È ancora caldo Perché in alcuni supermercati c’è sempre profumo di pane

Difficile resistere alla tentazione di acquistare una pagnotta appena sfornata, specie se il suo aroma ci avvolge proprio mentre stiamo facendo spesa a fine giornata. Avere più informazioni su quella pagnotta però può aiutarci a valutare al meglio il nostro acquisto

Foto di Laura Filios

Quella del pane appena sfornato è una fragranza che scatena la voglia di addentarne subito un pezzo. Forse anche per questo fra le corsie dei supermercati aleggia sempre più spesso un profumo costante di pane cotto al forno. Sono infatti numerosi i marchi della Grande Distribuzione Organizzata (Gdo) che hanno allestito all’interno dei propri store dei punti dedicati alla produzione di un alimento centrale nella nostra alimentazione. Ma il pane del supermercato non è tutto uguale.

Partiamo dal presupposto che in Italia le abitudini sono cambiate e che di pane se ne mangia sempre meno. Negli anni Ottanta se ne compravano ottantaquattro chilogrammi a testa, oggi siamo scesi a trenta (dati Ipsos). Ultimamente poi i prezzi hanno subìto importanti aumenti. Se nel 2012 un chilo di pane al supermercato lo si pagava 1,96 euro, oggi in media per la stessa quantità si spendono 3,47 euro, il settantasette per cento in più (dati Altroconsumo). In una catena di discount dove il pane è fatto a partire da basi surgelate e finito di cuocere nel punto vendita, il prezzo di quello con lievito madre arriva a sfiorare anche gli otto euro al chilo. Alla fine però solo in pochi ci rinunciano davvero.

Nell’ultimo periodo sono anche tornati in voga i forni di quartiere, grazie soprattutto al prezioso lavoro di cura per la materia prima che certi panificatori e panificatrici stanno portando avanti. Ma rimane comunque alto il numero di persone che, spesso per comodità, continua a prendere il pane dagli scaffali del supermercato. Ecco perché è importante sapere che cosa si mette nel carrello.

Foto di Laura Filios

C’è pane e pane al supermercato
Qui se ne trovano principalmente di tre tipi, oltre a quello confezionato: il pane preparato nel laboratorio del punto vendita, il pane consegnato da fornitori esterni – che possono essere o un forno locale o un panificio semi-industriale – e poi c’è quello realizzato a partire da semilavorati surgelati o parzialmente cotti. Solo nei primi due casi si può parlare di pane fresco, mentre nell’ultimo la legge vieta di definirlo tale. Quindi anche se è caldo e sui cartelli vicino alle ceste campeggiano le scritte «Sforniamo pane tutto il giorno», «Pane caldo», «Pan del dì», non bisogna farsi ingannare.

Pane fresco si può chiamare solo quello «preparato secondo un processo di produzione continuo, privo di interruzioni finalizzate al congelamento o surgelazione, ad eccezione del rallentamento del processo di lievitazione, privo di additivi conservanti e di altri trattamenti aventi effetto conservante». Il processo di produzione si considera continuo «se tra l’inizio della lavorazione e il momento della messa in vendita non passano più di settantadue ore».

Qual è il pane fresco del supermercato
Come scegliere allora il pane per il pranzo o per la cena se ci si trova al supermercato e magari pure di fretta? L’unico modo è trovare il tempo di leggere l’etichetta. Su questa deve essere obbligatoriamente scritto se si tratta di «pane conservato o a durabilità prolungata», ovvero se il pane che si sta per mettere nel carrello è ottenuto da un impasto parzialmente cotto e poi congelato oppure decongelato.

Se lo si acquista sfuso, questa informazione, insieme alla lista degli ingredienti, la si può trovare sull’etichetta stampata dalla bilancia self-service. Altrimenti bisogna andare a scartabellare il libro degli ingredienti, che non sempre è posizionato in bella vista. In teoria, per semplificare la vita al consumatore la legge impone che il pane non fresco, al momento della vendita, venga esposto «in scomparti appositamente riservati».

Lista degli ingredienti
Sull’etichetta sono indicati anche gli ingredienti, che di base sono: farina (che può essere di tipo 00, 0, 1 o 2), acqua, sale e lievito. Oltre a questi, nella produzione del pane è consentito (legge 4 luglio 1967, n. 580, art. 19) anche l’utilizzo di farina di cereali maltati, estratti di malto, alfa amilasi e beta amilasi. Le farine maltate e le amilasi si usano di solito in abbinamento a farine molto raffinate e povere di enzimi per accelerare la scissione dell’amido e quindi il processo di lievitazione. Mentre i malti si aggiungono per aiutare il processo di lievitazione in caso di impasti lunghi o per dare il colore biscottato al pane. Quando per esempio i pani sono marrone molto scuro, non significa che sono integrali, perché il colore in questi casi dipende dall’utilizzo del malto.

Per i «pani speciali» invece si possono usare burro, olio di oliva e strutto, sia come tali che sotto forma di emulsionanti, nonché latte e polvere di latte, mosto d’uva, zibibbo ed altre uve passe, fichi, olive, anice, origano, cumino, sesamo, malto, saccarosio e destrosio.

Origine della materia prima
Quello che invece non si trova quasi mai in etichetta è l’origine dell’ingrediente primario, che per il pane è la farina (a parte per i pani conditi: in quel caso potrebbero essere le olive o le noci per esempio). Questo perché il pane – a differenza del grano nella pasta, del riso, del pomodoro e del latte – non rientra nell’elenco dei prodotti per i quali l’indicazione dell’ingrediente primario è obbligatoria. Il panificio o il panificatore non è quindi obbligato, ma se per sua libera scelta volesse indicare in etichetta l’origine del prodotto trasformato – per esempio che il pane è fatto in Italia – nel caso in cui la farina provenisse da uno Stato diverso deve mettere il Paese di origine (o Ue, o non Ue) della stessa e questa indicazione deve comparire per forza nello stesso campo visivo della scritta “made in Italy”. Questo per chiarezza e tutela del consumatore.

Va precisato che a determinare la qualità della farina non è l’origine della stessa, ma la tipologia di grano e i metodi con cui viene coltivato, conservato e poi molito. Quando si parla di grandi quantità, i prodotti cerealicoli, tra cui il grano, vengono normalmente stoccati in grandi sili, dove permangono anche per molti mesi in attesa dell’invio alla molitura. Come sottolinea il Crea «durante lo stoccaggio i cereali sono soggetti al rischio di degradazione di varia origine, alla quale si ovvia con trattamenti chimici e fisici spesso costosi e impattanti sulla qualità della granella» e probabilmente anche sulla salute delle persone. E questo sia che si tratti di grano italiano o proveniente dall’estero.

Foto Laura Filios

Non tutti i pani integrali sono veramente integrali
Riconoscere un pane integrale non è così semplice. Il colore scuro non è un indicatore su cui fare affidamento. Per essere certi, anche in questo caso, bisogna farsi aiutare dall’etichetta. Se c’è scritto «con crusca», vuol dire che della fibra è stata aggiunta alla farina 0 o 00. Altrimenti deve essere specificato l’utilizzo di farina integrale.

ome viene specificato nelle Linee guida per una sana alimentazione, dal punto di vista nutrizionale la differenza non è irrilevante. «La miscela di farina bianca 00 con crusca, pur essendo comparabile alla farina integrale per il contenuto in fibra, ha una composizione nutrizionale diversa: nelle farine integrali, infatti, il germe del chicco macinato contiene vitamine, minerali e grassi insaturi, componenti protettivi per la salute».

Il consiglio dell’esperto
Per capire che pane comprare al supermercato, quando come unico interlocutore si ha l’etichetta, ecco il suggerimento di Gabriele Bernardini, biologo e divulgatore in campo nutrizionale. «Il mio consiglio è di mangiare pane vero, non preparazioni a base di pane. In secondo luogo, se volessimo essere proprio bravi, meglio un pane sciapo, senza sale. In terzo luogo ma forse è la cosa più importante: preferire pane integrale almeno la metà delle volte in cui mangiamo pane. Cerchiamo di non mangiare sempre pane fatto con farine 00 e preferiamo l’integrale. Volendo, va bene anche quello di grano duro. Meglio integrale perché in generale mangiamo troppo poca fibra e il pane integrale ci aiuta a raggiungere il fabbisogno giornaliero. La fibra alimentare e il consumo di cereali integrali sono protettivi per mille patologie».

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