, probabilmente l’unica in grado di comprendere pienamente e poi realizzare la sua idea: forgiare dieci lame dedicate ai dieci chef giapponesi più importanti del Paese.
Per dar vita a un progetto del genere, infatti, non sarebbero state sufficienti ottime doti tecniche, era anche necessario conoscere a fondo la tradizione giapponese e come questa da ben settecento anni consideri il coltello non solo uno strumento perfetto, ma un’opera d’arte, che associa la bellezza del movimento d’incisione, alla precisione del taglio.
È proprio in omaggio a questa filosofia che il set personale di ogni chef che si rispetti, in Giappone, contiene ancora oggi pezzi particolarissimi, come l’usuba bōchō, necessario per trattare i vegetali insieme al nakiri bōchō, più leggero, il yanagi ba, la “lama a forma di salice”, ideale per realizzare il sashimi, e il deba bōchō, il più massiccio di tutti, una sorta di piccola mannaia fondamentale per trattare pesce e carne.
Michele Massaro, che da tempo studia la cultura orientale del taglio, oggi racconta di aver accolto il progetto come una sfida personale, in cui mettere alla prova le proprie abilità manuali, acquisite dai suoi maestri nel corso degli anni, e la tecnologia attualmente a disposizione.
Da questa combinazione simmetrica sono nati dieci coltelli che portano i nomi degli chef a cui sono dedicati: Yoshihiro Narisawa, Yuji Shimoyama, Seiji Yamamoto, Hiroyuki Sato, Yoshihiro Murata, Motokazu Nakamura, Yoshihiro Takahashi, Hisato Nakahigashi, Masahiro Kurisu e Jérôme Quilbeuf.
In ognuno di essi si riconosce il classico brute de forge, segno distintivo dell’opera di Massaro, abbinato alle iniziali di ogni chef incise in oro ventiquattro carati al laser, un’opera fatta a mano dal mastro incisore Flavia Sanzogni di Gardone Val Trompia.
Nel descrivere le sue creazioni Massaro spiega: «In questi dieci coltelli risiede una profonda attenzione al dettaglio, che riflette la connessione con la natura, la simbiosi con l’umanità e l’unicità di ogni ambiente, presenti nella filosofia culinaria di Mauro Colagreco e nel suo ristorante Cycle».
Un’attenzione che si concentra soprattutto nel manico, uno degli elementi che più affascina Massaro, la parte in cui la mano del cuoco diviene un tutt’uno con il proprio coltello e dove la forgiatura su misura dello strumento acquisisce una ragion d’essere. Il manico, inoltre, per il fabbro rappresenta il suo legame con la natura, luogo di ricerca in cui trova costante ispirazione e fonte di rinnovamento. Per i manici dei dieci coltelli di Cycle, quindi, Massaro ha scelto cinque diverse specie di legno, per richiamare i cinque elementi che secondo la tradizione giapponese costituiscono l’universo: la terra, l’acqua, il fuoco, il vento e il vuoto.
Una selezione accurata, compiuta dal fabbro in prima persona dall’inizio alla fine e che Massaro racconta rivelando: «Ho personalmente raccolto il legname tra le mie montagne e scelto di lavorare le sezioni più naturali, imperfette, dove l’irregolarità di un nodo o di una spaccatura ha dato al legno forza e autenticità».