L’offensiva israeliana in Libano e l’attacco missilistico dell’Iran a Israele alimentano i timori di un’escalation incontrollabile, che il governo di Benjamin Netanyahu, nonostante tutte le pressioni americane in senso contrario, sembra fermamente deciso a provocare e sfruttare per i suoi scopi. Vale a dire liberare una volta per tutte il Medio Oriente dai nemici di Israele, come dicono i suoi sostenitori, o forse più semplicemente guadagnarsi la rielezione e restare così fuori dalla galera il più a lungo possibile, come dicono i suoi detrattori. Sta di fatto che dal massacro del 7 ottobre è passato ormai un anno, e il dibattito pubblico, in tutto il mondo, appare irrimediabilmente diviso tra la più assoluta indifferenza per le vittime israeliane di quelle atrocità, da parte di chi non vede nemmeno l’elementare necessità per lo stato ebraico di fare in modo che un simile orrore non si ripeta, e la più assoluta indifferenza nei confronti delle vittime palestinesi della reazione israeliana, da parte di chi sembra ritenere che il massacro del 7 ottobre abbia consegnato a Israele una sorta di immunità morale perpetua, qualunque cosa faccia, anche se per assurdo dovesse continuare a bombardare Gaza per i prossimi cento anni.
Non è per niente facile mantenere un equilibrio tra queste contrapposte disumanizzazioni, con i discorsi sempre più cinici, quando non apertamente sanguinari, che infestano ormai il dibattito pubblico sull’argomento. Si vorrebbe sperare che resistesse almeno un limite condiviso, dinanzi al quale dovrebbero fermarsi tutti i democratici che abbiano a cuore i principi basilari della civiltà moderna e della convivenza civile, prima ancora che la memoria della Seconda guerra mondiale, del nazismo e della Shoah. Tutti dovrebbero inorridire di fronte alla celebrazione del massacro, dello stupro e del sequestro di uomini, donne, anziani e bambini inermi quale atto di resistenza eroica, come purtroppo si è già sentito fare in diverse manifestazioni filopalestinesi di questi giorni, le stesse capaci di esibire cartelli con il volto di Liliana Segre sotto la scritta «agente sionista». Parole e gesti che rendono assai difficile anche accettare l’argomento secondo cui tali manifestazioni non celebrerebbero i massacri, ma si limiterebbero a contestare l’intervento israeliano a Gaza che ne è seguito.
Scrive oggi su Repubblica Stefano Folli che «non si può ammettere una manifestazione inneggiante al terrorismo nel cuore della capitale» e che questo non ha nulla a che fare con «la tolleranza liberale per cui si garantisce il diritto di parola a tutti». Motivo per cui il governo ha vietato il corteo, mentre non è chiaro quale sia la posizione del centrosinistra al riguardo. Secondo Folli «chi si candida a governare l’Italia, a cominciare dal Pd ovviamente, non può restare nel vago davanti a una sfida esplicita ai valori in cui si riconosce la democrazia repubblicana». La mia personale impressione, tuttavia, è che invece possa eccome, e non solo sulle guerre mediorientali. Come le posizioni assunte nelle ultime settimane sulla crisi ucraina da tutti i maggiori partiti, da Fratelli d’Italia al Pd, dimostrano implacabilmente.
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