Maniago è un piccolo comune in provincia di Pordenone conosciuto in tutto il mondo per la produzione di coltelli. Fa parte del Distretto delle coltellerie che comprende nove comuni di questa zona e la cui storia risale al 1453, anno in cui il Magistrato delle Acque di Venezia diede il permesso di incanalare in una roggia l’acqua del torrente Còlvera. Quelle acque ancora oggi alimentano l’Antica Forgia Lenarduzzi guidata da quel genio creativo che porta il nome di Michele Massaro. L’unico battiferro ancora esistente in paese è quello di un geometra con la passione per la forgia, che da sei anni ha deciso di trasformare un hobby in una professione.
Ci sono un pugno di case intorno all’Antica Forgia Lenarduzzi, un piccolo corso d’acqua che ne procura la corrente elettrica e un frutteto che si trova alle sue spalle dove crescono rigogliose diverse varietà di mele. Qui, tra il fuoco scoppiettante che riscalda il carbone all’interno della forgia, la polvere, il buio e i vecchi attrezzi che testimoniano la storia del luogo, Massaro lavora con il maglio e l’incudine trasformando il ferro, battuto, in opere d’arte che si chiamano coltelli.
Non coltelli qualsiasi perché lui è il fabbro degli chef, l’uomo che forgia coltelli su misura realizzati a mano e spediti nelle cucine di tutto il mondo. «Realizzare coltelli oggi – spiega – per me vuol dire trasferire la contemporaneità rispetto alla cucina. Io sono un artigiano che serve i cuochi: far coltelli significa avere un legame tecnico ma anche sensibile rispetto alla cucina, sapere cosa fa il cuoco quando ha in mano un tuo coltello, che azioni compie e capire come aiutarlo ad eseguirle al meglio».
Il primo coltello fu per Pier Giorgio Parini e oggi sono davvero in molti a possederne alcuni: Enrico Crippa, i Costardi Bros, Pino Cuttaia, Yoji Tokuyoshi, Emanuele Scarello, Antonia Klugmann, Matteo Baronetto, Martino Ruggieri, ma anche René Redzepi e Virgilio Martinez. «Il coltello nasce per tagliare – aggiunge Massaro – è un attrezzo da lavoro e deve essere funzionale. Per questo mi avvicino alla cultura orientale del taglio: i produttori giapponesi realizzano gli stessi coltelli da 700 anni e lavorano sulla loro funzionalità, basti pensare al Gyuto per verdure e carne, al Deba per il pesce o allo Yangi ba per il sashimi. Occorre – prosegue – umiltà anche in questo lavoro per chiedere al cuoco quello di cui ha realmente bisogno, non l’arroganza di dire ciò che serve».
Tra gli ultimi coltelli realizzati da Massaro c’è quello per Fulvio Pierangelini: uno spelucchino, un coltello piccolissimo con il manico di biancospino: «Ho lasciato la corteccia su un lato del coltello – racconta il coltellaio degli chef – so che con il tempo si rovinerà ma fa parte della sua bellezza. Volevo rispecchiare in qualche modo l’approccio che Pierangelini ha con la materia prima: la mia guarda verso l’imperfezione e gioca sul concetto di un piccolo ma utile strumento nelle mani di un grande cuoco, di un uomo che mi ha ispirato tantissimo e che tutt’ora traccia delle linee guida da seguire non solo per il mio percorso di vita ma anche in quello professionale di generazioni di cuochi».
E proprio la natura e la materia prima sono fondamentali nella realizzazione dei manici dei coltelli di Michele Massaro: cerca le migliori essenze di legno andando in montagna, quando la luna è calante e l’inverno più freddo e utilizza dal corniolo al melograno, dal biancospino al somaco. Recentemente ha realizzato anche due coltelli il cui manico è con il legno di vite, ma una vite speciale. Sono i coltelli per Simone Cantafio il giovane chef di origini calabresi che da anni lavora in Giappone al fianco di Michel Bras e per il quale Massaro ha utilizzato il legno proveniente dai vigneti di un produttore mitico come Josko Gravner. Simone Cantafio, dopo l’esperienza a Toya e l’imminente apertura del locale di Karuizawa, in cui l’atteso ristorante avrà un menù firmato Bras e Cantafio, ricorda l’incontro con Massaro durante il Bocuse d’Or di due anni fa quando entrambi erano in supporto per il team italiano di Martino Ruggieri: «Il nostro incontro è sfociato nella creazione di questi coltelli, i primi con il manico di vite che io trovo straordinari. Del resto, quello che Massaro ha fatto con la vite succede anche in cucina: noi cuochi diamo una nuova vita a una materia morta e i dettagli e i colori dei miei nuovi coltelli rispecchiano una vitalità unica nata da un grande incontro, quello con Gravner e con Massaro».
Per il coltellaio di Maniago del resto i rapporti umani sono tra gli aspetti più belli di questo lavoro: «Sono il tesoro fondamentale legato a quello che faccio ed è quello che realmente mi ripaga. Certo, i coltelli li devo anche vendere, ma l’amicizia e la conoscenza che mi lega ai cuochi che incontro va ben oltre il rapporto di lavoro ed è una gioia impagabile».